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giovedì 18 agosto 2016

Addestrava kamikaze made in Italy Ecco dove (e come) si nascondeva

Addestrava kamikaze made in Italy Ecco dove (e come) si nascondeva il macellaio




È un filo che si snoda negli ultimi due decenni il rapporto che lega Milano e l’Italia a Moez Ben Abdelkader Fezzani, meglio noto come Abu Nassim, 46 anni, il tunisino colonnello dell’Isis catturato oggi in Libia. Nel 2007, il gip Guido Salvini firma su richiesta del pm Elio Ramondini un’ordinanza di custodia cautelare in cui viene accusato di essere un uomo di Al Qaeda, in particolare "il capo dei tunisini a Peshawar in Pakistan da dove manteneva stretti e costanti rapporti con la struttura in Italia e a Milano", e di «organizzare la logistica dei mujaheddin provenienti dall’Italia accogliendoli presso la ’Casa dei fratelli tunisinì per poi inviarli nei campi dove venivano addestrati all’uso di armi e alla preparazione di azioni suicide» oltre che di «promuovere e finanziare il rientro dei mujaheddin in occidente e in particolare in Italia e a Milano».

La Casa dei fratelli tunisinì era un piccolo appartamento di edilizia popolare in via Paravia 84 dove Nassim, che all’epoca lavorava come manovale, era andato a vivere con il connazionale Sassi Lassaad, morto a Tunisi nel 2006 durante una rivolta antigovernativa. Per questa vicenda, dopo aver trascorso 3 anni in carcere, viene assolto in primo grado nel 2012 ma espulso dal Ministero dell’Interno che lo considera «pericoloso» per la sicurezza nazionale. Un anno dopo, quando Nassim si trova in Siria, i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano modificano il verdetto con una condanna a 6 anni di carcere. L’indagine, viene spiegato nell’ordinanza di custodia cautelare, riguardava la presenza a Milano alla fine degli anni novanta di «cellule fondamentaliste di ispirazione salafita formate per lo più da tunisini ma anche da egiziani, radicate in Lombardia il cui compito era rispondere agli appelli della jihad inviando militanti in Afghanistan, nelle zone allora controllate da Al Qaeda, e in Algeria e utilizzare l’Italia come base logistica e anche come terreno fertile di reclutamento ma anche come Paese in cui colpire anche obbiettivi interni qualora l’evoluzione politica avesse reso ciò strategicamente fruttuoso».

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