Parla a Cristiana Lodi, il nonno di Lorys: "Le bugie di Veronica per incastrarmi, ma non ha ancora detto tutto"
intervista di Cristiana Lodi
"E quell'angelo? Lei sa che quel bambino se lo sono dimenticati tutti? Tutti. A cominciare da lei: sua madre».
Trent'anni signor Andrea Stival, sua nuora è stata indicata come l'unica assassina in questo primo grado di giudizio. Una sentenza che la scagiona.
"Trenta, quaranta… non fa differenza. Nemmeno cinquant'anni sarebbero bastati per restituire giustizia a Lorys".
Ma trent'anni sono il massimo della pena col rito abbreviato scelto da Veronica Panarello. Il giudice non ha concesso attenuanti.
«Solo chi sta soffrendo questa tragedia può capire che qualsiasi pena non basta. Solo chi ha avuto nel cuore quel piccolo angelo, che resterà sempre con noi, può comprendere che il dolore non avrà mai tregua. E che non ci sarà mai, dico: mai pace per quel bambino che merita giustizia».
C'è una condanna. E un nuovo procedimento per calunnia consumata a suo danno.
«Lei non ha detto la verità. Perché non la dice? Soltanto quando dirà la verità, quella vera e non la "sua" o una della tante "sue", Lorys potrà avere pace e giustizia».
Sua nuora l'ha accusata di essere il suo amante. E l'assassino di Lorys. Come si sente?
«Vede… con quel bambino se n'è andata la metà di quello che ero io: Andrea Stival. Io gli volevo un bene dell'anima (così come ne voglio all'altro piccolino, suo fratello). Io sono sempre stato un nonno e un padre che ha desiderato e fatto il bene dei propri nipoti e dei propri figli. Sono soltanto questo. Come potevo uccidere, io? E poi scusi, mi spiega per quale ragione mia nuora (se aveva qualcosa da dire…) se aveva questa tremenda "verità" dentro di sé e che la scagionava, non lo ha detto subito? Perché ha aspettato un anno e mezzo prima di provare a discolparsi inventando questa bugia assurda? E' una storia che non ha testa né piedi. Una menzogna che fa seguito a tante altre bugie raccontate da Veronica con consapevolezza: "Il bambino l'ho portato a scuola… No, il bambino si è ucciso da solo… ma per favore…" e poi, dopo un anno e mezzo, accusa me con questa cosa assurda».
Come apprese che le aveva dato la colpa?
«Tramite gli organi di stampa. Pensavo fosse un errore dei giornali. Invece no, lei lo aveva detto davvero. Da lì, da quel momento, mi sono rivolto al mio avvocato: Francesco Biazzo, che già mi difendeva come parte offesa nell'omicidio di mio nipote».
L'hanno indagata per concorso in omicidio.
«Ma io non ho mai avuto timore di niente, mai. Sono sempre stato tranquillo. Il sonno semmai l'ho perso per Lorys, il giorno in cui è stato ucciso».
Che rapporto aveva con Lorys?
«Ah… magnifico. Era bellissimo. Sua madre lo portava a casa. Insieme, anche con mia nuora stessa, andavamo in giro. Avevamo un buon legame perché io per Lorys impazzivo. Chi poteva non voler bene a quel bambino. Uscivo pazzo per lui. Gli davo tutto quello che a me è sempre mancato. Io ero il nonno e mi sentivo felice perché avevo tanto tempo per lui e potevo stargli accanto anche più del suo papà, di mio figlio. Per me Lorys era tutto. Avermi tirato in mezzo con quell'accusa infamante è stato pazzesco. Vedere rivoltato l'amore che avevo per quel bambino, è stato tremendo. Anche se le indagini avevano subito escluso un mio coinvolgimento».
Avete avuto timore durante le indagini?
«No, io ho sempre collaborato con la polizia. Con la Procura. Ho raccontato tutto. Io e la mia compagna siamo stati controllati, setacciate le nostre utenze telefoniche, rivoltati come calzini. La nostra vita non era più vita».
Avete riferito agli inquirenti quello che avete fatto quella mattina?
«Completamente. Siamo stati sentiti più volte».
Dove eravate?
«Ci siamo svegliati alle 9. Forse Lorys era già morto. Chissà. Alle 10 mezzo siamo usciti e ci siamo diretti verso la piazza. Abbiamo bevuto un caffè. Dalla piazza siamo andati in farmacia, poi dalla farmacia ci siamo diretti a Punta Secca e da lì siamo andati al negozio vicino a casa di Veronica».
In un primo interrogatorio avevate omesso di dire questo dettaglio alla polizia, perché?
«Una dimenticanza che è stata ingigantita. Hanno detto e scritto che eravamo agitati, scossi. Quel 29 novembre tutto si poteva pensare ma non che noi fossimo andati lì perché mia nuora aveva ucciso il bambino. Il fatto di non averlo detto non significa nulla, perché noi non abbiamo niente da nascondere. Questa è una tragedia immane e accusarci di questa dimenticanza è assurdo. Noi siamo stati sentiti, i nostri alibi controllati, siamo tranquilli e non abbiamo nulla da dimostrare a nessuno. I tabulati telefonici hanno provato che eravamo a casa. I testimoni pure. Nessuna telecamera ha ripreso me entrare in quella casa. Lei, invece, è stata filmata dall'inizio alla fine. E nonostante questo ha mentito e mente».
Prima della sentenza, lei si era dichiarato pronto a un confronto con Veronica.
«Certamente, lo ero. Il pubblico ministero non ha ritenuto di doverlo fare, ma io mi sono messo a disposizione per qualunque cosa fosse necessaria ad provare la verità. Non avevo niente da nascondere, ero e sono solo dalla parte della giustizia per quel piccolo».
Anche Veronica ha chiesto il confronto.
«Avrei davvero voluto che venisse concesso e lei trovasse il coraggio di dire questa inaccettabile bugia davanti a me, presente il magistrato. Avrei proprio voluto sentirla dire davanti a me che noi avevamo un rapporto, che ho ucciso il bambino. Queste menzogne non sono accettabili. Non lo sono per Lorys, non lo sono per me e nemmeno per mio figlio Davide».
Cosa vi siete detti, voi due?
«Davide conosce Veronica, sa quando mente. Lo ha fatto mille volte anche con lui. A Davide è venuto a mancare tutto: un figlio che adorava, una famiglia, il lavoro. Ora si aggrappa al piccolino, è in lui che cerca la forza di vivere. Ha bisogno della forza di quel bambino, così come lui ha bisogno del suo papà».
Davide ha subito creduto alla sua versione?
«Certo che sì. Noi siamo sempre stati legati, io so cosa pensa mio figlio. Lui conosceva la verità fin dall'inizio. Soprattutto sapeva che io non avrei mai potuto fare una cosa simile».
Poco prima dell'arresto, Veronica, le ha lanciato una bottiglia? Perché?
«Si. Veronica era in casa con tutti noi della famiglia. Cercavamo di capire cosa potesse essere successo. Chi poteva avere preso Lorys, e perché. Lei era stata interrogata più volte, le indagini e i sospetti erano concentrati su di lei. Dissi che tutti potevamo essere indagati. Di colpo, su quelle parole, lei si alzò dal divano e con un balzo si scagliò contro di me, lanciandomi la bottiglia d'acqua. E mi disse di uscire da quella casa. Ovviamente denunciai l'episodio».
Il giudice che ha condannato, ha anche inviato gli atti alla Procura ritenendo che lei sia vittima di una calunnia. Le dà sollievo?
«Ripeto, io ho smesso di dormire da quando Lorys è stato ucciso. Non ho mai avuto timore di niente, perché non ho fatto niente. Ora la giustizia continuerà a fare il proprio corso. Spero venga data davvero pace a quel bambino. Io l'ho visto il giorno prima: il 28 novembre 2014. Sono già passati due anni anche se sembra ieri. Era felice Lorys. Nonno andiamo? Nonno facciamo? Quel pomeriggio abbiamo giocato molto. Mai avrei pensato fosse l'ultimo».