Borsa, Unimpresa: "La crescita di Piazza Affari dovuta allo shopping estero"
Anni di lacrime, anni di sangue. Anni di governi e premier non eletti: da Mario Monti ad Enrico Letta, da Enrico Letta a Matteo Renzi. Anni di tasse, recessione, stagnazione e, in alcuni casi, disperazione. Anni per i quali, ora, stiamo continuando a pagare il conto. Certo, c'è il peso del Fisco, sempre più insostenibile. Poi la disoccupazione alle stelle, le imprese che muoiono, le industrie che non producono. Poi c'è la Borsa, che invece cresce, un rally iniziato nel 2013 e destinato a proseguire nel 2014.
Shopping estero - Un dato che ci dovrebbe far sorridere? Non proprio. Già, perché è una diretta conseguenza dello "shopping estero nel made in Italy di piazza Affari, che vale sempre di più". Insomma, quell'unico segno "più" alla Borsa di Milano in un quadro di perenne recessione è dovuto a una sorta di neocolonialismo economico. Sottolinea un report di Centro studi di Unimpresa: in Borsa "aumenta il valore, ma sono sempre più in mani straniere. Oltre il 40% delle società per azioni italiane quotate in Borsa, che hanno visto crescere la capitalizzazione complessiva di 159 miliardi di euro nell'ultimo anno, è posseduto da soggetti esteri. Mentre il 53% delle imprese (anche le non quotate) è controllato dalle famiglie". Nel dettaglio, "da gennaio 2013 a gennaio 2014, il capitale delle spa quotate del nostro Paese è passato da 354,7 miliardi di euro a 514,3 miliardi in crescita di 159,5 miliardi (+45%)". Aumenti che però, come detto, sono riconducibili allo "shopping estero" e non a una ripresa del mercato interno.
Le cifre - A Piazza Affari, infatti, "cresce il peso degli azionisti non italiani che ora hanno partecipazioni di imprese quotate della Penisola pari a 215,1 miliardi, il 41,8% del totale. Predominante, seppur in leggera diminuzione, il peso delle famiglie nel capitale delle aziende (quotate e non) con partecipazioni pari a 893 miliardi, in aumento di 111,7 miliardi".
Il peso delle banche - Secondo Unimpresa, la cui analisi è basata sui dati di Bankitalia, "da gennaio 2013 a gennaio 2014, si è assistito a uno scatto in avanti del valore delle spa presenti sui listini di piazza Affari. Le partecipazioni di spa quotate in mano alle imprese italiane a gennaio 2014 valevano 141,6 miliardi (il 27,5% del totale) in crescita di 50,5 miliardi (+55,5%) rispetto ai 91 miliardi di gennaio 2013". In questo scenario "le banche continuano ad avere una presenza forte, seppure in lieve calo, nel capitale delle spa quotate con il 6,4%, pari a 32,7 miliardi in crescita di 572 milioni (+1,8%). Lo Stato centrale ha nel suo portafoglio titoli azionari quotati italiani per 16,1 miliardi (+3,1%), in aumento di 5,3 miliardi (+48,9%) rispetto ai 10,8 miliardi di un anno prima". Quindi i dati relativi ai privati, le famiglie, che controllano quote pari a 69,2 miliardi (il 13,5% del totale), cresciute di 14,6 miliardi (+26,8%) rispetto ai 54,6 miliardi dell'anno precedente.
L'allarme - Ma, ad oggi, il controllo degli stranieri di Piazza Affari è salito al 41,8%, con partecipazioni per 215,1 miliardi di euro, in aumento di 75,6 miliardi rispetto ai 139,5 miliardi di gennaio 2013. Unimpresa specifica che complessivamente il valore delle società italiane quotate "è salito in un anno di 159,5 miliardi (+45%) da 534,7 miliardi a 514,3 miliardi". Dati che allarmano, secondo il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, il quale sottolinea: "Se da una parte va valutato positivamente l'aumento del valore delle imprese italiane, dall'altro bisogna guardare con attenzione la presenza degli stranieri e capire fino a che punto si tratta di investimenti utili allo sviluppo e dove finisce, invece, l'attività speculativa". Longobardi spiega che "la fortissima crisi che sta colpendo l'Italia più di altri paesi sta consegnando di fatto i pezzi pregiati della nostra economia a soggetti stranieri, che non sempre comprano con prospettive di lungo periodo o di investimento, ma spesso per fini speculativi".
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