Visualizzazioni totali

giovedì 29 gennaio 2015

"Feltri al Colle". Matteo Salvini lo candida Ma Vittorio lo bastona: "Vuol dire che..."

Vittorio Feltri: "Io al Quirinale? La politica sta raschiando il fondo del barile"





La Lega Nord, per il Quirinale, ha fatto il nome di Vittorio Feltri. Un'ipotesi rilanciata anche dal leader, Matteo Salvini. Il fondatore di Libero, intervistato da Il Tempo, dice la sua sull'ipotesi quirinalizia. A modo suo, senza peli sulla lingua: "Vede, fa piacere essere citato, scelto da qualcuno, anche per il Quirinale. E' sempre meglio che farsi dare della testa di cazzo pubblicamente...". Dunque si chiede a Feltri se, per caso, non avrà da ridire anche su se stesso. Il direttore risponde: "Non si tratta di questo bensì di una constatazione diversa. Ed abbastanza evidente. Il fatto che sia uscito il mio nome dimostra a che punto siamo arrivati nel decadimento della nostra classe politica. Se mi rottamo da solo? Macché. Voglio dire che ormai si è arrivati a raschiare il fondo del barile".

In Lombardia sì alla legge anti moschee Gad Lerner sbrocca: "Leghisti trogloditi"

La Lombardia approva la legge anti moschee e Gad Lerner sbrocca: "Trogloditi"





La Regione Lombardia ha approvato la legge anti-moschee dando così uno schiaffo al sindaco di Milano Giuliano Pisapia che aveva indetto un bando per l'assegnazione di spazi in città, che avrebbe portato alla costruzione di almeno due moschee. Dopo una lunga giornata di discussioni e di cambiamenti dell'ultimo minuto, la normativa è passata coi voti favorevoli della maggioranza e con quelli contrari del Pd e dei Cinquestelle. In sostanza, con questa nuova legge si irrigidiscono le regole e i requisiti per costituire luoghi di culto. 

Ma questa norma ha già scatenato la polemica sui social network. Alessandro Gilioli, nel suo blog su l'Espresso dice che la Lombardia va contro la Costituzione e su Twitter scrive: "Meravigliosa la Lega che nella legge regionale anti-moschee impone il rispetto per il paesaggio lombardo", mentre Gad Lerner cinguetta: "Con l'approvazione della legge anti-moschee la regione Lombardia conferma di essere governata da trogloditi".

Corona bastonato: in cella 4 anni in più L'ex re dei paparazzi punito dalle toghe

Fabrizio Corona, la Cassazione: "No allo sconto di pena"





Niente sconto di pena per Fabrizio Corona. Viene revocata la decisione del gip del tribunale di Milano presa lo scorso 10 gennaio, quando applicando la "continuazione" dei reati per i quali l'ex fotografo era stato condannato il cumulo della pena totale era sceso da 13 anni e due mesi a 9 anni. La decisione è della Cassazione, che ha rinviato a un nuovo esame, davanti al gip del tribunale di Milano, il calcolo della pena totale che Corona deve scontare. Corona è stato inoltre condannato al pagamento delle spese processuali.

La decisione - Nel dettaglio i giudici della Prima sezione penale hanno accolto in buona parte il ricorso del pm del tribunale di Milano contro lo sconto di pena applicato dal gip lo scorso febbraio. "Si annulla l'ordinanza impugnata - si legge nel dispositivo depositato in cancelleria - limitatamente al riconoscimento della continuazione tra i reati di estorsione e i restanti reati oggetto delle sentenze dell'8 marzo 2010 del gip del tribunale di Milano e del 7 giugno 2012 della Corte d'Appello di Milano, e si rinvia per nuovo esame al gip del tribunale di Milano. Si rigetta il ricorso di Corona Fabrizio che si condanna al pagamento delle spese processuali".

La richiesta - Corona, ad oggi, è recluso nel carcere milanese di opera da circa due anni. Nei giorni scorsi l'ex re dei paparazzi aveva chiesto al tribunale di Milano di poter scontare il resto della pena ai domiciliari o in una comunità quale quella di Don Mazzi. "Sto male, soffro di attacchi di panico", aveva detto Corona ai giudici, che hanno deciso di disporre una perizia psichiatrica per verificare lo stato di salute mentale del carcerato.

Renzi, la Boldrini e...la nipote: un favore che costa 40mila euro

Matteo Renzi paga 40mila euro per far contenta Laura Boldrini

di Franco Bechis



Per la presidentessa della Camera, Laura Boldrini, era diventata quasi una fissa: il linguaggio di genere. Lei non sopporta di essere declinata al maschile, e ritiene che insegnare i giusti modi declinando al femminile anche termini da sempre utilizzati al maschile sia esigenza di civiltà. A forza di insistere Matteo Renzi l’ha accontentata. E ha puntato sul sogno della Boldrini la bellezza di 40 mila euro. Anzi, per la precisione 39.900 euro non si sa se Iva compresa o meno. A stanziare la somma è stato il dipartimento pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, guidato grazie a una delega data dallo stesso Renzi nell’autunno scorso, dalla parlamentare del Pd, Giovanna Martelli. Il 17 dicembre scorso ha destinato quella somma non piccola per una “ricerca relativa al linguaggio di genere, con l’obiettivo di approfondire la riflessione sulle relazioni reciproche fra cambiamento socio-culturale e l’evoluzione degli usi linguistici, quale efficace strumento della lotta alle diseguaglianze basate sul genere”.

Niente trattativa - Una ricerca per 40 mila euro è davvero pagata profumatamente. Se Palazzo Chigi avesse fatto una gara, probabilmente ci sarebbe stata la fila per vedersela assegnare. Ma gara non c’è stata, e a trattativa diretta è stata scelta per compilare il libro dei sogni della Boldrini la dottoressa Chiara Meta. Classe 1978, ex insegnante di liceo, ricercatrice di scienze dell’educazione all’Università di Roma Tre, la brava prof non è proprio uno di quei nomi indiscutibili del mondo accademico italiano. Ha pubblicato numerosi saggi su Antonio Gramsci (che con la parità di genere linguistica ci azzecca assai poco) e per Aracne editrice ha dato alle stampe un lavoro che si avvicina un pizzico di più alla materia: “Neofemminismo e legislazione del lavoro negli anni Settanta”. Poco conosciuta nel mondo accademico, la fortunata Meta che ha fatto bingo con quella commessa da 40 mila euro, è invece meglio conosciuta nel vasto mondo del Partito democratico. Anche grazie alla parentela con uno dei leader del Pd laziale: Michele Pompeo Meta, presidente della commissione trasporti della Camera.

mercoledì 28 gennaio 2015

Non aprite quella mail di "Equitalia" La truffa sul pc: così fregano i soldi

Equitalia, allarme false mail. L'agenzia: cestinatele





Occhio alle false mail di Equitalia. La truffa è dietro l'angolo. Messaggi con oggetto 'messaggio equitalia' o simili che circolano in queste ore e che richiedono ai possessori di carte di credito e carte di debito di "attualizzare i propri dati, preannunciando una possibile multa a chi non si adegua". Così arriva dall'agenzia di riscossione l'allarme per l'ultima truffa on line che, secondo le segnalazioni degli utenti, sta spopolando nelle ultime ore. 

La mail - Una truffa che segue lo schema classico del phishing, e cioè quel tipo di frode effettuata su internet attraverso cui si cerca di ingannare la vittima convincendola a fornire informazioni personali (dati finanziari o codici di accesso) in modo fraudolento, spesso spacciandosi per banche o istituti finanziari, in modo da poterli poi usare per sottrarre denaro alle vittime. "equitalia è assolutamente estranea a questi messaggi potenzialmente pericolosi e invita i destinatari a non tenere conto della mail ricevuta", recita la nota diffusa dall'agenzia per avvertire gli utenti.

Fuoriusciti 5 stelle inseguiti e insultati dagli attivisti: "Venduti"

I fuoriusciti 5 stelle aggrediti e insultati: "Venduti, ridateci i nostri voti"





Sono stati scortati dalla polizia i parlamentari del Movimento 5 Stelle che hanno lasciato il partito di grillo. I dieci fuoriusciti stavano raggiungendo la sede del Pd in Largo del Nazareno per partecipare alle consultazioni con Matteo Renzi in vista delle'elezione del nuovo capo dello Stato. Un gruppo di attivisti grillini li ha contestati duramente, al grido di "venduti", "ridateci i voti", "Siete senza l'anima". Ci sono stati spintoni e le forze dell'ordine hanno evitato il corpo a corpo. Particolarmente preso di mira Walter Rizzetto. Gli attivisti sono arrivati quasi alle mani col deputato accusandolo per la sua scelta di lasciare il Movimento, insieme ad altri nove parlamentari, alla vigilia del voto per il Colle. Rizzetto è stato costretto a rinunciare all'incontro e a tornare sui suoi passi, inseguito per diversi minuti dagli attivisti che hanno continuato a insultarlo e contestarlo.

Bechis: veleni e dossier sul Quirinale: così i candidati si fanno fuori a vicenda

Toto-Colle, il retroscena di Bechis: veleni e dossier nella corsa al Quirinale

di Franco Bechis 



A forza di fare circolare nomi di possibili «quirinabili», qualcuno dei favoriti deve essersi perso per strada. Forse non è tornato più a casa, e i familiari disperati lo stanno cercando. Deve essere per aiutarli che ieri intorno a Montecitorio è improvvisamente apparsa una troupe televisiva del celebre programma “Chi l’ha visto?”, condotto da Federica Sciarelli: «Giriamo un servizio per la puntata di venerdì», assicuravano i cameramen. Chi sia il candidato scomparso, non si sa. Ma nelle redazioni dei principali media una certa preoccupazione si nota: avendo raggiunto ormai quota 50 la lista dei «papabili», il vero rischio è che il prescelto sia il numero 51, un po’ come capitò al conclave quando nessuno o quasi nei borsini della vigilia aveva incluso il nome di Jorge Mario Bergoglio. Per non rischiare una figuraccia, probabilmente appariranno alla rinfusa nuovi nomi nei borsini dei prossimi giorni. A Palazzo a dire il vero non sono tanti quelli di cui si chiacchiera in queste ore. Non c’è timore di bruciare i nomi: ormai tutti o quasi sono stati fatti. Quel che si nota è invece il movimento di piccoli manipoli, quelli che un candidato del cuore ce l’hanno davvero, e fanno di tutto per farlo avanzare. Soprattutto cercano di bruciare gli avversari spargendo sale su ferite aperte da tempo. 

Il prescelto - Non pochi renziani vaticinano una scelta secca che il presidente del Consiglio Matteo Renzi farà sul nome del suo ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Non ci sono truppe però a fare campagna elettorale. I veri renziani aspettano solo un sospiro del Capo e poi diligentemente si adegueranno, spargendo tweet di miele e dichiarazioni colme di lodi per il prescelto. Padoan non ha tifosi, ma nemmeno troppi avversari. «Non può dirgli di no la minoranza Pd», spiegava ieri l’ex direttore de l’Unità, Giuseppe Caldarola, «perché lui era consulente di Massimo D’Alema nella Fondazione italiani-europei. E piace anche a chi guarda questa elezione dall’estero». Storceva la bocca invece Silvio Berlusconi, ma gli spifferi di palazzo dicono che avrebbe cambiato idea dopo che lo stesso Renzi gliene ha provato la fedeltà grazie al silenzio assoluto tenuto sulla vicenda del decreto fiscale del 24 dicembre scorso con quella normetta salva-Berlusconi che il ministro dell’Economia ha incassato con largo sorriso. 

Si stanno muovendo da giorni invece le truppe che portano i candidati ex democristiani: quelli che vorrebbero Sergio Mattarella, e quelli che tifano Pierluigi Castagnetti. Sono fra i più attivi nel contattare la stampa per il gioco del tiro al piattello: spargono notizie che sono proiettili pronti ad abbattere il candidato che in quel momento sembra in volo. Missili e scud sulla candidatura di Giuliano Amato, che ha non pochi estimatori in Forza Italia come dentro il Partito democratico (dove l’unico che storce veramente la bocca è proprio Matteo Renzi). 

Marco Travaglio è partito in tempo riunendo gli appunti di una vita professionale per «uccellare» il candidato. Bei colpi, che risvegliano i ricordi dell’opinione pubblica. Ma che a palazzo sembrano sortire l'effetto contrario. «Voterei Amato con gusto», confidava ieri il bersaniano Miguel Gotor un po’ scherzando, un po’ no, «solo per fare un dispetto al Fatto Quotidiano». Altri proiettili, questa volta pronti a puntare su Anna Finocchiaro, presidente della commissione affari costituzionali del Senato. Il suo nome appare spesso nelle rose ristrette di candidati: è una delle poche donne papabili, e si sa che sull’argomento il premier è assai sensibile. Con la gestione del pacchetto riforme, la Finocchiaro ha conquistato la simpatia e la stima del ministro Maria Elena Boschi, e anche questo argomento ha sicuramente presa su Renzi.  Ha tifosi di primo piano anche in Forza Italia: piace al capogruppo dei senatori, Paolo Romani che ha costruito in questi mesi un buon rapporto con lei, e ancora di più piace a Donato Bruno, che con lei ha fatto coppia istituzionale da molto tempo su alcuni dei provvedimenti più delicati e bipartisan. La Finocchiaro ha chance, dunque. E ecco spuntare immediatamente le noto foto di Chi con lei che usava la scorta per fare la spesa all’Ikea. Poco? Non basta? Ecco confezionato il dossier sui guai giudiziari del marito, Melchiorre Fidelbo: è a processo per truffa e abuso per un appalto di informatizzazione a Giarre, provincia di Catania. Atti giudiziari, deposizioni di testimoni piuttosto pesantine durante il processo, e foto di lui (che assomiglia a un Massimo D’Alema un pizzico più giovane) e lei sorridenti a corredo del dossier. E soprattutto: sentenza prevista per i primi di febbraio, proprio all’indomani della elezione del presidente della Repubblica.

Troppo riserbo - Tiro al piattello centrato. Ma truppe pro-Finocchiaro già ieri in azione, pronte a contattare giornalisti per fare filtrare notizie alternative. «Anna ha fatto un solo errore: il riserbo sulle sue vicende personali», confidava un amico ex parlamentare ieri, «e invece era meglio che si sapesse che lei e il marito sono separati di fatto da molto tempo. Lei non c’entra proprio nulla con gli affari che fa lui...».