"Italia fuorilegge, adesso basta": immigrazione, l'accusa devastante di Luttwak. Sulla Mogherini: "Inutilissima"
di Andrea Tempestini
@anTempestini
«Libia is made in Italy. Se tu compri una lavatrice dalla ditta “Rossi” è quella che la deve riparare, è logico. Voi l’avete creata, la Libia è un Paese che non era mai esistito prima che gli italiani lo costituissero. Ma ora l’Italia rifiuta il suo ruolo naturale. Mandare infermieri e tre soldati è una cretinata. Ci deve essere un intervento serio». Edward Luttwak, consulente del governo Usa ed esperto di geopolitica incline al giudizio tranchant, va dritto al punto. Logico, per chi sostiene da tempi non sospetti che l’emergenza immigrazione si risolve «bombardando i barconi». Ovvio, per chi ritiene che piuttosto che colpire gli avamposti dell’Isis converrebbe «bombardare Molenbeek», ovvero la periferia di Bruxelles dove cova la radicalizzazione coranica. Sulla Libia - divisa tra il governo ufficiale di Al Serraj, quello parallelo del Feldmaresciallo Haftar, decine di tribù e infestata dal terrorismo islamico - spiega che il governo italiano sta sbagliando tutto.
Di quale tipo di intervento parla?
«Mandateci l’inutilissima Mogherini, meglio con l’elmetto che vederla saltellare in Europa. Mandateci almeno 100mila soldati, poi si inizia a ragionare. I libici hanno ampiamente dimostrato di non saper fare le cose da sé: la Cirenaica e la Tripolitania non sono mai state unite un istante nella storia se non sotto il vostro governo. Deve essere l’esercito italiano a gestire la situazione: inglesi, francesi e americani sarebbero pronti a scansarsi. Non sarebbe un intervento a fondo perdutissimo come quello americano in Afghanistan: in Libia, a due passi da casa vostra, l’Italia ha uno scopo economico, il petrolio. Nessuno vi chiede di occuparvi della Corea del Nord».
Forse eviteremmo anche altri rapimenti di connazionali.
«Potrebbero pure essere in mano a quattro gangster, non so cosa sia successo. Il rapimento non è niente rispetto al quadro generale. Un problema vero, piuttosto, sono i profughi».
A tal proposito, Renzi ha affermato che non c’è alcuna correlazione tra barconi, immigrazione clandestina e terrorismo. Che ne pensa?
«È vero».
Mi sorprende...
«Renzi ha detto “immigrazione clandestina”. Ecco, il problema è di concetto: in Italia non esiste immigrazione clandestina, ma l’importazione di migranti che non hanno diritto di venire da voi. I migranti si avvicinano alle vostre coste, la Guardia costiera li preleva e permette ai trafficanti anche di risparmiare i soldi dei barconi. L’immigrazione clandestina, al contrario, implica che arrivino di notte, nonostante gli sforzi delle autorità per difendere le frontiere. Non è il vostro caso. Chi arriva in Italia, nella stragrande maggioranza dei casi, non ha alcun diritto d’asilo, che può essere chiesto solo al primo Paese raggiunto da un migrante: da voi arrivano dopo aver passato 18 frontiere».
Renzi, dunque, sbaglia quando lamenta il menefreghismo Ue?
«L’Europa in questa vicenda c’entra solo perché l’Italia fa parte di Schengen, per cui ha il dovere di respingere chi non ha diritto d’asilo. Semmai è l’Italia a essere in violazione di Schengen. Mi chiedo perché controlliate i passaporti a Fiumicino, potreste direttamente andare a prendere i migranti in aereo».
Passiamo agli Usa. Gli attentati a New York e Minneapolis possono influire sulle presidenziali?
«È ovvio, un atto di terrorismo causato da un individuo radicalizzato fa guadagnare molti voti a Trump. In questi attentati ci sono due attori: un somalo a Minneapolis e un afghano a New York. Tutti e due importati come profughi, per ragioni umanitarie, con i soldi delle tasse che pago io. Questa è violenza islamica importata: come può non favorire Trump?».
Lei per chi voterà?
«Come direbbe Hillary, sono uno di quei miserabili, analfabeti e xenofobi che voterà Trump».
Perché?
«Rappresenta la forza, la decisione, la discontinuità. Soprattutto in politica estera: lui non vuole mediorientali in America e non vuole americani in Medioriente. È chiaro che vuole interrompere missioni inutilissime come quelle in Afghanistan o in Iraq. Ma lo voterò soprattutto perché sono andato a vivere negli USa perché non volevo sottostare a mille regolamenti».
Mi spiega?
«Con Obama si è andati molto oltre ciò che la legge esige, ha ostacolato ogni forma di costruzione, strade, ponti, dighe o fabbriche. E Hillary vuole continuare a europeizzare gli Stati Uniti, farne una terra di regole, regolette, leggi e leggine che già hanno rallentato la nostra economia. Con Trump, nei ministeri e nell’amministrazione, arriveranno persone che applicano le leggi senza andare un passo oltre».
Che idea si è fatto sulla malattia della Clinton? Polmonite?
«Non sono un dottore, non ho informazioni sulla validità delle voci che circolano. Ma nascondere le malattie è una vecchia tradizione dei presidenti democratici: John Kennedy, per esempio, prendeva cortisone e steroidi in grandi quantità. E per i Clinton nascondere la verità è una tradizione anche di famiglia. Tutta questa storia rafforza l’immagine di Trump: nessuno prova solidarietà per Hillary, non c’è benevolenza per la signora malata, ma solo irritazione per le bugie».
Ritiene possibile un cambio di candidato in corsa?
«Zero. L’unica possibilità è che Hillary abbia un vero collasso. Altrimenti, nonostante dubbi o accuse, la sua corsa continua: solo lei può decidere di rinunciare, e il meccanismo che i democratici dovrebbero mettere in moto nei 50 Stati sarebbe troppo lungo a poche settimane dal voto. Il discorso semmai potrebbe cambiare dopo le elezioni».
In che modo?
«Se vincesse, dopo un eventuale ricovero potrebbe subentrarle il vicepresidente, che a quel punto nominerebbe una sorta di co-presidente».
Nomi?
«Joe Biden o Jerry Brown, il governatore della California, molto popolare, con una visione conservatrice».
Michelle Obama?
«Balle dei media».
Un giorno sarà lei la candidata?
«Lo escludo. È una figura esclusivamente mediatica, non politica: prenderebbe pochissimi voti».
Torniamo a Trump. La sua vittoria non rischia di sconvolgere gli equilibri mondiali?
«Lui vuole sconvolgere questi equilibri. Le faccio un esempio. Gli europei non sono disposti a mandare 400mila soldati in Ucraina per risolvere la crisi? Benissimo, si schiera con la Russia e divide la torta con Putin».
Ecco, Putin.
«Basta con le sanzioni, basta con queste burattinate. Donald Trump vuole coinvolgere il Cremlino, o quantomeno mantenerlo neutrale, mentre si concentra sulla Cina: è quello il vero problema, il potere di Pechino deve essere arginato subito».
La tregua in Siria è naufragata dopo poche ore. Cosa pensa della strategia di Russia e Usa?
«Putin, rispetto a Obama, ha un grande vantaggio strategico: in Siria può permettersi di appoggiare Assad e una parte dei combattenti. Gli Stati Uniti, invece, non possono avere un partner: le onlus e gli amanti dell’umanità fanno pressione su Obama: “Fai qualcosa, muoiono i bambini». Ma Assad per gli americani è un partner troppo sconveniente, è lui il fautore dell’uccisione dei bambini. Certo è scomodo, ma ora è un male necessario, con cui solo Putin può sedersi a trattare».
In breve, un bilancio del doppio mandato di Obama
«Ha gestito la crisi finanziaria molto bene».
Mi sorprende ancora.
«Molto bene, ma soltanto per i ricchissimi. Ha salvato Wall Street dai propri eccessi, ha reso i ricchi più ricchi e ha convinto i bianchi poveri a votare Trump. In politica estera, invece, rievoca Jimmy Carter: non è un’opinione contestabile che sotto la sua amministrazione gli Usa abbiano perso di credibilità, soprattutto nel secondo mandato, quando ha sostituito gli uomini di Bush alla Difesa e al Consiglio nazionale di sicurezza con il suo gruppo di Chicago».
Boccia anche l’ambasciatore Usa a Roma? L'intervento di John Phillips a favore del "sì" al referendum qui ha sollevato un polverone.
«Mi scusi, gli Stati Uniti sono alleati dell’Italia: corretto?».
Corretto.
«Bene. Le alleanze si fanno con il governo del momento, non con le montagne e i fiumi. E se il vostro governo vuole il sì al referendum è ovvio che quello americano sostenga la stessa posizione. Se il premier sostenesse il no, l'ambasciatore dovrebbe fare altrettanto».
Ma non sarebbe stato più opportuno il silenzio?
«Avrebbe potuto sottrarsi alla domanda, ma mister Phillips non c'entra. Ripeto: in un rapporto d'alleanza l'ambasciatore deve obbligatoriamente sostenere la posizione del governo del momento».