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giovedì 18 dicembre 2014

Clamorosa telefonata a Benigni dopo "I dieci comandamenti": "Ciao Roberto, sono il Papa". Ecco cosa si sono detti

Papa Francesco telefona a Benigni, ecco cosa gli dice




Papa Francesco ha chiamato Roberto Benigni dopo il successo televisivo - quasi un miracolo con oltre dieci milioni di spettatori - dei Dieci Comandamenti. Pare che il pontefice, come scrive il Giornale, abbia telefonato al comico per ringraziarlo, per aver portato sul grande schermo un tema così importante. Monsignor Vincenzo Paglia, che lo ha sentito, racconta: "Roberto era molto commosso al telefono, mi ha detto che anche per lui si tratta di un miracolo di ascolto da parte della gente". 

Ma forse Benigni era commosso anche per la telefonata di Bergoglio. Un alto prelato ben informato dice: "E' molto molto probabile che Francesco lo abbia chiamato". E alcune persone vicine al regista confermano la conversazione "affettuosa" tra i due. Di sicuro lo show è piaciuto moltissimo in Vaticano: "Un grande spettacolo", commentano i cardinali, "lui è bravissimo ed è stata un'ottima scelta occuparsi di un tema così bello vicino a Natale". 

MULTE, LA SENTENZA CHOC Sì al super vigile 24 ore su 24: ecco perché può cambiare tutto

Multe, la sentenza choc a Parma: "I vigili possono farle anche fuori servizio" 




I vigili potranno fare multe 24 ore su 24. Anche fuori dall'orario di lavoro, sette giorni su sette. Un cittadino di Parma che, nel lontano agosto 2009, era stato multato da un agente della polizia municipale fuori dall'orario di servizio. La "vittima" aveva presentato ricorso e nei giorni scorsi, dopo tre anni di sentenze il giudice civile del Tribunale di Parma ha scritto la parola fine, confermando la contravvenzione. E stabilendo che gli agenti possono accertare le infrazioni stradali anche quando sono fuori servizio, quindi ventiquattro ore su ventiquattro. La decisione del tribunale parmense, che evidentemente apre scenari "preoccupanti" per gli automobilisti, è stata accolta con sorpresa anche dallo stesso comune di Parma, che con un comunicato lo scorso fine settimana ha informato i propri cittadini.

La sentenza choc - "L'esito era tutt’altro che scontato - si legge nella nota - e la sentenza è stata accolta non senza sorpresa. Probabilmente sarà una di quelle cause che fanno giurisprudenza, tanto che ha attirato l’attenzione anche di qualche giornale nazionale. Il Tribunale di Parma, con sentenza n. 892/2014, ha decretato che gli agenti della Polizia Municipale possono accertare le infrazioni stradali anche quando sono fuori servizio, quindi 24 ore su 24, purché ciò avvenga sul territorio di loro competenza".

Il caso e le conseguenze - La storia, che potrebbe cambiare per sempre il "mondo delle multe", risale, come racconta Today, addirittura all’agosto 2009, quando un agente della polizia municipale di Parma, fuori dall’orario di servizio, aveva assistito a una grave infrazione e aveva annotato il numero di targa di un auto che aveva commesso un'infrazione su una carreggiata. Da lì è arrivata la sanzione. Ora dopo anni di cause legali è arrivato il verdetto: la sanzione è valida anche se registrata fuori dall'orario di lavoro. La sentenza rischia di essere una "slavina" per milioni di automobilisti.   

Caso Marò, da Monti, Letta e Renzi: solo parole. Ne è rimasta una: vergogna

Caso Marò, da Monti, Letta e Renzi: solo parole. Ne è rimasta una: vergogna


di Maurizio Belpietro 



«Il premier indiano Manmohan Singh mi ha assicurato che si occuperà personalmente dell’obiettivo di trovare una soluzione amichevole del caso dei due marò». (26 marzo 2012, il presidente del Consiglio Mario Monti a margine del summit nucleare a Seul). «Il nostro team legale sta proseguendo la sua azione, segno che vi sono delle questioni procedurali che sono valutate molto attentamente. È comunque importante l’incontro tra il premier Monti e l’indiano Singh perché conferma la volontà di collaborazione delle autorità indiane alla soluzione di questo caso». (27 marzo 2012, il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata sul trasferimento del processo all’Alta Corte del Kerala). «L’Italia intende agire secondo le norme del diritto internazionale e in nome del rispetto di queste regole continuerà ad esigere con fermezza e determinazione che l’India si uniformi ad esse. È la linea che perseguiamo, mossi non da prudenza né da audacia, ma dalla certezza di essere dalla parte della ragione e dall’obiettivo di riportare a casa i nostri due ragazzi». (14 agosto 2012, il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata rispondendo a un’interrogazione parlamentare).

«I marò torneranno a casa. È un impegno del governo, del Parlamento e di coloro che positivamente, costantemente, offrono il loro contributo di lavoro, di sostegno, e di coesione nazionale. L’attenzione è costante e non c’è tregua, né bisogno di mettere foto sulla scrivania, perché l’attenzione dello stato è quotidiana». (2 settembre 2012, il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata rispondendo a una lettera dell’assessore regionale veneto Elena Donazzan). «Confidiamo che la Corte riconoscerà le ragioni del diritto. In caso contrario intraprenderemo tutte le opportune iniziative, sia sul piano bilaterale che europeo e multilaterale» (7 dicembre 2012, il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata in un’intervista al sito online Linkiesta). «I nostri marò sono tornati a casa. Grande emozione nel riabbracciare Massimiliano e Salvatore, valorosi servitori dello Stato». (22 dicembre 2012, il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata accogliendo i due militari in Italia ma con l’impegno di ritornare in India).

«Mi dimetto perché per 40 anni ho ritenuto e ritengo oggi in maniera ancora più forte che vada salvaguardata l’onorabilità del Paese, delle forze armate e della diplomazia italiana. Mi dimetto perché solidale con i nostri due marò e con le loro famiglie. Ero contrario al loro ritorno in India, ma la mia voce è stata inascoltata. Ho aspettato a presentare le mie dimissioni qui in Parlamento per esprimere pubblicamente la mia posizione: non posso più far parte di questo governo». (26 marzo 2013, il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata alla Camera dopo che il governo Monti aveva preso la decisione di rispedire in India i due marò). «Massimiliano e Salvatore mi hanno chiesto “non abbandonateci”. Sarebbe facile ora lasciare, ma per rispetto delle istituzioni e delle scelte fatte non abbandonerò la nave in difficoltà fino all’ultimo giorno di governo. Ho sempre agito solo per il bene dei due fucilieri e dell’Italia. Se non ci sono riuscito me ne scuso con tutti e prima con loro due». (26 marzo 2013, il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, rispondendo alla Camera alle dimissioni del ministro degli Esteri). «Una strategia di contrapposizione frontale non avrebbe portato a risultati diversi perché i due fucilieri si trovavano in India, il governo ha avviato un dialogo difficile e costante con l’esecutivo indiano, ma sul caso dei due marò il mio impegno e quello del governo sono stati assoluti». (27 marzo 2013, il presidente del Consiglio Mario Monti, rispondendo alla Camera dopo le dimissioni del ministro degli Esteri).

«Il presidente del Consiglio Mario Monti ha oggi avuto una lunga conversazione con il primo ministro indiano Manmohan Singh sul caso dei Fucilieri di Marina Latorre e Girone. Il primo ministro Singh ha apprezzato la decisione presa dal governo italiano e dai due Marò - dopo le assicurazioni fornite dalle autorità indiane - di rispettare l’impegno al rientro in India al termine della licenza per le elezioni. Nel colloquio telefonico si è quindi convenuto, al più alto livello politico, che tale responsabile decisione da parte italiana contribuirà a rendere più sollecita una positiva soluzione del caso». (9 aprile 2013, comunicato di Palazzo Chigi). «Lavoreremo per trovare una soluzione equa e rapida alla dolorosa vicenda dei due fucilieri di Marina trattenuti in India, che ne consenta il legittimo rientro in Italia nel più breve tempo possibile». (29 aprile 2013, Enrico Letta, presentando il suo governo alla Camera). «L’ho detto nel discorso programmatico, il rientro in patria è un impegno del nostro governo. Ho formato subito un comitato di ministri, in cui abbiamo nominato Staffan De Mistura inviato della presidenza del Consiglio in India. De Mistura si è recato in India tre volte in 70 giorni. Il nostro obiettivo resta risolvere la questione in modo equo». (10 luglio 2013, Enrico Letta, rispondendo a Giorgia Meloni durante un question time alla Camera).

«Sono molto fiduciosa che i due marò trattenuti in India possano tornare in Italia entro Natale». (18 luglio 2013, il ministro degli Esteri Emma Bonino). «In attesa di sviluppi, chiederemo alla Corte Suprema indiana di far rientrare in Italia i due fucilieri. Per difendere i due marò siamo pronti a bloccare gli accordi tra Ue e India». (17 gennaio 2014, il ministro degli Esteri Emma Bonino). «Il capo dello Stato proseguirà e intensificherà i contatti già stabiliti sul tema con i capi di Stato di Paesi amici, presso i quali ha già incontrato attenzione e comprensione per questo caso doloroso». (31 gennaio 2014, nota del Quirinale diffusa al termine dell’incontro tra Giorgio Napolitano e la delegazione parlamentare ritornata da una missione in India). «Tornerete con onore» (Giorgio Napolitano ai due marò in una telefonata del 31 gennaio 2014). «La ministro Emma Bonino a Davos dove partecipa al “World Economic Forum”, dopo colloqui con i ministri delle Finanze e del Commercio indiani, ha detto che hanno assicurato l’impegno a far sì che il loro governo decida sui marò il 3 febbraio». (24 gennaio 2014, comunicato del ministero degli Esteri italiano). «Dopo la pronuncia di oggi della Corte Suprema indiana che ha stabilito un termine perentorio di sette giorni per la formulazione da parte del giudice di una posizione definitiva nei confronti dei Fucilieri di Marina Latorre e Girone, il governo proseguirà il suo impegno caparbio in tutte le sedi europee e internazionali per una soluzione più favorevole rapida del caso». (3 febbraio 2014, il ministro degli Esteri Emma Bonino). «La mia visita a Nuova Delhi è un monito per ricordare che il governo italiano reputa inaccettabile, illogico e fortemente contraddittorio, fare ricorso a una legislazione antiterrorismo e antipirateria per inserire in un quadro di giudizio due persone che si battevano contro il terrorismo e la pirateria». (10 febbraio 2014, il ministro della Difesa Mario Mauro dopo che la Procura generale indiana ha deciso di accusare i due marò di pirateria).

«Oggi voglio ribadire i miei sentimenti di vicinanza a Salvatore Girone e Massimiliano Latorre e alle loro famiglie. Sono certo che l’impegno delle istituzioni italiane e dell’Italia intera continuerà con determinazione fino alla soluzione della vicenda». (10 febbraio 2014, Enrico Letta al termine di una riunione interministeriale sul caso dei due marò). «Nel loro primo giorno da ministri degli Esteri e della Difesa, l’on. Federica Mogherini e la sen. Roberta Pinotti hanno telefonato ai due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. “Siete il mio primo pensiero e il primo del nuovo governo”, ha dichiarato con parole affettuose il ministro Pinotti». (22 febbraio 2014, Ansa). «Ieri ho scelto di fare alcune telefonate simboliche ma non solo simboliche, ho chiamato i marò in India, coinvolti in un’assurda e allucinante vicenda per la quale garantisco un assoluto impegno del governo». (24 febbraio 2014, Matteo Renzi nel corso del suo intervento in aula al Senato, dove sarà votata la fiducia al nuovo esecutivo). «Con l’invio dell’ultima nota verbale a Nuova Delhi, il 18 aprile scorso è stato avviato un percorso di procedura internazionale e si apre una fase nuova, che esaurisce quella avviata dall’inviato Staffan De Mistura». (4 luglio 2014, il ministro degli Esteri Federica Mogherini al Parlamento).

«Credo che rispetto al passato ci sia stato un significativo cambio di passo e che entrambi i Paesi vogliano risolvere rapidamente il caso nell’ambito del profondo rapporto di amicizia che li lega». (1 novembre 2014, il ministro degli esteri Paolo Gentiloni nel corso dell’audizione alle Commissioni esteri di Camera e Senato). «Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, fortemente contrariato dalle notizie giunte da Nuova Delhi circa gli ultimi negativi sviluppi della vicenda dei marò, resterà in stretto contatto con il governo e seguirà con attenzione gli orientamenti che si determineranno in Parlamento». (16 dicembre 2014, comunicato del Quirinale dopo che la Corte Suprema indiana ha respinto le istanze dei due fucilieri di Marina). Un capo dello Stato, tre presidenti del Consiglio, quattro ministri degli Esteri e tre ministri della Difesa per lasciarli a marcire laggiù. Non ci sono parole, solo vergogna. 

mercoledì 17 dicembre 2014

Ecco tutti i "miti" di Mafia Capitale Er Monnezza, Belen e pure Bombolo...

I miti di Mafia Capitale? Er Monnezza, Belen e Bombolo

di Franco Bechis 


Massimo Carminati, il Nero (o il Cècato) di Mafia Capitale veniva preso in giro dai suoi amici per il fare un po’ troppo intellettuale. Si svegliava al mattino alle 6 e subito- dice lui in una intercettazione- “scarico dall’Ipad il Corriere della Sera”. L’amico tuttofare Riccardo Brugia replica: “Ma tu mai il Corriere dello Sport?”. Nel giro infatti erano altre le letture, come quelle che allo stesso Brugia consiglia il commerciante d’auto Luigi Seccaroni: “Ma comprate Novella 2000! Fai uscì qualcuno… vattelo a comprà”. Il povero Brugia si preoccupa che sia uscito qualche scoop su Carminati: “eh… c’è stà l’amico nostro?”. Ma è fuori bersaglio. “Tu non ti preoccupà”, replica Seccaroni, “và a vedè… c’è ‘na sorca… c’è Belen con…’na fregna…”. Sospiro di sollievo del braccio destro di Carminati: “sei un grande, Luì… non c’è niente da fà”. E l’altro, continuando lo spot per Novella 2000: “che fregna Belen, ahò… tutta nu… mezza nuda, che sorca…”. Sempre Brugia viene intercettato con un altro amico della congrega di Carminati, Roberto Lacopo. Ed è l’occasione per un po’ di critica cinematografica. Roberto: “Ieri me sò visto il film con Bombolo…” Riccardo: “pure io, quello con Tomas Milan, pure io…”. Grandi risate fra i due. Riccardo: “pure io Er Monnezza, li stanno a rifà e li stò a vedè pure io…”. “Che belli, che belli!”, “Che grande che è…”

"Maiale". "Taci sei un comunista di..." La Russa sbrocca col grillino: ecco perché

Rissa alla Camera tra La Russa e il grillino Zaccagnini




Rissa sfiorata in Transatlantico alla Camera tra i deputati di Fratelli d’Italia Ignazio La Russa e Fabio Rampelli e il deputato di Sel Adriano Zaccagnini. A far scoppiare la scintilla è stata la tesi dell’ex ministro della Difesa, che ha sostenuto come Tommaso Curro’, che oggi ha annunciato l’addio ai 5 stelle, debba dimettersi da deputato. Zaccagnini, che al movimento di Beppe Grillo con cui è stato eletto ha detto addio più di un anno fa, ha apostrofato La Russa con un sonoro “maiale”, “come i maiali della Fattoria degli animali di George Orwell”. Rampelli è intervenuto a difesa del collega di partito, osservando in romanesco che “come i maiali ce magni te co’ ‘e cooperative rosse”. “Te - è stata la replica di Zaccagnini - stavi in piazza co’ quella gente per far cadere Marino che con Buzzi non c’entra niente”. E La Russa: “Lascialo stare poverino è di Sel”. Intorno ai due, oltre a un capannello di giornalisti, si sono posizionati anche diversi commessi per evitare che la situazione degenerasse. Alla stampa La Russa ha ricordato di aver presentato un ddl per modificare l’articolo 67 della Costituzione e impedire cambi di casacca. “La Russa – ha commentato prontamente Zaccagnini - non riconosce la liberta’ dei parlamentari. C’è una saldatura tra Fratelli d’Italia e M5S, un partito padronale. Praticamente i fascio-grillini”

Notav, le toghe assolvono gli antagonisti Il verdetto: "Non sono dei terroristi"

Notav, cade l'accusa di terrorismo. Chiara, Claudio, Niccolò, Mattia condannati a 3 anni per danneggiamento




La corte d’assise di Torino ha assolto dall’accusa di aver agito con finalità di terrorismo i quattro attivisti No Tav di area anarchica a processo per l’assalto al cantiere della Torino-Lione del maggio 2013. Claudio Alberto, Niccolò Blasi, Mattia Zanotti e Chiara Zenobi, sono invece stati condannati a tre anni e mezzo di carcere ciascuno per danneggiamento e incendio di un compressore e per violenza a pubblico ufficiale. La corte ha ritenuto di assolvere i quattro imputati dall’accusa di aver agito con finalità terroristiche con la formula "perché il fatto non sussiste". Disposta anche una multa di cinquemila euro ciascuno e l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Urla "libertà libertà" hanno accolto dal pubblico nell’aula bunker del carcere di Torino la lettura del dispositivo. I compagni hanno anche scandito altri cori come "buffoni", "buffoni".  I pm Rinaudo e Padalino avevano chiesto 9 anni e mezzo di reclusione. Abbracci tra il pubblico e anche tra gli imputati in carcere dal 9 dicembre 2013. Alle 17.30 è previsto un presidio in Val di Susa.

I fatti - I fatti risalgono alla notte tra il 13 e il 14 maggio 2013, quando una trentina di persona, divisi in gruppi, attacca il cantiere dell’alta velocità con un fitto lancio di bottiglie incendiarie, bombe carte e petardi, provocando il danneggiamento di un compressore. Il 9 dicembre dello stesso anno, la Digos arresta i quattro militanti, tutti di area anarchica, e la Procura di Torino ipotizza per loro il reato di "attentato con finalità terroristiche". Un’accusa pesante, che solleva grandi proteste nel movimento No Tav, sfociate in alcune manifestazioni pubbliche. Nel maggio 2014 gli avvocati della difesa ricorrono in Cassazione contro la custodia cautelare dei quattro arrestati e i giudici della Corte suprema, pur confermando la detenzione, sollevano perplessità sull’applicazione del reato di terrorismo, escludendo di fatto il grave danno allo Stato. Poco dopo ha inizio il processo nell’aula bunker del carcere di Torino e nell’udienza di settembre gli imputati ammettono di aver partecipato all’assalto, escludendo però finalità terroristiche. A novembre, i pm Rinaudo e Padalino chiedono 9 anni e mezzo di reclusione, confermando la matrice terroristica dell’assalto.Si arriva così alla sentenza di stamattina, che se da un lato conferma i reati di danneggiamento, fabbricazione, trasporto di armi e resistenza a pubblico ufficiale, dall’altro esclude l’attentato terroristico. A fine pronunciamento fra il pubblico presente in aula si alzano urla di gioia, mentre gli imputati, confinati nella stessa gabbia, si abbracciano e salutano amici e parenti.

Ricatto della Merkel a Draghi: vuole 150 mld per aiutare l'Italia

Bce, così Angela Merkel può farsi dare 150 miliardi di euro da Mario Draghi: il "ricatto" al governatore




All'ordine del giorno nella prossima riunione del board della Bce, il 22 gennaio, potrebbe esserci il cosiddetto quantitative easing, l'immissione di liquidità in un'Eurozona stagnante, che in buona sostanza si tradurrebbe nell'acquisto dei titoli di Stato dei Paesi in difficoltà da parte dell'istituto presieduto da Mario Draghi. Un'ipotesi, quella dell'acquisto di bond, che fa storcere il naso alla Germania, che per voce di Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, ha seccamente annunciato il "no" di Berlino, e curiosamente lo ha fatto in un'intervista a Repubblica, uno dei quoitidiani che più sostiene l'operato del governatore Draghi.

Il piano - Quello a cui mira la Bce - o meglio, la parte della Bce che segue Draghi - è imitare il modello della Fed americana, nel dettaglio con mille miliardi di euro da destinare all'acquisto di titoli di Stato dei 18 Paesi di Eurolandia. Un'operazione che, però, rischia di non incidere. Questo almeno è quanto sostiene Wolfgang Munchau sul Financial Times, secondo il quale il quantitative easing di Draghi è una debole imitazione di quello a stelle e strisce (nel 2008 la Fed pompò negli States la bellezza di 2mila miliardi di dollari, e i risultati, oggi, si vedono). Ma non è tutto, perché i 1.000 miliardi ipotizzati dalla Bce esistono soltanto in linea teorica: l'ipotesi più concreta, infatti, è quella di un aiuto pari a 500 miliardi, ossia il 5,5% del debito pubblico totale dell'Eurozona (per farsi un'idea basti pensare che, sempre la Fed, acquisto una fetta pari al 15% dei titoli di Stato).

Il duello - Da un lato Draghi, dunque, favorevole all'iniezione di liquidità, e dall'altra Weidmann, che da buon soldatino del rigore agli ordini del generale Angela Merkel si oppone un netto "nein". Eppure, ricorda Italia Oggi, c'è chi sostiene che la querelle tra governatori sia soltanto di facciata, e destinata a risolversi con un cedimento (già deciso, da tempo) della Germania. E perché mai Berlino dovrebbe cedere? Semplice, otterrebbe un'altra - roboante - vittoria (economica). Infatti, ad oggi, si considerano due possibili strade su come ripartire i 500 miliardi di euro di acquisti. La prima prevede acquisti "a piacimento", plausibilmente concentrati sui Paesi più in difficoltà. La seconda, invece, prevede che gli acquisti rispettino un rigido criterio, ossia che siano modulati in base all'andamento del Pil dei 18 paesi di Eurolandia.

Il bivio - Il criterio che sembra riscuotere maggiori consensi (in particolare nel - potente - fronte rigorista e in una certa cerchia di potere) sarebbe quello legato al Pil (tra le ipotesi anche quella di legare l'aiuto alla quota di bilancio detenuta dai Paesi all'interno della Bce). Ancorando l'operazione al Pil, però, l'operazione di Draghi si risolverebbe in un generosissimo prestito proprio alla Germania, che ha un Pil pari al 29% di quello dell'Eurozona, 12 punti sopra all'Italia. Con questo criterio, dunque, 150 dei 500 miliardi finirebbero proprio nelle casse di Berlino, 85 all'Italia (una cifra irrisoria rispetto alla quota stratosferica raggiunta dal nostro debito) e soltanto spicci, per esempio, alla "malatissima" Grecia. Dunque - sostiene un analista finanziario dell'istituto Bruegel - più che in un rilancio dell'economia il quantitative easing si risolverebbe in un salvataggio delle banche tedesche, che al contrario di quanto si possa pensare risultano piuttosto esposte, soprattutto nei confronti della Grecia e di altri Paesi della periferia dell'area euro.

Il rischio - Inondando con miliardi di euro le casse degli istituti tedeschi, questi avrebbero liquidità sufficiente per evitare l'acquisto di bond dei loro Paesi. Ma non solo: con i soldi incassati per esempio dagli istituti di Italia e Grecia, questi ultimi potrebbero garantire con certezza il rimborso dei prestiti ottenuti proprio dalle banche tedesche. Si tratterebbe, insomma, di una forma di solidarietà a senso unico, il senso che conduce dritti dritti in Germania. Una circostanza che Draghi dovrebbe tenere in considerazione prima di avallare una forma di finanziamento che non risolverebbe i cornici problemi del Vecchio Continente ma, anzi, finirebbe col renderebbe ancor più potente quella Germania che, in Europa, già si muove come un player egemone.