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mercoledì 24 settembre 2014

Forza Italia adesso cala il tris: "Azzurri con Meloni, Salvini e Alfano"

Giovanni Toti: "Coalizione con Forza Italia con Lega, Ncd e Fdi. Alle politiche Berlusconi candidato premier"




Prove tecniche per una nuova coalizione di centrodestra. A rivelarlo è Giovanni Toti in un'intervista ad Affaritaliani. Il consigliere politico del Cav svela i piani di Forza Italia per le prossime regionali: "Per questo tipo di appuntamento elettorale puntiamo a una coalizione di tutto il Centrodestra con Ncd, Udc, Fratelli d'Italia e Lega. Politiche di corsa solitaria indeboliscono la possibilità di battere la sinistra". Nelle ultime settimane però Matteo Salvini ha sempre chiuso le porte ad un'eventuale alleanza tra Lega ed Ncd. 

I nodi da sciogliere - E così Forza Italia è a lavoro per convincere il leader del Carroccio: "Domani ci incontriamo con la Lega, ragioneremo delle loro esigenze, faremo presenti le esigenze di avere una coalizione larga per poter essere competitivi con le sinistre. Contiamo, passo dopo passo, di arrivare a una composizione di interessi diversi. Sappiamo che non è facile ma questo è il nostro obiettivo. Ci stiamo spendendo con generosità e speriamo che gli alleati capiscano che sono i loro elettori prima di tutto a chiedere che il Centrodestra torni ad essere vincente". Le regionali potrebbero essere un banco di prova per testare la tenuta della coalizione per poi presentare lo stesso schieramento alle politiche. 

Silvio candidato premier - Ma quale sarebbe il candidato premier di una coalizione con Forza Italia, Ncd, Udc, Fratelli d'Italia e Lega? Toti su questo punto non ha dubbi: "Per quanto ci riguarda un leader ce l'abbiamo e si chiama Silvio Berlusconi e non abbiamo nessuna esigenza di confermarlo con strumenti tipo le primarie. Dopodiché, è stato lo stesso presidente Berlusconi a dire che quando la coalizione sarà formata discuteremo con gli alleati e non sarà esclusa la possibilità di ricorrere alle primarie ove ci sia la necessità". Infine Toti parla anche del ricorso presentato alla Corte di Giustizia europea per la condanna del Cav nel processo Mediaset: "Quando la Corte europe darà, perché ne siamo certi, ragione a Berlusconi per noi certamente resta il nostro leader e quindi è evidente che se pensiamo a un candidato premier pensiamo a Silvio Berlusconi. Speriamo che le condizioni lo consentano".

martedì 23 settembre 2014

Il Papa dice "sì" alle manette Arrestato l'arcivescovo polacco: è accusato di abusi su minori

Pedofilia, Papa da ok a arrestato arcivescovo accusato di abusi




Papa Francesco aveva promesso "tolleranza zero" verso i prelati che si macchiano di abusi sessuali sui minori. Così è stato. Il Vaticano ha detto "sì", come racconta TgLa7,  all'arresto dell’ex nunzio nella Repubblica Dominicana, l’arcivescovo polacco Jozef Wesolowski, 66 anni, che si sarebbe macchiato di abusi su minori. La vicenda di Wesolowski al termine del primo grado di giudizio del processo canonico a suo carico, lo scorso giugno, era stato condannato dalla Congregazione per la Dottrina della fede alla dimissione dallo stato clericale. Terminato il processo canonico è proseguito il procedimento penale presso gli organi giudiziari vaticani - Wesolowski è infatti cittadino del piccolo Stato d’Oltretevere - ora in stand-by per non sovrapporsi al giudizio di fronte agli organi ecclesiastici. "Tenuto conto della sentenza ora pronunciata" dall’ex-Sant’Uffizio, "saranno adottati nei confronti dell’ex nunzio tutti i provvedimenti adeguati alla gravità del caso", aveva affermato un portavoce del tribunale canonico. Ora a quanto pare per il vescovo sono scattate le manette. 

Storace rischia 5 anni di cella per una "parolina" a Napolitano

Storace processato per vilipendio di Napolitano, rischia 5 anni




Francesco Storace, ex presidente della Regione Lazio e leader della Destra, rischia di finire in carcere. Per una vicenda che risale al 2007, per una parolina sbagliata contro Giorgio Napolitano. I fatti: nel 2007 Storace si sfogò contro i senatori a vita che tenevano in piedi il traballante governo Prodi con i loro voti. Una sorta di "pronto intervento" che si schierava a Palazzo Madama per riacciuffare per i capelli l'esecutivo. In particolare Storace se la prese con Rita Levi Montalcini che definiì "stampella". A questo punto intervenne il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che definì "indegno" il comportamento di Storace. Quest'ultimo  non se ne stette in silenzio e rispose: "Indegno semmai sarà il Capo dello Stato". Proprio per questa parole "indegno" l'allora parlamentare fu denunciato per vilipendio al presidente della Repubblica. L'allora ministro della giustizia Clemente Mastella autorizzò il procedimento penale contro Storace. Sono passati parecchi anni e il precedimento è andato avanti così il 21 ottobre e Storace sarà processato per vilipendio al presidente della Repubblica, reato punito con una pena da uno a cinque anni. Se sarà condannato con una pensa superiore ai due anni, anche per Storace scatterà la legge Severino in base alla quale il condannato sarà estromesso dai pubblici uffici non più candidabile, esattamente come Silvio Berlusconi.

Le reazioni -  In questi giorni molti parlamentari di diverse aree politiche hanno speso una parola per Storace ma il silenzio è ancora assordante su questa vicenda. Infatti lo stesso Storace scrive: "Tutto tace, tranne pochissimi. Gasparri, il più attivo di tutti, ha presentato un disegno di legge per abrogare il reato. Del resto, se il capo dello Stato si sente offeso, quereli direttamente come un comune cittadino, il primo della Repubblica. No, lo decide il ministro della giustizia…. Poi, si sono mossi con solidarietà varie La Russa – pure lui con la proposta di legge – Giachetti del Pd, Smeriglio di Sel, Capezzone di Forza Italia, Cicchitto di Ncd e anche Gianfranco Fini. Spero nell’assoluzione. Ma se il giudice mi condanna, non voglio benefici di legge e mi presento al carcere. Se in questo paese si può andare in galera per una parola di contestazione a Napolitano, se ne devono accorgere tutti". 

Mitraglietta Mentana bastona, Giuliano Ferrara si cosparge il capo di cenere: "Scusami, cara Lilli Gruber..."

Giuliano Ferrara: "Mi scuso con Lilli Gruber per i pettegolezzi"




Giovanni Floris al posto di Lilli Gruber a Otto e Mezzo. La notizia è di ieri. Lilli è alle prese con qualche problema di salute. Nei giorni scorsi, però, erano circolate parecchie voci dietro il suo temporaneo allontanamento dalla tv: beghe societarie, litigi, gelosie. Niente di vero: semplicemente, la Gruber, ora è indisposta. Nel suo TgLa7 di lunedì sera Enrico Mentana ha chiesto di smetterla con le dietrologie su Lilli, che avevano appassionato anche noi, e ce ne scusiamo. Così come si scusa cospargendosi il capo di cenere Giuliano Ferrara, che su Il Foglio aveva pubblicato un articolo che ipotizzava come dietro la "pausa" con Otto e Mezzo ci fosse un ospite scippato da Floris alla Gruber. "Approfitto per chiedere scusa a Lilli - scrive l'Elefantino nella rubrica delle lettere del suo quotidiano - per aver ospitato, con un commento per la verità beneaugurante e solo longanesianamente malizioso, i pettegolezzi (comprensibili) che avevano circondato la sua rinuncia di lunedì scorso. In bocca al lupo. Che torni presto. Un abbraccio".

Il bluff di Renzi sui disoccupati: perché il premier sta mentendo

Lavoro, ecco il bluff di Matteo sui disoccupati

di Franco Bechis 


Il colloquio è avvenuto venerdì sera sull’Isola Tiberina, dove si sta svolgendo la festa di Atreju 2014 organizzata da Giorgia Meloni. Al dibattito del pomeriggio c’era anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio. Quando ha terminato l’ha atteso in un angolo Guido Crosetto, che qualche settimana fa ha lasciato  la politica per diventare presidente di Aiad, l’associazione delle imprese aerospaziali. Crosetto da sempre è uno dei politici più esperti di finanza pubblica, e che fosse in maggioranza, all’opposizione o perfino fuori dal Parlamento, ha sempre offerto la sua consulenza gratuita al governo di turno. Dopo qualche minuto con Delrio si è arrivati subito a uno dei temi del momento, il Job act. «Lo sai Graziano che il vostro disegno di legge delega non ha copertura sui sussidi di disoccupazione?».

Delrio ha allargato le braccia: «Lo so bene. Infatti non abbiamo presentato relazione tecnica per finanziarlo. Decideremo di volta in volta con i decreti delegati». Crosetto lo ferma: «Questo si poteva fare un tempo. Ora non più: anche i disegni di legge delega debbono avere copertura secondo il nuovo testo dell’articolo 81 della Costituzione che ha introdotto un ferreo pareggio di bilancio». Delrio ha sospirato: «Ma non abbiamo altra strada...». In effetti il governo sa benissimo di camminare sui carboni ardenti con il Job act. Già nel giugno scorso il servizio Bilancio del Senato aveva messo in guardia l’esecutivo: guardate che dovete indicare le coperture della riforma del lavoro subito, perché così è stabilito dalla Costituzione. Non farlo serve a poco, perché basterebbe la più banale contestazione su uno dei decreti delegati per farlo impugnare richiamando l’incostituzionalità della delega. E allora la riforma del lavoro non vedrà mai la luce.

Nonostante questa consapevolezza, Renzi ha deciso di impugnare quel testo di riforma che non entrerà mai in vigore come un’arma per combattere altri tipi di battaglie, politiche e culturali. Il premier sembra più interessato a regolare i conti con la minoranza del Pd e quella Cgil che ne è strettamente connessa che a fare svoltare davvero il mercato del lavoro in Italia ristrutturando profondamente anche il sistema di protezione sociale.

Sotto questo profilo il Jobs act di Renzi ha mutuato modelli di protezione di altri paesi, puntando ad estendere il sussidio di disoccupazione (il suo slogan era “mille euro a tutti”) anche a chi oggi non lo prende, riducendo però altre protezioni ormai invecchiate (la cassa integrazione straordinaria e quella in deroga) e legando il sussidio allo stesso mercato del lavoro, con l’idea di legarne la durata e anche la brusca sospensione alle offerte di lavoro che il disoccupato dovesse ricevere dal sistema di protezione sociale riformato.


Quello di Renzi è un modello ideale, sostenuto da molti teorici dello Stato sociale liberale e moderno. Ma naturalmente costa. Siccome i confini attuali sono piuttosto generici, è difficile fare dall’esterno quella relazione tecnica che il governo ha omesso di presentare. Un ex ministro - quella Elsa Fornero, gran teorica, ma che non ha certo brillato quando è stata messa all’opera - aveva calcolato in 30 miliardi il costo di una protezione sociale estesa a tutti i senza lavoro con una base di mille euro al mese netti. Altri studi più dettagliati - quelli di Tito Boeri e Pietro Garibaldi per lavoce.info - avevano ipotizzato un costo di 19 miliardi di euro però con un tasso di disoccupazione intorno al 10%. Altre stime di altri centri studi (dalla Cgil a Pagina 99) oscillano fra un costo minimo di 15,5 miliardi di euro a uno massimo di 24 miliardi di euro. Con quali forme di finanziamento? I vari sussidi sociali esclusa la Cassa integrazione ammontano oggi a circa 9-10 miliardi di euro.

Il costo per le casse dello Stato delle casse integrazioni atipiche è di circa 3,5 miliardi di euro l’anno. Facendo morire la protezione sociale esistente si ricavano quindi circa 13 miliardi. Per realizzare la protezione indicata nel Jobs act ne servirebbero altri 6-7. E il governo non indica dove prenderli. Renzi ha fatto filtrare da Palazzo Chigi a La Stampa la possibilità di allargare la protezione rispetto all’esistente inserendo in legge di stabilità un apposito fondo «disoccupazione per chi non ce l’ha» da 1,5-2 miliardi. Ma non ne ha indicato alcuna caratteristica. Per cui, se disoccupazione e cassa integrazione restano le stesse di prima e si aggiungono 1,5-2 miliardi per dare sussidi a chi non ce li ha, si estende sicuramente la protezione sociale attraverso una robusta mancia governativa, ma non si riforma nulla del sistema. Con quali risorse, peraltro, è un mistero. Se invece quegli 1,5-2 miliardi ventilati dovessero arrivare dal de-finanziamento della cassa integrazione in deroga, non solo non si riformerebbe nulla (quindi il Job act resterebbe solo un’arma ideologica), ma neppure si estenderebbe la protezione sociale, perché si tratterebbe solo di cosmetica per sostituire la cassa in deroga con analogo assegno di disoccupazione.

Cambierebbe il nome, non la sostanza, e nemmeno la platea dei beneficiari. Il sospetto che questa soluzione sia la più probabile viene peraltro da quel che ha appena fatto il governo in tema di protezione sociale nel decreto legge sblocca Italia. Lì si sono inseriti circa 790 milioni di rifinanziamento di cig in deroga e di protezione degli esodati. Ma a costo zero: i fondi usati per la copertura sono proprio quelli della protezione sociale: semplicemente si sono tolte risorse ai fondi che proteggevano i giovani disoccupati per dirottarle sui lavoratori in difficoltà più anziani. Non è cambiata la situazione complessiva, né la torta a disposizione dei meno fortunati.

La Bindi spara ancora sulla Boschi: "Parla solo del suo corpo, dovrebbe..."

Otto e mezzo, Rosy Bindi: "La Boschi rilasci meno interviste sul suo corpo"




"Quella di scegliere ministre belle è una scelta del presidente del Consiglio, Matteo Renzi". Parola di Rosy Bindi. La dem che appartiene alla "vecchia guardia" contestata in queste ore proprio da Renzi per la riforma del Lavoro non molla la presa e rivendica le parole di qualche settimana fa quando aveva detto che la Boschi era stata scelta come ministro "perché bella". Ospite di Giovanni Floris a Otto e mezzo la Bindi rincara la dose: "Quella di avere ministre belle è una scelta voluta da Matteo Renzi, serve per avere un rapporto diverso con gli italiani. E' una strategia mirata". Infine una battuta al veleno: "Se la Boschi non vuole sentirsi dire che è più bella che brava, la prossima estate rilasci più interviste sul merito delle questioni politiche e non sul suo corpo". Insomma ormai tra Rosy Bindi e Boschi è guerra aperta.  

Profezia dell'amico di Napolitano: "Vi dico come finirà tra Renzi e Bersani"

Emanuele Macaluso: "Il duello Bersani-Renzi lo vincerà Matteo"




Emanuele Macaluso, capo della Cgil siciliana con Di Vittorio, nel comitato centrale del Pci con Togliatti, capo dell'organizzazione con Longo, direttore dell'Unità con Berlinguer, amico di una vita di Napolitano è uno che è abituato ad analizzare i contrasti e le divergenze tra sindacati e governo. Quello che sta accadendo dentro il Pd e la guerra con la Cgil per la riforma dell'articolo 18, non preoccupa più di tanto l'ex dirigente comunista. In un'intervista ad Affaritaliani.it difende le scelte di Renzi, ma lo invita al dialogo con i sindacati: "Non possono pensare e dire che Renzi è la Thatcher e non discutere. Se non finisce questo modo di fare politica non si va da nessuna parte. Penso che bisogna modificare il mercato del lavoro ma con una discussione con tutti i sindacati". Poi parla della tenuta del governo: "Non penso che possa cadere sulla riforma del lavoro, non ci sono alternative a questo governo. L'alternativa sono le elezioni e quindi non mi pare". Infine una profezia sul braccio di ferro tra Renzi e Bersani dentro il Pd: "Vincerà Renzi. Perché ha la maggioranza degli elettori e del partito. Io sono un esterno ma capisco che Renzi ha la maggioranza".