LA
PEDOFILIA E’ UN’INFAMIA. MA BISOGNA CAPIRE PER AIUTARE
di Padre Mauruzio Patriciello
È
quasi sera. Una gelida sera d’inverno. A Portici, sulla darsena,
tre pescatori riassettano le reti prima del ritorno a casa. A un
tratto si soffermano a scrutare una scena che non li convince. Poco
distante un uomo sui trent’anni tiene per mano una piccola bambina.
Certo, potrebbe essere suo padre, ma perché si dirige verso quel
casolare abbandonato, sporco e senza luce? Si guardano. Decidono.
Intervengono. Arrivano appena in tempo per evitare che lo scempio
venga consumato. L’uomo scappa lasciando la bambina in preda al
panico. Si saprà poi che gli era stata affidata dai nonni per
condurla a una festa. La notizia fa il giro del paese. I carabinieri
sottraggono a fatica il reo dal linciaggio. Per lui si aprono le
porte del carcere di Poggioreale. E noi abbiamo il dovere di non
distogliere l’attenzione dal dramma della pedofilia. Sempre. Non
solo quando la cronaca ci indigna e ci commuove. Nei mesi passati si
è discusso molto di alcuni casi di preti che negli anni si erano
macchiati di questo reato infame. Se ne è parlato a lungo e spesso
in modo non corretto. Qualcuno prese a sparare nel mucchio, alla
cieca, colpendo persone rispettabilissime che con la pedofilia non
avevano mai avuto niente a che fare. Solo perché preti. Discepoli di
Gesù Cristo, annunciatori del suo Vangelo. Quando l’uomo soffre
cerca un capro espiatorio, un untore per scaricargli contro gli
strali. La Chiesa ha preso atto che tra le sue fila alcuni fratelli
avevano tradito il dono ricevuto. Si è fatta prossimo verso le
vittime. Ha pregato. Ha pianto. Nella Chiesa si sono fatti esami di
coscienza individuali e collettivi. “ Un’infame emergenza non
ancora superata, la quale causa danni incalcolabili a giovani vite e
alle loro famiglie…” ebbe a dire il cardinale Bagnasco. Ma la
domanda che ci toglie il sonno è ancora là. I pedofili ci sono.
Sono magari nostri parenti, nostri amici. Che fare? Il problema non è
stato mai risolto, ma solo accantonato. Messo a tacere fino al
prossimo scandalo, alla prossima vittima. Allora si riprende a
discutere con rabbia dell’orco dei bambini. Allora il linciaggio –
ancestrale modo di farsi giustizia da soli – appare addirittura
comprensibile. Allora ci accorgiamo di non aver fatto tutto ciò che
si poteva fare per evitare ulteriore scempio. Le domande attendono
risposte: chi sono questi uomini pronti a rischiare la rovina, il
linciaggio, le terribili angherie nelle carceri pur di soddisfare la
loro libidine malata? Possono, con la sola forza della loro deviata
volontà, evitare di scivolare e trascinare con sé i bambini nel
buco nero che li ammalia? Di che cosa mai necessitano? Come possiamo
aiutarli? Insomma, sono solo viziosi da internare o anche malati da
curare? Credo che sia giunto il tempo di chiamare a raccolta il
meglio delle conoscenze scientifiche per tentare di indagare i
meandri della psiche di queste persone. Per studiare, capire, curare,
prevenire. Siamo chiamati tutti a riflettere alla luce delle scienze
– psicologia, psichiatria, pedagogia, criminologia - e della fede.
I bambini ci interpellano. Chiedono di essere aiutati. E noi
prendiamo atto di non saperlo fare ancora in modo appropriato. Ma
anche verso coloro che sentono di essere risucchiati nel vortice di
un dramma che li sconvolge e ci sconvolge, abbiamo il dovere di dire
una parola di speranza. Minacciarli, disprezzarli, rinchiuderli non
servirà a granché. Occorre capire per aiutare. Occorre entrare nel
cuore umano, conoscerne le contraddizioni, le speranze, le mille
schiavitù per intervenire con efficacia. Per il bene di tutti. I
bambini non si toccano. Chi tocca i bambini è un infame. È vero. Ma
allora perché indugiare nell’ investire il meglio delle nostre
risorse per restituire alla società l’ orco che ci sconvolge
l’esistenza ma, a nostra insaputa, vive in mezzo a noi?
Nessun commento:
Posta un commento