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mercoledì 10 dicembre 2014

Spuntano D'Alema, Alfano e Fassina: Mafia Capiale, che c'entrano i loro nomi

Mafia Capitale e l'affare sulla Nuvola di Fuksas: spuntano i nomi di D'Alema, Alfano, Fassina




Massimo D'Alema, Stefano Fassina, Angelino Alfano. Ci sono anche i loro nomi nelle intercettazioni finite nell'inchiesta su Mafia Capitale. E' di loro che parlano l'ex direttore marketing dell' Eur Spa Carlo Pucci e un commercialista, il consigliere della Marco Polo Spa (già nel consiglio di amministrazione dell'Ente Eur) Luigi Lausi che gli inquirenti considerano come il facilitatore dei pagamenti verso le coop di Buzzi per le commesse per l'Eur. Al centro della conversazione un misterioso affare legato alla Nuvola, il nuovo centro congressi progettato da Massimiliano Fuksas, opera i cui tempi e costi si sono via via dilatati negli anni, sfociando in un'indagine della Corte dei Conti.

Le intercettazioni - Nell'intercettazione, pubblicata dal Giornale, Lausi dice che Francesco Parlato, il responsabile della direzione generale Finanza e Privatizzazioni del Mef, azionista di Eur per il 90 per cento "è l' artefice, l'ideatore, il suggeritore, quello che non ha fatto capire un cazzo a Fassina, il deus ex machina insieme a Di Stefano di questa operazione". Di quale operazione - che farebbe capo a Marco Di Stefano (il deputato del PD autosospeso dopo che la procura l' ha accusato, in un' altra inchiesta, di aver preso una tangente da 1,8 milioni) e al dirigente del ministero di cui Fassina era sottosegretario - si parli, non è dato sapere. Ma Lausi è un fiume in piena. "Bisogna cacciare Parlato. Parlato è il colpevole numero uno di questa situazione, la mia relazione è stata data a Parlato due anni fa. Che parlasse col Senatore, ok? Perché questa relazione ce l' ha anche il Senatore, la cosa è nota da due anni. Loro mi ammazzano perché io ho detto due anni fa quello che sarebbe accaduto. Chiaro? Questo è».

"Alfano già lo sa" - Poi Lausi aggiunge: "Tieni presente che questa cosa Alfano già la sa". Pochi minuti e Pucci richiama Lausi per continuare il discorso. "Lui - gli spiega il commercialista riferito a Piergallini di Eur Spa - sta facendo una questione di principio, con 396 milioni di debito che oggi avete sul collo. È una situazione insostenibile. È Parlato - ribadisce Lausi - che deve saltare, ha ragione il senatore Esposito (presumibilmente Giuseppe Esposito di Ncd, ndr), ci ho parlato stamattina, stavo là con lui, Alfano già sa tutto, è quello che deve salta', mo' vado da D'Alema, mi faccio porta' da Di Cani, prossima settimana che tanto viene a Roma, è il mio avvocato, amici d' infanzia, mo' ce faccio un piatto che la metà basta". L'operazione, evidentemente opaca, che Lausi vuol portare a conoscenza pure di D'Alema e Fassina e che Alfano già conosce, potrebbe riguardare l' albergo in costruzione con la Nuvola. Fa propendere per questa ipotesi una telefonata tra gli stessi interlocutori, quattro giorni dopo. Lausi chiede a Pucci "se vi fossero novità, verosimilmente all' Eur Spa", e Pucci replica: "Caos totale".

Attentato al Patto del Nazareno, Senato, il governo va due volte sotto: c'è dietro lo zampino di un big azzurro

Senato, governo due volte sotto in Commissione alla Camera




Una nuova bastonata al Patto del Nazareno: il governo è stato battuto alla Camera in commissione Affari costituzionali per 22 a 20. I sì sono arrivati da Sel, Movimento 5 stelle, Lega e da una serie di deputati della minoranza Pd, mentre uno di Forza Italia, Maurizio Bianconi, si è astenuto. Un non-voto decisivo, quello di Bianconi, che mina dunque la stabilità dell'esecutivo. Ma non è tutto, perché la maggioranza è stata sconfitta due volte sul voto di due emendamenti simili, uno di Sel e l’altro della minoranza Pd, che eliminano dall’attuale testo del ddl i 5 senatori di nomina presidenziale che rimangono in carica per 7 anni. Con l'approvazione di questi due emendamenti, di fatto, il Senato sarà composto solo da 100 senatori eletti nei consigli regionali: non ci saranno più, al contrario, i 5 senatori di nomina presidenziale.

Altri nodi da sciogliere - Governo, dunque, battuto per due soli voti. Alla conta è mancato anche Francesco Sanna, esponente della maggioranza Pd, assente al momento della votazione: "Non c'è alcuna implicazione politica nel mancato voto", ha spiegato. Ruolo determinante, al contrario, quello di Bianconi: se infatti avesse votato in accordo col suo gruppo, i voti sarebbero stati pari, ossia 21 e 21, e in questo caso in Commissione avrebbe prevalso il voto contrario, così come avviene quando si registra una parità tra voti favorevoli e contrari. Nel dettaglio, quello che terremota il governo era un "emendamento tecnico", non "un voto politico", dunque, tenta di minimizzare Alfredo D'Attore, della minoranza democrat. Sempre D'Attore ricorda che restano "altri nodi da sciogliere, e mi auguro che l'atteggiamento dei relatori e del governo sia diverso, rimettendosi all'orientamento che emerge in Commissione".

Manovra e Jobs Act, effetto devastante: ecco quanti posti di lavoro si perderanno

Manovra Renzi, gli effetti devastanti sul lavoro: 300.000 posti in meno




La legge di stabilità 2015, appena approvata dalla Camera e ora al vaglio del Senato, rischia di creare un grosso danno alla già critica situazione occupazionale del nostro Paese. È quello che denunciano i consulenti del lavoro nel parere della Fondazione Studi, ribadendo anche la necessità di revisione delle regole sugli sgravi contenute nella nuova norma. "Sono a rischio oltre 300mila posti di lavoro nei prossimi tre anni -stimano i consulenti del lavoro- visto che la manovra finanziaria contiene la soppressione di una norma che potrebbe rivelarsi fatale soprattutto per gli artigiani di tutt’Italia e per tutti gli imprenditori delle regioni del Sud. Gli sgravi previsti per le assunzioni a tempo indeterminato, nelle previsioni della legge di stabilità (art. 12), andrebbero a sostituire quelli previsti dalla legge 407/90".

Sgravio contributivo - Una sostituzione dannosa, per i consulenti, che ricordano come con la legge 407/90 siano stati avviati «in questi 24 anni alcuni milioni di rapporti di lavoro, particolarmente dagli artigiani su tutto il territorio e dai datori di lavoro del Mezzogiorno per i quali vige lo sgravio contributivo del 100%». "Ove non dovesse essere introdotta nell’ordinamento una norma che consenta di ottenere un impatto economico-sociale identico -si legge nel parere della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro- si avrebbero immediate ripercussioni sui già pessimi livelli occupazionali. Lo sgravio contributivo per i neoassunti (3 anni di esenzione dai versamenti Inps), infatti, è molto meno vantaggioso delle previsioni della legge 407/90 che fino a oggi, con varie modifiche, ha regolato le assunzioni agevolate e che sarà abolita con la legge di stabilità". Attualmente tramite la legge 407/90 vengono avviati al lavoro circa 130 mila lavoratori all’anno, nonostante il periodo di grave crisi. "In sostanza è al momento -osservano i consulenti del lavoro- l’unico, o quasi, strumento normativo utilizzato che produce occupati. La perdita secca del prossimo triennio, in assenza di identici vantaggi contributivi, sarebbe dunque di oltre 300 mila unità".

Grossi affari per le aziende - Non solo. Il combinato disposto tra il nuovo contratto previsto dal Jobs Act e l’incentivo all’assunzione, inserito nella legge di stabilità, potrebbe creare un meccanismo perverso per il quale le aziende avrebbero un vantaggio economico a licenziare prima che scatti la stabilizzazione programmata dal contratto a tutele crescenti. A suonare l’allarme è uno studio della Uil, secondo cui un’azienda che nel 2015 assume un lavoratore, e lo licenzia a fine anno, potrà beneficiare di un ’saldo' positivo di circa 4.392 euro medi che schizzerebbero a 13.190 euro se venisse invece licenziato dopo 3 anni. Esattamente il contrario, cioè, di quell’operazione di ’stimolo' all’occupazione stabile sbandierata con il Jobs Act. Tutto si gioca, dice il sindacato, sulla differenza tra la decontribuzione per le nuove assunzioni, di cui beneficia l’azienda, e le nuove regole sull’indennizzo che spetta al lavoratore in caso di licenziamento e che, stando alle ultime indiscrezioni circa la riscrittura dell’articolo 18, si aggirerebbe su una mensilità e mezza. Stando alla simulazione messa a punto dal segretario confederale Guglielmo Loy presentata ai quadri Uil di Rieti in vista dello sciopero generale del 12 dicembre, infatti, per uno stipendio medio di 22 mila euro lordi/anno (1.692 euro lordi/mese), la decontribuzione sgraverebbe l’azienda di circa 6.390 euro. Se il lavoratore venisse licenziato a fine anno l’indennizzo, e perciò il costo per l’azienda, si aggirerebbe intorno ai 2.538 euro lordi: il ’saldo' per l’impresa dunque sarebbe positivo per 4.390 euro.

Licenziamenti vantaggiosi - Un vantaggio che aumenterebbe, stima ancora la Uil, se il lavoratore, sempre assunto il 1 gennaio 2015, venisse invece licenziato nel terzo anno: i benefici fiscali per l’azienda, su un reddito di 22 mila euro, ammonterebbero a circa 20.790 euro mentre il costo dell’indennizzo sarebbe di 7.600 euro lordi, con un ’vantaggio' per l’impresa di 13.190 euro. "La scelta del Governo non ci sembra proprio geniale: si tolgono diritti ai lavoratori mentre si premiano tutte le imprese, anche quelle che licenziano o che non investono, e il risultato è un economia stagnante e un tasso di disoccupazione sempre alto", spiega ancora Loy, che punta il dito contro "l’aiuto indiscriminato alle imprese" da parte del governo che invece ha scelto "di penalizzare il lavoro dipendente". Il Parlamento, aggiunge, "è ancora in tempo per correggere la legge di stabilità che non opera come ’stimolo' ad assumere maggiormente ma, semplicemente, sgrava le imprese da costi senza assicurare che si raggiunga l’obiettivo principale: creare nuova e buona occupazione", conclude Loy.

Dalla coop rossa soldi alle radical-chic: così Buzzi imbarazza Dandini & co

Mafia Capitale, la coop rossa del boss Buzzi pagava gli spettacoli di Dandini, Camusso e Boldrini




C'è anche la cooperativa 29 Giugno di Salvatore Buzzi tra gli sponsor dello spettacolo sulla violenza contro le donne di Serena Dandini. Come la coop Centro Italia, Unipol, Coop Adriatica, Coop Lombardia, Legacoop Veneto, Coop Estense, Coop Novacoop, Legacoop Fvg, pure Buzzi, iscritto al Pd e "braccio imprenditoriale" di Mafia Capitale, ha messo mano al portafoglio e, con quei soldi "guadagnati" con le commesse pubbliche del Comune di Roma per la gestione degli immigrati, ha finanziato Ferite a morte. Il socio di Massimo Carminati ne va giustamente fiero e nel marzo 2013 pubblica sul sito della sua creatura: "La Cooperativa 29 Giugno sostiene il progetto teatrale di Serena Dandini che vede come interpreti importanti attrici italiane e donne della società civile per "accendere i riflettori" su quello che ormai è diventato un fenomeno diffuso in tutto il mondo: il femminicidio". Lo spettacolo di Serena Dandini andò benissimo. Sul palco dell'Auditorium di Roma, racconta il Giornale, salirono tutte: da Susanna Cammusso a Margherita Buy, da Lella Costa a Concita De Gregorio. In platea, ad applaudire, presidente della Camera Laura Boldrini.

Non solo rom - Del resto nel grande business di Buzzi, 60 milioni di euro di fatturato, non ci sono solo gli immigrati e i nomadi, ma anche le "donne singole in difficoltà con figli minori a carico". Il sistema, spiega Paolo Bracalini del Giornale, era quello di alimentare l'emergenza, parlarne anche attraverso gli spettacoli e poi accaparrarsi poi gli appalti per la gestione di quel fenomeno, come per le cifre dell'immigrazione a Roma, gonfiate grazie al sodale Luca Odevaine, ex capo di gabinetto di Walter Veltroni. E infatti la 29 Giugno supportò anche uno spettacolo sui rifugiati dell'attore terzomondista Giobbe Covatta. Del resto, come dice Buzzi al telefono, "gli affari so' affari".

Mafia Capitale, nuove pene in arrivo Renzi: "Sei anni di carcere per i corrotti"

Mafia Capitale, Matteo Renzi: "Alziamo la pena minima per la corruzione a 6 anni"




"I corrotti pagheranno tutto. Fino all'ultimo giorno, fino all'ultimo centesimo". Matteo Renzi, in un video messaggio su Youtube che commenta gli ultimi sviluppi dell’inchiesta su Mafia Capitale e annuncia un nuovo pacchetto di modifiche al codice penale mirate alla lotta alla corruzione.

Le nuove misure in Cdm - Renzi elenca quattro punti che verranno presentati in Consiglio dei ministri di giovedì. In primo luogo “si alza la pena minima della corruzione, da 4 a 6 anni. Puoi patteggiare, ma comunque un po’ di carcere te lo fai”. In secondo luogo “sarà molto più semplice procedere alla confisca dei beni di chi ha rubato”. In terzo luogo “il maltolto si deve restituire, e non una parte. Se è provata la corruzione si restituisce fino all’ultimo centesimo”. Infine “si allunga il periodo per arrivare alla prescrizione”.

Le mosse del governo - Il premier specifica che “il governo non può mettere il naso, non deve mettere il naso, non vuole mettere il naso in quello che fa la magistratura. Saranno i giudici a capire se quello è un reato mafioso o più banalmente, si fa per dire, un atto di corruzione". Tuttavia il Governo vuole dire che “il vento è cambiato” perché “quando uno che ruba può patteggiare e trovare la carta di uscita gratis di prigione come nel Monopoli, questo è inaccettabile". 

La Campana stonata del Pd: le sue bugie sugli sms al boss

Mafia Capitale, Micaela Campana stonata: tutte le bugie sugli sms a Buzzi della deputata del Pd

di Marco Gorra


La Campana suona per il Partito democratico. E non è proprio bella musica. Il caso della renzianissima deputata (è responsabile Welfare e Terzo settore nella segreteria del partito) Campana Micaela ha tutte le carte in regola per rappresentare per il nuovo Pd, quello fatto ad immagine e somiglianza del segretario-premier, un grattacapo mica da niente. La giovane parlamentare era inizialmente finita nel calderone dell’inchiesta sulla mafia a Roma in virtù di un sms inviato al dominus della cooperativa 29 giugno Salvatore Buzzi con scritto «bacio grande capo». Da cui la ridda di ipotesi e maldicenze circa la familiarità della Campana stessa col ras degli appalti e la strenua difesa della parlamentare: «È un saluto che uso abitualmente».

Fosse solo una questione di messaggini e di etichetta da usare nei medesimi, il problema in effetti quasi non si porrebbe. Il guaio è che dietro l’sms c’è una storia da cui la posizione della Campana rischia di uscire messa tutt’altro che bene: la storia dell’interrogazione parlamentare pilotata per Buzzi.

A mettere in fila i dettagli della vicenda ha provveduto Luca Sofri, direttore del Post. I fatti: Buzzi ha bisogno di fare pressione su una giudice del Tar che dovrà decidere in merito ad un ricorso contro un appalto assegnato ad una delle “sue” cooperative. Tra i vari fronti su cui l’uomo si attiva c’è quello del Pd cui - nella persona dell’onorevole Campana - si chiede di presentare un’interrogazione parlamentare in merito. Gli sforzi di Buzzi vanno a buon fine? La Campana giura di no: prima scrive su Facebook che «l’sms in questione, se letto nella sua interezza, e non nel solo stralcio maliziosamente riportato dai media, dimostra che non avrei mai presentato l’interrogazione richiesta dal Buzzi» e poi, intervistata da Repubblica, assicura di non averla presentata «perché non mi convinceva».

Il problema è che le cose non sembrano stare così. Intanto per via di un altro sms finito agli atti, quello in cui il deputato dem Umberto Marroni dice a Buzzi che «ho parlato con Micaela, meniamo» e riguardo alla stesura del testo assicura che «la sta preparando Micaela». E si arriva al celebre sms della Campana a Buzzi, quello da leggere «nella sua interezza». Trascrizione letterale: «Parlato con segretario ministro. Mi ha buttato giu due righe per evitare il fatto che mi bloccano l’interrogazione perche non c’e ancora procedimento. Domani mattina ti chiamo e ti dico. Bacio grande capo». L’indomani a contattare Buzzi è l’assistente della Campana, che scrive il seguente messaggio: «Buongiorno Mica (Micaela, ndr) aveva depositato interrogazione, ma l’ufficio responsabile ce l’ha rigettata perché non era congrua essendo basata solo su articoli di giornali, ora l’ufficio ce la riscrive affinche non venga rigettata ma ci vorra qualche giorno». Un modo ben curioso per non essere convinti della bontà dell’interrogazione.

Tentazione che spaventa l'Europa: ecco cosa farà Renzi con gli 80 euro

Matteo Renzi, la tentazione: nel 2015 bonus 80 euro anche a pensionati e autonomi




Il diktat dell'Eurogruppo all'Italia sulla necessità di correggere al rialzo il taglio del deficit per il 2015 potrebbe essere un avvertimento preventivo. A Bruxelles, infatti, temono che il premier Matteo Renzi stia studiando una "virata" nella propria politica economica. E' il retroscena offerto dal Corriere della Sera, e Massimo Franco spiega perché: in effetti, la "sterzata" sarebbe nell'agenda del governo, ancora sotto forma di "scenari, non decisioni", e prevederebbe un clamoroso allargamento della platea a cui verrebbero destinati gli ormai mitologici 80 euro al mese in busta paga.

Gli 80 euro a pensionati e autonomi - L'idea di Renzi, spiega Franco, sarebbe quella di estendere entro marzo il bonus di 80 euro a pensionati e lavoratori autonomi, e non più solo quelli dipendenti. Un modo per recuperare un po' di terreno dal punto di vista del favore elettorale (magari a ridosso del ritorno alle urne) ma anche per spezzare la catena della recessione e tentare di ridare fiato ai consumi, visto che le previsioni sul Pil parlano ancora di un probabile segno meno. Per effettuare questo intervento soldi, tanti: 10 miliardi di euro per il bonus e tra i 40 e i 50 miliardi per un piano triennale di investimenti sociali. Il piano Juncker e il tesoretto previsto dalla manovra non basterebbero, ma Palazzo Chigi starebbe studiando l'ipotesi di andare avanti comunque, sfondando il tetto del 3% del rapporto tra debito e Pil. 

Il rischio di infrazione - Il debito sarebbe "virtuoso" perché sfruttato per la crescita e gli investimenti, certo, ma non incontrerebbe certo il favore di Bruxelles. E qui si torna alle parole di lunedì del presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem: "L'alto debito resta motivo di preoccupazione, sappiamo tutti che cosa accadrebbe se le regole non fossero rispettate". Un rischio concreto di infrazione, certo, ma che Renzi potrebbe accettare di correre per provare il tutto per tutto. E magari incassare qualche voto in più, come successo alla vigilia delle trionfali (per lui) elezioni europee di maggio.