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giovedì 1 gennaio 2015

Dal Colle alle riforme: i piani dei leader per il 2015 Renzi ha una sola speranza (e non dipende da lui)

I piani di Matteo Renzi per il 2015: prendere tempo e sperare nella ripresa

di Tommaso Montesano 


I suoi fedelissimi sono sicuri: stanotte all’arrivo del nuovo anno il primo pensiero di Matteo Renzi non sarà tanto per l’imminente inizio della partita per il Quirinale, che pure assorbirà gran parte delle sue energie nel mese di gennaio, quanto per la tanto sospirata ripresa economica. «Negli ultimi anni ha vinto la sfiducia. Ma faremo di tutto per ridare speranza all’Italia», ha ripetuto anche nelle ultime ore del 2014 il presidente del consiglio.È la ripartenza che tarda ad arrivare il vero cruccio di Renzi. Al 2015 il segretario del Pd chiede soprattutto buone nuove su quel fronte. In questo senso ad aprire uno spiraglio, ieri, è stato l’Istat con la tradizionale nota mensile. Quel riferimento alla «fase di contrazione dell’economia italiana» che è destinata ad «arrestarsi nei prossimi mesi in presenza di segnali positivi per la domanda interna» non è sfuggito a Palazzo Chigi. E sono «ottimi», aggiunge Filippo Taddei, responsabile economia e lavoro del Pd e stretto collaboratore del premier, anche i «dati sulla fiducia delle imprese italiane a dicembre, nel manifatturiero, ma soprattutto nel commercio al dettaglio».

Un ottimismo che stride con i numeri relativi alla disoccupazione. «Le condizioni del mercato del lavoro», sentenzia l’Istat, «rimangono difficili, con livelli di occupazione stagnanti e tasso di disoccupazione in crescita». Fatto sta che Renzi è costretto a scommettere tutto sulla ripresa. Senza l’agognato miglioramento dello scenario economico, la sua immagine di rinnovatore - già appannata - rischia di sbiadire ulteriormente. Ma il rilancio dell’Italia passa giocoforza anche e soprattutto per un’inversione di tendenza sul fronte dell’agenda delle riforme. Italicum e riforme del bicameralismo e del Titolo V della Costituzione sono in ritardo. E stavolta «le riforme bisogna farle davvero», continua a ripetere Renzi. Per non parlare della partita del Jobs Act, destinata ad arricchirsi di un nuovo capitolo, quello dell’estensione delle nuove regole ai lavoratori statali. Il redde rationem avverrà in occasione dell’esame della riforma della Pa in discussione al Senato, ha promesso il presidente del consiglio, che si è detto favorevole al licenziamento dei «fannulloni» di Stato. Si vedrà. 

Prima di tutto, però, Renzi dovrà sbrogliare la matassa della successione di Giorgio Napolitano. Entro fine gennaio bisognerà individuare un candidato in grado di superare senza problemi le forche caudine del voto segreto. Al 2015, al di là delle dichiarazioni di facciata, il premier chiede un presidente della Repubblica che non ostacoli, in caso di necessità, il suo eventuale ricorso alle elezioni anticipate. Un nome, in sintesi, riconoscente (verso chi l’ha eletto) più che autorevole. Dal profilo non troppo marcato. In quest’ottica, visto da Palazzo Chigi, sono preferibili figure come Graziano Delrio o Roberta Pinotti piuttosto che nomi come quelli di Mario Draghi e Romano Prodi. E se Renzi ostenta noncuranza su ciò che gli riserverà il futuro sul versante della minoranza interna del Pd (anche se una limitata scissione a sinistra potrebbe addirittura giovargli nel progetto per la costruzione del «partito della Nazione»), l’altro cavallo di battagliasi chiama Unione europea. 

Il semestre di guida italiana del Consiglio Ue si chiuderà ufficialmente il 13 gennaio. Il sipario, però, di fatto è già calato. «Per noi è un motivo di grande gioia essere a Tirana per chiudere qui, simbolicamente, il semestre italiano», ha detto ieri Renzi dall’Albania. Il bilancio della presidenza italiana non è certo esaltante. Per questo Renzi è tornato ad agitare la bandiera del cambiamento a Bruxelles. «L’Unione europea è a un bivio e abbiamo bisogno di capire se l’Europa riesce a recuperare la sua anima e la sua identità». L’Unione deve essere «la casa della speranza, non dei vincoli». Il 2015, insomma, per Renzi deve portare al riequilibrio tra le priorità europee: «L’Europa sia, prima ancora che vincoli, spread e dati economici, cultura, identità e orgoglio». 

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