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martedì 4 novembre 2014

Ilaria Cucchi attacca i pm: "Ci fanno perdere tempo, non si riapre un'indagine così"

Caso Cucchi, Ilaria attacca i pm: "Presi in giro"




Il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, dopo l'incontro con la famiglia Cucchi si era detto disposto a riaprire l'indagine sulla morte di Stefano Cucchi, pronto a valutare nuovi elementi che dovessero emergere. Aspetti della vicenda che portò alla morte del giovane in carcere mai considerati a livello processuale, come la decisione da parte del giudice di direttissima di convalidare l'arresto del giovane (scambiandolo per un albanese) anzichè mandarlo agli arresti domiciliari. Poche ore dopo, però, lo stesso Pignatone è sceso in difesa dei pubblici ministeri che avevano condotto le indagini, Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy: "Godono della mia piena fiducia, hanno fatto un lavoro egregio" ha detto. E tra la sorella di Stefano, Ilaria, e la procura romana è tornato a scendere il gelo: "Non sono passate nemmeno due ore e il procuratore capo di Roma ha già capito che i pm Barba e Loy hanno fatto un ottimo lavoro. I casi sono due: o il dottor Pignatone è riuscito in nemmeno due ore a studiare alla perfezione tutto il fascicolo oppure forse oggi abbiamo perso tutti del tempo".

Prima dell’appuntamento con Pignatone Ilaria aveva sottolineato: "Ci aspettiamo che il procuratore assicuri i responsabili della morte di mio fratello alla giustizia. Abbiamo vinto noi dopo aver lottato per cinque anni. Stefano è morto di giustizia qui, è stato pestato in tribunale. Io non ce l’ho con nessuno, chiedo a tutti però di riflettere su quello che ha passato". Poi, al termine dell’incontro, aveva anticipato: "Il procuratore si è impegnato a rivedere tutti gli atti sin dall’inizio". Ma la doccia gelata del sostegno ai pm ha riacceso lo scontro.

Alfonso Signorini a cuore aperto: "La mia leucemia scoperta dalla Ferilli e quando Marina mi voleva licenziare..."

Alfonso Signorini: "Quando la sinistra mi voleva in politica e quando Marina Berlusconi voleva licenziarmi"




Dalla politica alla malattia, dal gossip - ovviamente - fino alla sua infanzia. A cuore aperto, Alfonso Signorini. Il re del gossip si confessa in una lunga intervista a Il Giornale. Il direttore di Chi premette: "Ho un difetto enorme: quando raggiungo qualcosa, poi voglio dell'altro". Sulle sue abitudini, spiega: "Dormo sempre pochissimo. Faccio meno per scelta, perché dico no a tante cose. E per costrizione, perché come racconto nel mio libro mi sono ammalato di leucemia". Un dramma, e Signorini spiega come è iniziato: "Ero in diretta, all'ultima puntata di Kalispera. C'era la Ferilli, ricordo la sua bocca che si muoveva, lei parlava parlava e io sentivo il sudore colarmi lungo la schiena. Avevo 40 di febbre, mi hanno portato subito in ospedale". Oggi, spiega il direttore, "vedo la vita con altri occhi. E' stato un incidente frontale, ma sono arrivato a considerarlo una benedizione. Un dono".

Detersivi e nozze gay - Poi una curiosità. Si parla di Fedez, il rapper in recente polemica con Maurizio Gasparri e che a Sigorini aveva dedicato una canzone tutt'altro che benevola. "Io pensavo che Fedez fosse un detersivo - spiega Alfonso -, comunque l'ho ascoltato su youtube e mi sono detto: meraviglioso. Così l'ho intervistato e l'ho elogiato". Nessun rancore, dunque, tanto che Signorini interpretò se stesso nel video di quella canzone, chiamato proprio da Fedez. Si passa poi alla vita privata, al suo fidanzamento "da dodici anni e mezzo. Sono fortunato. Paolo non sa niente di spettacolo". Signorini, ritorna poi su quell'affermazione che fece discutere, "sono gay ma non mi piacciono i gay", e spiega: "Non amo le categorie. Già parlare di mondo o cultura gay per me è l'anticamera della ghettizzazione". Sulle nozze omo sottolinea che "non sono favorevole al matrimonio tout-court".

Chiamata sinistra - Si passa poi alla politica, e a chi lo accusa di essere lo spin doctor di Silvio Berlusconi risponde: "Se è vero? Me lo chiedo pure io. L'altro giorno mi hanno dato del lecca-Renzi perché ho messo la D'Urso in copertina dopo che l'ha invitato in trasmissione". La politica, rimarca, "non mi piace. Altrimenti avrei detto sì a chi mi ha chiesto di farla". E qui, forse, la più grande sorpresa dell'intervista. Chi ha chiesto di fare politica a Signorini? "Tutti. A destra e a sinistra". Su Berlusconi, poi aggiunge: "Ci ho messo la faccia e lo sostengo, anche se sono amico di Renzi. Per la verità io non sapevo neanche cosa volesse dire spin doctor - torna sulla domanda precedente -. Anche a Renzi dico sempre: parla come mangi: perché lo chiami Jobs act? Riforma del lavoro".

Quasi licenziato - Quindi, inesorabilmente, si passa al suo lavoro, al gossip. Si parte dalle foto di Veronica Lario recentemente pubblicate, e che la mostravano decisamente sovrappeso. Fu una cattiveria? "Lei si è arrabbiata, però poi ha perso dodici chili...come mai? Deve ringraziarmi, in realtà". Altro giro, altro aneddoto. Signorini svela che fu anche a un passo del licenziamento, complice il topless che pubblicò di Marina Berlusconi: "Mi ha telefonato dalle Bermuda, voleva licenziarmi". Poi aggiunge: "Ma io mi sono detto: se mi licenziano, divento il Che Guevara del gossip. Per fortuna ho l'amministratore delegato che mi difende". Signorini, inoltre, svela anche una telefonata di fuoco di Simona Ventura: "Siamo amici, mi ha sbranato". Perché? "Beh, c'era questa Botox Gallery...".

Piccolo e str... - Infine un tuffo nell'adolescenza del re del gossip, che premette: "La fama da perfido funziona". E questa fama, si dice, se l'era costruita a scuola. E lui lo conferma: "E' vero, ero uno stronzo. Mi vergogno. Mi sono autogiustificato così: gli altri mi snobbavano, ero sempre lo sfigato, ma il giorno del compito in classe era la mia rivincita. Costruivo barricate per non far sbirciare, facevolo la spia col profe, davo suggerimenti sbagliati...". Perfido insomma, davvero perfido.

La truffa del 730 precompilato: Renzi ci frega sulle spese mediche

730 precompilato, meno rimborsi fiscali: la truffa delle spese mediche

di Antonio Castro 


Una dichiarazione dei redditi semplificata per 20 milioni di contribuenti? Non proprio, visto che - stimano preoccupati commercialisti, consulenti del lavoro, tributaristi e Caf - circa l’85% delle dichiarazioni che l’Agenzia delle Entrate (non) preparerà dovranno essere integrate.

E qui salta fuori il dubbio: l’innovazione della dichiarazione precompilata, fortemente voluta dal governo, quest’anno non prevederà tutta una serie di detrazioni e deduzioni che contribuiscono (al 19% delle spese sostenute), ad alleggerire il carico fiscale.

Ogni anno (dati relazione Vieri Ceriani sull’Erosione fiscale), ben 14.150mila contribuenti (circa uno su tre dei 40 milioni di contribuenti censiti), portano al commercialista, al consulente o ai Caf spese mediche e sanitarie. Ebbene quest’anno (2015, redditi 2014), queste spese non saranno calcolate dal fisco ai fini di conteggiare l’eventuale detrazione che spetta ad ognuno di noi. In media ogni anno ciascun italiano - inserendo nella dichiarazione dei redditi scontrini di farmaci, visite mediche e fatture per prestazioni sanitarie - ottiene uno sconto di 166 euro. Un rimborso fiscale esiguo, certo, che però moltiplicato per 14 milioni e rotti di contribuenti fa la bellezza di oltre 2,3 miliardi che l’Erario non incassa (e che il sostituto d’imposta il luglio successivo deve restituire).

Il governo ha spiegato che quest’anno, visto che il 730 precompilato è stato lanciato con così poco preavviso, non saranno calcolate le eventuali detrazioni spettanti per spese mediche e sanitarie, spese funerarie e erogazioni a onlus e associazioni benefiche.

Il grande fratello fiscale, non sarebbe in grado di calcolare l’esatto ammontare delle detrazioni spettanti perché se è vero che conosce dalle farmacie (scontrino elettronico farmaceutico), i nostri acquisti con codice fiscale, non ha invece una banca dati delle altre spese sanitarie. Visite specialistiche, terapie odontoiatriche, presidi medici (occhiali o protesi), non vengono censiti anche se fatturate elettronicamente e quindi l’incrocio telematico di dati non è oggi possibile.

Se è vero che la fattura del cardiologo o del dentista non è quasi mai telematica, gli scontrini della farmacia però risultano all’Agenzia, che monitorizza (con Sogei), tramite il codice fiscale l’andamento della spesa, salvo poi tirarsi indietro quando si tratta calcolare e riconoscere automaticamente le detrazioni spettanti (19% di quanto speso), al contribuente.

Ma c’è dell’altro: l’introduzione della precompilata prevede che il contribuente che accetta, senza modificare o integrazioni, la dichiarazione abbia una sorta di immunità. Insomma, chi accetta quanto scrive l’Agenzia non verrà sottoposto a eventuali controlli e accertamenti ex post.

Chi invece volesse integrare la dichiarazione rientrerà nel potenziale bacino dei controlli automatici. Se invece si accetterà la dichiarazione ma si apporteranno delle modifiche «che incidono sulla determinazione del reddito o dell’imposta, il contribuente non beneficierà dall’esclusione dai controlli».

Tradotto: se si accetta per buono la dichiarazione delle Entrate, si ha “l’immunità fiscale”. Se invece si integra, magari chiedendo la detrazione del 19% delle spese mediche sostenute, il fisco continuerà a controllare. Considerando il rimborso fiscale medio - 166 euro, stimato dal ministero dell’Economia - c’è da chiedersi quanti saranno gli italiani che per pochi spiccioli, rinunceranno a chiedere il rimborso pur di evitare di finire nel calderone dei controlli postumi.

Ogni anno l’Agenzia delle Entrate inviai ben 900mila richieste di chiarimento in merito alle dichiarazioni dei redditi consegnate da altrettanti contribuenti. La precompilata dovrebbe servire per abbattere questo carteggio. O meglio: le richieste di chiarimento giungerebbero solo ai professionisti e ai Centri di assistenza fiscale. Ma nel caso in cui non si accettasse la dichiarazione compilata dal fisco, allora resterebbe valida la facoltà di controllo.

Sorge il sospetto che escludere l’automatismo di calcolo per le spese mediche (così come per quelle funebri, le donazioni o le spese di istruzione), e introducendo contestualmente “l’immunità dai controlli” per chi accetta passivamente la dichiarazione preparata dall’Agenzia delle Entrate, sia un modo per contenere e ridurre le richieste di rimborso, vista anche l’esiguità degli importi. E così lo Stato eviterebbe di restituire - nel luglio dell’anno successivo - le eventuali maggiorazioni d’imposta già pagate. Il vantaggio per le casse dello Stato sarebbe più che simbolico. Milioni di contribuenti che non reclamano rimborsi, si traducono in miliardi di maggiore disponibilità per il bilancio pubblico.

Non è proprio un taglio delle detrazioni vigenti - come ipotizzato già nel 2013 - ma gli assomiglia molto...

Conti pazzi di Renzi/Padoan sul Tfr Ecco quanto ci costeranno in tasse

Solo il 20% prenderà il Tfr in busta: "buco" nella manovra

di Leonardo Marisol 


Un buco da circa 1 miliardo e mezzo nei conti pubblici 2015, se la trovata di inserire il trattamento di fine rapporto (Tfr) in busta paga non dovesse convincere i lavoratori a spendere oggi quello che andrebbe risparmiato per domani. Il governo Renzi, con la Legge di Stabilità, prevede la facoltà per chi lavora in un’azienda privata (il Tfs, trattamento di fine servizio degli statali non è anticipabile), di farsi anticipare in busta paga mensilmente il 6,9% della retribuzione lorda, liquidazione che in teoria spetterebbe al momento di andare in pensione o di cambiare azienda.

Secondo un sondaggio realizzato per Confesercenti da Swf, solo «due dipendenti su dieci sarebbero propensi a incassare subito» il “tesoretto” della liquidazione.  Problemi loro, verrebbe da pensare. E invece no. Il governo ha ipotizzato - nero su bianco - che circa il 50% dei lavoratori italiani (40/60% a seconda del reddito), opterà per incassare subito il Tfr. E questo anticipo porterebbe nelle casse del fisco un maggior gettito di 2,2 miliardi. Ma solo se la metà dei lavoratori optassero per questa facoltà. 

Se gli italiani invece si dimostrassero prudenti e parsimoniosi - come appare evidente dall’andamento della propensione al risparmio che viaggia in controtendenza rispetto all’andamento dell’economia - a via XX Settembre si troverebbero con un buco da coprire di minor gettito. Renzi e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan hanno infatti introdotto (se il Parlamento ratificherà la proposta) , non solo la facoltà di farsi anticipare la liquidazione, ma anche una tassazione ordinaria per questo extra reddito. Decisione che, evidentemente, ha dissuaso molti (almeno nelle intenzioni) a farsi anticipare il Tfr.

La Legge di stabilità 2015 ipotizza invece un’adesione media attorno al 50% (dal 40% nelle piccole imprese, il 60% nelle grandi). Il trasferimento in busta paga del Tfr equivale a 10,1 miliardi al lordo e 7,9 al netto con un gettito fiscale aggiuntivo di 2,2 miliardi. E però se solo il 20% dei lavoratori optasse per questo anticipo nelle casse dello Stato potrebbero arrivare non 2,2, ma meno di un miliardo di maggior gettito. Bella rogna per Renzi, ma anche per gli italiani che sarebbero costretti a pagare e a coprire questo ennesimo buco il prossimo anno.

Dovrebbe far riflettere la lettura delle intenzioni dei lavoratori sull’utilizzo di questo extra reddito: «Tra i lavoratori che hanno intenzione di richiedere il Tfr su base mensile», spiega l’Ufficio Economico della Confederazione, «la maggior parte è ancora incerta su come utilizzare la liquidità in più (44%). I rimanenti, invece, la investiranno soprattutto per forme di risparmio alternative (17%). Il 16% lo vuole investire in pensioni integrative, mentre il 13% segnala che userà il Tfr in busta paga per saldare pagamenti e debiti pregressi. La percentuale sale al 36% tra i giovani compresi tra i 18 e i 24 anni. Lo investirà in acquisti solo il 10%».

Insomma, la grande idea di destinare a ipotetici, futuri consumi ciò che andrebbe conservato per la vecchiaia, non sembra sfiorare i lavoratori. Maggiore è l’incertezza, più si risparmia: la propensione a mettere qualcosa da parte è salita dal 51 del 2007 al 61% nel 2013. Lo dice pure l’Istat, basta leggere i dati sul risparmio e le serie storiche.

lunedì 3 novembre 2014

Gabanelli affossa Moncler in borsa: querelata

Moncler, dopo il tonfo in Borsa, querela la Gabanelli




Mentre su Twitter l'hashtag #moncler consolida la prima posizione nella classifica degli argomenti più discussi di giornata, arrivano i primi comunicati da parte dell'azienda italiana specializzata in abbigliamento invernale. Dopo la puntata di Report di ieri, 2 novembre, dedicata interamente a rivelare lo spiumaggio cruento delle oche vive negli allevamenti ungheresi, l'impresa guidata da Remo Ruffini ha pagato un prezzo altissimo in Borsa: a Piazza Affari il titolo ha subito una flessione del 4% circa, -3,80% alle 15, chiudendo con una perdita in chiusura del del 4,8%.

Il comunicato - "Moncler utilizza solo piume di alta qualità, acquistata da fornitori obbligati contrattualmente a garantire il rispetto dei principi a tutela degli animali. L'associazione del nome Moncler a pratiche illegali e vietate dal nostro codice etico, è impropria - spiega in una nota l'azienda che aggiunge - I nostri fornitori sono obbligati a garantire il rispetto dei principi a tutela degli animali come riportato dal codice etico Moncler e sono situati ad oggi in Francia, Italia e Nord America. Per quanto riguarda la produzione - come comunicato inascoltati a Report - confermiamo che questa avviene in Italia e in Europa. In Italia la produzione avviene in quantità limitate mentre in Europa nei luoghi deputati a reggere la produzione di ingenti volumi con elevato know-how tecnico (che garantisce la migliore qualità riconosciuta a Moncler dai consumatori)."

Sul Web - Ciò non è bastato a fermare la furia degli utenti presenti sui social network: su Facebook e Twitter in particolare, i link che demonizzano il marchio, proponendo di boicottarne i prodotti, si sono moltiplicate per tutto il pomeriggio seguendo #siamotuttioche che assieme al sopracitato #moncler hanno monopolizzato Twitter per tutta la giornata di oggi.

Caivano (Na): Elezioni Amministrative 2015 "Caivano Può... Caivano Deve! Venerdì 7 Novembre "Hotel Tricolore"

Caivano (Na): Elezioni Amministrative 2015 "Caivano Può... Caivano Deve! Conclude il Dott. Simone Monopoli 




ANDREMO AL VOTO ANTICIPATO La prova che smaschera Renzi...

Dagospia, la prova che dimostra che si andrà al voto anticipato: il piano di Matteo Renzi



Le voci sul voto anticipato, tra smentite e sussurri, si rincorrono da tempo. Ma la "prova provata" del fatto che le urne siano incombenti, ben presenti sui radar di Matteo Renzi, l'ha trovata Dagospia, che s'interroga: "Da zero a dieci quanto gliene frega al premier della Farnesina?". Una domanda alla quale dà una risposta un ambasciatore (anonimo): "Meno di cinque". A rincarare, poi, è un diplomatico più giovane, sempre anonimo: "Non vuole grane, ha scelto uno che gli ubbidisca e non dia problemi". Un'opinione comune e serpeggiante alla Farnesina: la scelta di Paolo Gentiloni è un segno di indifferenza da parte di Palazzo Chigi.

La scusa buona - Sarebbe questa la "prova provata" del voto anticipato. Come sottolinea Dago, questa noncuranza "ha un solo nome: elezioni anticipate". L'ipotesi, infatti, è che Renzi abbia accettato un'ipotesi di compromesso con Giorgio Napolitano perché tanto, ormai, del suo governo gli interessa poco. L'unica cosa che gli interessa è il voto, magari già a primavera. Quello che serve, ora, è la scusa buona. E anche per la "scusa buona" c'è una concreta ipotesi: il Jobs Act, che potrebbe rivelarsi "fatale" per l'esecutivo.

La ricostruzione - Dago ricostruisce poi cosa accaduto al Colle nel giorno della nomina di Gentiloni. Da un parte Renzi, convinto di Lia Quartapelle o di Marina Serafini. L'inquilino del Colle, però, esigeva maggiore esperienza, magari Lapo Pistelli. Napolitano avrebbe anche proposto Marta Dassù, oppure Emma Bonino. Altri due niet di Renzi, che comunque con Re Giorgio non ha voluto rompere (troppo importante, oggi, l'appoggio del Quirinale alle riforme). Alla fine, Matteo, ha rinunciato alla "figurina rosa", dando il suo ok Paolo Gentiloni. Una soluzione perfetta, per Matteo. Una mediazione sulla quale Napolitano non ha avuto nulla da ridire. E Renzi, forse perché convinto che tanto saranno gli ultimi mesi di questo suo governo, neppure.