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venerdì 12 dicembre 2014

Italia commissariata, arriva la Troika Politiche, tasse, conti: siamo rovinati

Ue, al termine del semestre europeo l'Italia commissariata: arriva la Troika




Iniziato lo scorso luglio, si conclude idealmente col Consiglio Europeo del 19 e 20 dicembre la presidenza italiana del Consiglio dell'Unione Europea, altrimenti detta il "semestre italiano". E finisce nel peggiore dei modi, cioè con un "monitoraggio stretto" a partire da gennaio di Bruxelles sulle riforme e soprattutto con la minaccia del blocco dei fondi strutturali. Le avvisaglie di una bocciatura a dire il vero c'erano tutte: proprio ieri, giovedì 11 dicembre, Jean-Claude Juncker aveva minacciato: "Se c'è qualcuno che non può lamentarsi è proprio l'Italia. Sento molte più lamentele per la comprensione mostrata". Una spiacevole minaccia che proprio il presidente della Commissione Europea qualche giorno prima aveva bissato, millantando "spiacevoli conseguenze" in mancanza di riforme.

La Troika - Così il destino dell'Italia è segnato. E il destino ci riserva la cosiddetta "Troika", ossia il triumvirato composto da Commissione, Banca Centrale Europea (Bce) e Fondo monetario internazionale (Fmi), che stringerà la lente in particolar modo sull'Italia per verificare che il governa traduca in pratica quanto promesso fin'ora. Un commissariamento di fatto, dunque, agli ordini dei falchi del rigore agli ordini di Angela Merkel. Al vaglio della Troika ci saranno i conti pubblici, innanzitutto, ma non solo: il debito pubblico, che resta il problema principale, e poi la produttività che invece è strutturalmente bassa. Una serie di problemi da risolvere, e a farlo ci penseranno loro. Come? Con altre tasse ed altra austerity.

Nel mirino - Nel mirino dei commissari che a breve si insedieranno il nostro Paese, inoltre, una giustizia lentissima (in particolare quella civile), la burocrazia abnorme e che non accenna ad allentare la pressione sul sistema produttivo e infine una Pubblica amministrazione ancora troppo statica e pesante. Insomma gli sforzi per contenere il disavanzo non sono bastati, e il rischio di subire un trattamento che stanno sopportando Slovenia e Croazia, una sorta di cessione di sovranità, è reale. La stessa cessione di sovranità che ha travolto la Grecia: questo è il "frutto" del governo Renzi. 

Le conseguenze - Il governo dell'uomo di Rignano sull'Arno, stretto nella morsa della Troika, potrebbe essere costretto a mettere il turbo ad alcune misure, come ad esempio il decreto lavoro: il Jobs act dovrà in questo senso mettere da parte ogni obiezione sindacalista e minoritaria. Non solo, a vederla dal peggiore dei punti di vista, potremmo finire commissariati come i paesi passati per la cura europea, quella vera, quella devastante, come la già citata Grecia. Le conseguenze di ciò, neanche a dirlo, sarebbero disastrose in quanto si potrebbe arrivare al temutissimo blocco dei fondi europei. Danni economici che si tradurrebbero in danni politici, a cui Matteo Renzi guarda con terrore: quello di un rottamatore "malato di annuncite" accusato di non aver rottamato il vecchio Paese.

"Se lo volete...". "Che fai, minacci?" Delrio e D'Alema, volano gli stracci

Massimo D'alema contro Graziano Delrio: "Vecchia politica? Non minacci"




Tornano le antiche ruggini tra vecchia e nuova politica, o presunta tale. A Graziano Delrio, rappresentante in questo caso della nuova ondata democratica, che ieri si era lamentato della scarsa coesione del suo partito in Commissione Affari Costituzionali ("Gli incidenti parlamentari possono anche capitare, ma quello che è successo ieri non esiste. Basta segnali di vecchia politica") risponde Massimo D'Alema che sulle esternazioni del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Delrio ci va giù pesante: "E' stupefacente - dice - che una persona ragionevole come il sottosegretario Delrio, nel giorno in cui escono i dati della produzione industriale con l'ennesimo segno meno a conferma della gravità della crisi del nostro paese, non trovi di meglio che minacciare i parlamentari".

Il commento - "Delrio - prosegue D'Alema - dovrebbe sapere che le riforme costituzionali sono materia squisitamente parlamentare e che i deputati e i senatori hanno il diritto e il dovere di cercare di migliorare testi che restano contraddittori e mal congegnati malgrado il notevole impegno della relatrice". Delrio aveva precisato che se "la minoranza del Pd vuole andare a votare lo dica, noi vogliamo continuare e arrivare fino al 2018." Parole che oltre al Baffino, hanno infastidito altri esponenti della cosiddetta minoranza e scatenato le consuete polemiche all'interno del Partito Democratico. Così ad esempio Vannino Chiti, dissidente doc: "E' strano che il sottosegretario Delrio chieda alla minoranza del Pd se voglia le elezioni anticipate: a parte il fatto che non è nel potere delle minoranze questa scelta, faccio notare che fino ad ora sono stati esponenti che si dichiarano di assoluta fede renziana ad invocare il voto".

Il ruolo della minoranza - L'affondo va avanti e Chiti ricorda come "il Parlamento ha il dovere di approvare una buona legge elettorale, che restituisca ai cittadini italiani la possibilità di scegliere i parlamentari e di determinare le maggioranze di governo. La legge elettorale ha questo scopo: non ha certo il compito di condizionare lo svolgimento delle elezioni politiche in una data o in un'altra. E' anche - aggiunge Chiti - un impegno serio, indispensabile all'Italia, quello di approvare una riforma costituzionale seria e coerente, che superi il bicameralismo paritario, rinnovi e rafforzi la nostra vita democratica".

Il nero, l'assassino rosso e Alemanno: i giorni insieme nel carcere di Rebibbia

Rebibbia 1982: quando Alemanno, Carminati e Buzzi erano in carcere insieme




Era il 1982 e nel carcere di Rebibbia si ritrovano, con accuse diverse, quattro detenuti che avrebbero in qualche modo fatto la storia di Roma, una storia che viene sintetizzata dal Fatto Quotidiano. C'era un giovanissimo Gianni Alemanno, ventitré anni, già accusato e poi prosciolto un anno prima di aver preso a sprangate uno studente universitario insieme ad altri camerati. Questa volta invece è dentro per aver lanciato una molotov contro l'ambasciata dell'Unione Sovietica, poco dopo sarà prosciolto anche da quest'accusa.  Qui secondo il Fatto Gianni incontra Salvatore Buzzi, tre anni più di lui, e l'accusa di un omicidio commesso con 34 coltellate il 24 giugno nel 1980.

Quattro amici - Ma a Rebibbia non ci sono solo Alemanno e Buzzi. C'é anche Massimo Carrminati, da pochi mesi ferito all'occhio e grande amico di Peppe Dimitri. Quest'ultimo passa da Avanguardia Nazionale a Terza Posizione fino al terrorismo dei Nar è amico sia di Carminati che di Alemanno che anni dopo, quando diventerà ministro dell'Agricoltura, come fa notare il Fatto, gli affiderà una consulenza. Dimitri è compagno di cella di Alemanno. Ma c'è un altro uomo in carcere, Andrea Munno, anche lui appartantente ai Nar . Tutti erano amici di Massimo Carminati, il "re di Roma". Dimitri è morto nel 2001 ma gli altri tre entrano nelle carte dell'inchiesta che in questi giorni ha scosso la Capitale. 

La carriera -  Nei successivi vent'anni Gianni Alemanno diventa prima ministro poi sindaco di Roma, Buzzi ottiene la grazia e si impegna nel sociale, entra nel Pd ma è grazie ad Alemanno che ottiene molti appalti. Carminati - scrive il Fatto diventa il re di Roma, mafioso secondo l'accusa, socio di Buzzi nella cooperativa rossa e negli affari capitolini. Munno ritorna in carcere nel 1994 per usura, ricettazione e triffa nei confronti di commercianti e liberi professionisti a Roma e in Puglia invece per traffico di dollari falsi. Nel 2012 è indagato per i Punti Verdi del Campidoglio di Parco Feronia e Parlo Kolbe. Secondo l'accusa avrebbe messo in piedi un giro di fatture gonfiate. Munno non è indagato nell'inchiesta Mafia Capitale ma il suo nome emerge dagli atti dell'inchiesta. Di quei quattro giovani che nel 1982 erano a Tebibbia, due - Carminati e Buzzi - sono a Regina Coeli, uno Alemanno è accusato di mafia.   

Un siluro greco (da 40 miliardi) contro la Merkel: così Atene può far saltare in aria i conti di Berlino

Grecia, il siluro contro la Germania: così Atene può sabotare i conti di Berlino (e di mezza Europa)




Le voci su un possibile (e probabile) voto anticipato in Grecia, da giorni, agitano i mercati e le Borse, che hanno fatto segnare pesanti passivi. Il motivo? Syriza, il partito della sinistra radicale di Atene, favorito in un'ipotetica contesa elettorale. Già, perché Syriza - che al pari dei neonazi di Alba Dorata e pur da basi politiche profondamente differenti ha cavalcato il sentimento antieuropeista di un Paese massacrato proprio dall'Europa - chiede di stravolgere le politiche imposte da Bruxelles sul debito di Atene. Nel dettaglio, chiede uno sconto che oscilli tra il 70 e l'80% ai creditori internazionali, una richiesta (e qui c'è il curioso tempismo di una storia che ritorna) che ricorda e ricalca quella della Germania, poi accolta degli alleati, che nel 1952 si vide riconoscere uno sconto del 62% su ciò che avrebbe dovuto pagare per le sciagure del nazismo.

La richiesta - Ma torniamo a questi giorni, torniamo alla delicatissima richiesta della Grecia che, se accolta, costituirebbe un significativo precedente nell'Eurozona, che ad oggi non ha mai fatto ricorso alla ristrutturazione di un debito a carico dei contribuenti di altri stati (i soldi che ha ricevuto la Grecia, infatti, sono tecnicamente dei prestiti che, presto o tardi, dovrebbero essere restituiti). Syriza ha reso nota la sua posizione la scorsa settimana, a Londra, dove due esponenti del partito guidato da Alexis Tsipras hanno spiegato quella che sarà la loro richiesta a una platea di 35 banchieri d'affari, che sono rimasti eufemisticamente perplessi di fronte all'idea del partito greco. Già, perché Syriza, nei fatti, chiede un sconto del 70-80% su un debito che ammonta a 330 miliardi di euro, ossia il 177% del Pil del Paese. Syriza, inoltre, chiede anche di ridurre le politiche di austerità.

Cifre alla mano... - Ma non sono soltanto i banchieri ad essere rimasti perplessi: la stessa reazione è stata registrata in Germania. Il motivo? Gran parte del debito greco è in mani tedesche. Di quei 330 miliardi, come scrive Il Sole 24 Ore, il 72% sono da considerarsi "official loans", ossia in mano a istituzioni pubbliche (il 60% della Ue e il 12% del Fmi). Un altro 5% sono prestiti, l'8% è detenuto dalla Bce e il restante 15% sono "marketable debt", ossia trattabili sul mercato secondario (così ripartiti: 11% bond e 4% bills, ossia prestiti a breve termine). Il conto, dunque, è presto fatto: se Atene ottenesse il maxi-sconto pur di evitare l'uscita dall'euro a perderci di più sarebbe la Ue, attraverso l'Esm (il fondo salva-Stati) e attraverso i suoi stati membri. E tra gli stati membri è proprio la Germania a detenere la maggiore quota del debito ellenico, pari al 27% (segue la Francia con il 20% e infine, con poco meno del 18%, figura l'Italia). In soldoni, alla Germania, fatti due semplici calcoli, potrebbero mancare 40 miliardi di euro, una cifra monstre che crea più di un grattacapo a Berlino (proprio come creano seri grattacapi i 28 miliardi che mancherebbero alla Francia e i 25 che non arriverebbero alla già disastrata Italia).

ITALIANI, POPOLO DI FRIGNONI L'Europa insulta e ci imbavaglia:

Jean-Claude Juncekr: "L'Italia non si può lamentare"




Dopo la minaccia di "conseguenze spiacevoli" e le risposte del governo italiano, con tono sprezzante, torna a farsi sentire Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione Europea, il falco del rigore pilotato dalla manina della Germania di Angela Merkel. "Se c'è qualcuno che non può lamentarsi - afferma - è proprio l'Italia. Sento molte più lamentele per la comprensione mostrata", afferma scordandosi con tutta evidenza gli ultimi tre anni vissuti dal Belpaese, che ancora sconta gli effetti della "cura Monti", ossia tasse ed austerity di matrice europea.

La minaccia - Juncker, nel corso di un'intervista ai quotidiani Avvenire, The Guardian e Suddeutsche Zeitung in edicola domani, venerdì 12 dicembre, ritorna poi su quelle "conseguenze spiacevoli" di cui aveva parlato: "Avremmo potuto attivare per l'Italia una procedura per debito eccessivo. Invece ho parlato con Renzi, per il quale nutro sentimenti di amicizia, anche al G20 in Australia e gli ho detto: se vuoi mostrare la volontà di intraprendere le necessarie riforme, per favore scrivetemi una lettera per dirmelo. E questo l'Italia ha fatto". Juncker, poi, difende a spada tratta l'operato delle istituzioni continentali, affermando che nel caso dell'Italia e della Francia, la Commissione "ha operato in modo politico, non burocratico. Dobbiamo prendere atto che l'intera situazione economica anche a livello globale è drammaticamente peggiorata. Anche questo dimostra che si tratta di una Commissione politica e che dunque non siamo per un'attuazione burocratica del Patto di Stabilità". Juncker ribadisce che "il patto non è mai stato applicato in modo più felssibile".

"Vi amo, ma..." - Nelle ultime battute dell'intervista, Juncker torna al punto dal quale era partito, ossia alle "lamentele" dell'Italia. Il presidente della Commissione esprime amicizia per Renzi e per il Belpaese, "che amo", ma critica il fatto che il premier "in numerose dichiarazioni pubbliche ha suscitato l'impressione che la Commissione sia una macchina trascinata da cieca burocrazia". Per ultima, una battuta sulla situazione greca e sulla possibile crisi che deriverebbe da un voto anticipato e dalla vittoria di Syriza, movimento antieuropeista di estrema sinistra: "Quanto è accaduto alla Borsa di Atene - conclude Juncker - non è il segnale di una nuova crisi".

giovedì 11 dicembre 2014

Commercialista inguaia la Melandri: creò la sua Fondazione ma...

Mafia Capitale, Melandri inguaiata dal commercialista della banda: creò la sua fondazione




"Sono addolorata ma anche furiosa per quello che sta accadendo". Giovanna Melandri viene tirata ancora una volta dentro l'inchiesta Mafia Capitale. Il suo nome viene associato a quello di Luca Odevaine (arrestato per corruzione e associazione mafiosa) non solo per via della parentela che li lega, ma anche perché ai tempi lo scelse come consigliere al Ministero della Cultura. Ma c'è di più. Il commercialista di Giovanna Melandri, nonché il socio fondatore della sua organizzazione, la "Human Foundation", è considerato dagli inquirenti uno dei professionisti che riciclavano all'estero il denaro sporco della Cupola romana. Stefano Bravo, avrebbe un ruolo chiave nella banda della Terra di Mezzo: ha contatti costanti con Luca Odevaine, gestisce i suoi conti, porta i soldi in Svizzera, fa altri viaggi per conto dell' organizzazione. Adesso si scopre che aveva un incarico importante anche nella "Human" visto che ha contribuito a farla nascere. Ieri, rivela il Corriere, improvvisamente la sua foto e il suo curriculum sono stati rimossi dal sito Internet ufficiale. Ma nessuno può negare quanta importanza abbia avuto e infatti Melandri chiarisce a Fiorenza Sarzanini: "È il mio commercialista da quindici anni. Sono addo-lorata ma anche furiosa per quanto sta accadendo. L' 8 dicembre gli abbiamo inviato una lettera per chiedergli di lasciare ogni incarico, sia pur nella speranza che possa chiarire la propria posizione. Gli abbiamo scritto che la nostra principale preoccupazione è il danno per la fondazione che nasce sul presupposto della totale trasparenza e innovazione nelle politiche sociali". Nega invece che abbia svolto attività per il Maxxi, il museo d'arte contemporanea di Roma del quale Melandri è presidente: "Nessun contatto, mai".

Beppe Grillo attacca Napolitano: "Dov'eri quando l'Italia affondava?"

#sonoUnEversore, Beppe Grillo e la campagna social contro Giorgio Napolitano




L'hashtag coniato da Beppe Grillo #sonoUnEversore guida la classifica Twitter Italia. Il leader del Movimento 5 Stelle ha lanciato una campagna sul social newtwork, invitando i follower a postare su Twitter una foto con un cartello simile al suo. Tantissimi i deputati e i senatori che in queste ore stanno seguendo l'indicazione del fondatore del M5S.  "#sonouneversorè, ma non sono solo - cinguetta Grillo - I giornali se ne accorgeranno? Primo trending topic di Twitter in Italia"

L'affondo - "Pago le tasse, non rubo, denuncio. Caro Napolitano, confesso! Sono Un Eversore" con questo messaggio il pentastellato attacca Giorgio Napolitano che, nella giornata di ieri aveva aveva attaccato l'anti-politica, definendola patologia eversiva: "La critica della politica e dei partiti, preziosa e feconda nel suo rigore, purché non priva di obiettività, senso della misura e capacità di distinguere è degenerata in anti-politica, cioè in patologia eversiva". Infine l'affondo "Mi viene spontanea una domanda al presidente Napolitano: ma mentre la Repubblica affondava nel fango, lei dov’era? Su Marte?"