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mercoledì 26 novembre 2014

Bindi, Bersani, D'Alema & C. Al Quirinale vogliamo un altro di noi

Quirinale, Renzi deve trovare l'intesa con Berlusconi e con la minoranza del Pd




Gli scontri nel Pd, il Nazareno che scricchiola, le tensioni nel centrodestra. Tutto è riconducibile ad una sola causa: il Quirinale. E' sul Colle, infatti, che si gioca la vera partita di Matteo Renzi. Che non solo dovrà vedersela con Silvio Berlusconi ma anche con l'anima più radicale del Pd, con la fronda formata dalla vecchia guardia comunista (Rosy Bindi, Pierluigi Bersani, Massimo D'Alema).

Il patto del Nazareno, scrive Francesco Verderami sul Corriere della Sera, prevedeva per il Quirinale l'adozione del metodo "per esclusione": in sostanza, tolti i nomi "sgraditi", Renzi avrebbe presentato una rosa di candidati, papabili successori di Giorgio Napolitano e avrebbe quindi trovato l'intesa su alcuni nomi da portare in Parlamento. Ma le cose non stanno andando come il premier sperava. Il patto con il Cavaliere è praticamente rotto e nel Pd, dopo la perdita di consensi alle Regionali, la minoranza cerca il riscatto e si gioca tutto.

D'Alema e Bersani stanno preparando i "carri armati" ("Renzi non pensi di fare come per la nomina alla Farnesina quando dopo aver prospettato una rosa di donne all'ultimo momento arrivò da Napolitano con i nomi di Gentiloni e Tonini, sarebbe l'inferno"). E la Bindi è agguerritissima. Proprio in una intervista al Corriere dice: "E' iniziata la parabola discendente di Renzi. Ora si torni all'Ulivo o facciamo una forza politica nuova tutt'altro che minoritaria, di sinistra, competitiva". E il Quirinale, appunto, sarà una resa dei conti: "Auspico che la scelta venga fatta ricercfando l'unità del Paese. Ci sono molti modi per ridurre il ruolo del Colle come rinunciare alla ricerca della personalità più autorevole per considerarla strumentale alla politica del governo".     

Bionda, è giovane e si chiama Silvia: ecco la donna su chi punta il Cavaliere / Foto

Silvia Sardone, la mamma-consigliera che piace a Silvio Berlusconi




A Silvio Berlusconi piace davvero molto questa giovane mamma milanese consigliere di zona. Ieri, martedì 25 novembre, l'ha elogiata davanti a tutti nel corso dell'ufficio di presidenza di Forza Italia: "Ho incontrato dei giovani a cui ho fatto una lezione politica non per dare loro un seggio. Anzi, vi dirò, non mi sono granché piaciuti tranne una ragazza lombarda che ha due figli e va già in tv". Lei è Silvia Sardone, 32 anni a Natale. Lusingatissima. "Mi batte forte il cuore", dice al Giornale, "ma volo bassa. Sto con i piedi per terra".

Non vuole nemmeno pensare di poter diventare la "nuova Renzi": "Sono esagerazioni", spiega, "la rottamazione poi non mi entusiasma. Credo nel rinnovamento. In una squadra nuova attorno a Berlusconi". La sua vera partita, al momento, "è il Consiglio comunale". A Milano è già nota per i suoi blitz politici contro la sinistra. Ora potrebbe diventare coordinatrice cittadina.  

Giallo di Melania Rea, la svolta: "Parolisi potrebbe essere scagionato"

Caso Melania Rea: l'impronta di una scarpa potrebbe scagionare Parolisi




Potrebbe clamorosamente riaprirsi il caso di Melania Rea, la donna uccisa il 18 aprile 2011 a Civitella del Tronto (Teramo), per cui è stato condannato a 30 anni di carcere il marito, Salvatore Parolisi. Una nuova perizia della difesa, infatti, potrebbe scagionare l'uomo. 

L'impronta della scarpa - Nei pressi del chiosco presso il quale fu ritrovato il cadavere di Melania, fu isolata l'impronta di una scarpa insanguinata: la Corte d'Appello dell'Aquila ha sempre ritenuto di non dover dare troppa importanza alla traccia, dal momento che non sarebbe mai stato possibile risalire al modello di scarpa indossato da Parolisi quel giorno. Quell'impronta non sarebbe riconducibile a calzature indossate da Melania o dai vari soggetti che hanno transitato successivamente sulla scena del delitto. L'avvocato di Parolisi, però, annuncia: "Se dovessero essere confermati i risultati preliminari di una consulenza di parte, che prospetta trattarsi di impronta di piccole dimensioni, sicuramente non superiore al numero 40, anche Parolisi, che calza il 43, verrebbe con certezza escluso".

Il grillino va in tv, Beppe lo scomunica Rivolta a 5 Stelle contro il leader

Grillo "scomunica" Rizzetto perchè va in tv. E i deputati si ribellano, #siamotuttiRizzetto




"Il M5S non ritorna nei talk show". E' perentorio Beppe Grillo che titola cosi' un post sul suo blog e se la prende con il deputato 5 stelle, Walter Rizzetto, che stamattina e' stato ospite al programma Omnibus su La7 ma che "non rappresenta la posizione del M5S". "I talk show - scrive Grillo - stanno morendo di asfissia di ascolti. Accompagnano in questo, in modo naturale e parallelo, il percorso della disaffezione al voto alla politica. Il M5S ha partecipato in passato a trasmissioni televisive nelle quali poteva esprimere la propria opinione su temi specifici e lo farà in futuro soprattutto a livello di emittenti locali dove si trattano aspetti vicini ai cittadini come quello dell'ambiente o a confronti elettorali come e' avvenuto con Giulia Gibertoni su Sky". 

La mossa - Quindi, la frecciata al deputato tra i piu' critici nel Movimento: "La partecipazione di Rizzetto al talk 'Omnibus' intitolata 'Il M5S ritorna in televisione' di oggi e' quindi stata a titolo del tutto personale, Rizzetto non rappresenta la posizione del M5S, ne' qualcuno gli ha dato questa responsabilita'. Libero di dire la sua opinione e di partecipare ai talk, ma non a nome del M5S".

La scomunica - Dopo la 'scomunica' di Beppe Grillo nei confronti di Walter Rizzetto, 'colpevole' di aver partecipato ad una trasmissione televisiva, impazza su twitter l'hashtag #siamotuttiRizzetto. I deputati, quelli spesso considerati voci critiche nel Movimento, non si nascondono dietro l'anominato e invadono i social per difendere il collega. La deputata 5 stelle Gessica Rostellato twitta: "#siamotutticonRizzetto #anchenoisiamomovimento" e posta la foto di Rizzetto ospite in studio a Omnibus su La 7. La collega Eleonora Bechis aggiunge: "Ancora una volta ci si rinchiude nel blog invece di ascoltare #siamotuttirizzetto".

Jobs Act approvato alla Camera Ma nel Pd è guerra tra clan

LAVORO Jobs act, 30 deputati della minoranza Pd non voteranno. Pippo Civati pronto al "no"




Con 316 "sì" il Jobs act passa alla Camera, ora il provvedimento Lavoro passa all'esame Senato. Non sono mancate le polemiche e il bassissimo numero di voti contro si completa con l'uscita dall'Aula di una larga fetta delle opposizioni, e una nutrita pattuglia di deputati Pd, (circa 30), che hanno manifestato così il loro dissenso la riforma del Lavoro. Alcuni di loro, come Pippo Civati, voteranno contro al provvedimento al Senato, dove i numeri e il vantaggio democratico è molto più esiguo: i no al decreto pronto alla terza lettura a Palazzo Madama peseranno di più.

Bersani disciplinato - "Per la parte che condivido voto con convinzione, per la parte che non condivido voto per disciplina, perché sono stato segretario di questo partito e se c'è qualche legno storto da raddrizzare penso che lo si possa fare solo nel Pd". Lo ha detto ai microfoni di Radio Radicale l’ex segretario del Pd Pierluigi Bersani. "Detto questo - aggiunge - capisco anche le diverse sensibilità perché siamo di fronte al bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, ci sono dei miglioramenti ma l’impostazione iniziale resta difettosa. La vera sfida al mondo del lavoro, sindacati compresi, doveva venire dal lato della produttività e quindi da una flessibilità dell’organizzazione aziendale, da una sfida sul tema decentramento e partecipazione. Avere invece affrontato cose minori, certo da manutenere, come l’articolo 18 o altro, o avere creato un ulteriore canale che differenza la situazione dei lavoratori sullo stesso banco di lavoro non è stato un approccio positivo" ha concluso l'ex segretario.

Orfini, Cuperlo e l'unità del partito - "Siamo alle battute finali, tra mezz'ora si vota. So che c'è stata una riunione della minoranza, ma non so come andrà a finire, non ho ricevuto alcuna indicazione dai colleghi che si sono riuniti nel pomeriggio. Voglio sperare che prevalga l’unità nel partito". Così Matteo Orfini, presidente dell'assemblea nazionale Pd, a proposito del voto alla Camera sul Jobs act. "Valuteremo assieme l’atteggiamento da tenere", ma "non ci sembra ci siano le condizioni per esprimere un voto favorevole" sul Jobs act ha detto invece Gianni Cuperlo durante l'incontro in corso alla Camera tra una delegazione con 50 delegati Fiom, i parlamentari di Sel ed alcuni esponenti della minoranza Pd. Con Cuperlo anche Stefano Fassina e il sopracitato Civati.

SILVIO FA UN PASSO INDIETRO "Il nostro bomber è Salvini..."

Ufficio presidenza Forza Italia, Silvio Berlusconi: "Aprire a tutti i partiti"




Silvio Berlusconi prima tira dritto, e conferma la riunione odierna del comitato di presidenza. Poi Silvio Berlusconi decide di non andare allo strappo con Raffaele Fitto e i fittiani, che oggi avevano chiesto di rinviare la riunione del parlamentino azzurro. E così, viene riferito, il Cavaliere apre l’incontro a palazzo Grazioli annunciando che il comitato di presidenza si interromperà oggi pomeriggio per riprendere domani, consentendo così a tutti di poter partecipare. Il riferimento è proprio a Fitto, che oggi è a Strasburgo per la visita del Papa. I panni sporchi si lavano in casa. Anche perchè, sondaggi alla mano, le liti interne fatte poi uscire all’esterno danneggiano il partito. Lo ha detto, secondo quanto viene riferito, Silvio Berlusconi aprendo la riunione dell’ufficio di presidenza di Forza Italia.

"Basta liti nel partito" - Berlusconi ha invitato ed esortato gli azzurri a smetterla con le esternazioni contro il partito, perchè fanno solo male e portano via voti. Leggendo i dati di un ultimissimo sondaggio, l’ex premier ha spiegato che molti dei voti persi alle regionali di domenica sarebbero dovuti proprio all’alta litigiosità che viene manifestata e che disorienta e disaffeziona gli elettori. 

L'analisi del voto - "Le elezioni in Emilia e in Calabria confermano che il centrodestra può vincere solo se si presenta unito. Quindi, basta divisioni: dobbiamo puntare a siglare alleanze con tutti i partiti dell’area di centrodestra, anche se allearsi con alcuni di loro può provocare malumori", avrebbe detto il Cav. E ancora avrebbe aggiunto: "Dobbiamo aprire a tutti i partiti del centrodestra, ha sottolineato l’ex premier. Capisco che c’è la difficoltà ad accettare tutti - ha aggiunto, riferendosi agli ex colleghi di partito di Ncd - ma il voto di domenica dimostra che se diviso il centrodestra perde. Solo uniti si vince, quindi basta liti tra di noi. Se ci sono delle divergenze dobbiamo risolverle al nostro interno - avrebbe sottolineato l’ex Cav - e non con affermazioni e polemiche sui media".

Il nodo Salvini - Inoltre durante il comitato di presidenza di Forza Italia Silvio Berlusconi parla dell’exploit di Matteo Salvini in Emilia Romagna, dove la Lega ha ’doppiatò Forza Italia. Il Cav. avrebbe elogiato il segretario del Carroccio perché ha fatto una campagna elettorale stando sul territorio e parlando alla gente. È stato venti giorni in Emilia e ci sa fare, sarebbe stato il giudizio dell’ex premier. In particolar modo Berlusconi avrebbe ribadito la necessità di mantenere saldo l’asse elettorale con la Lega ai fini della ricostruzione del centrodestra, perché la presenza di Salvini rafforza la coalizione. Poi il Cav intervenendo alla presentazione del nuovo libro di Bruno Vespa ha affermato: "E' un goleador, credo che vorrebbe fare il vicepresidente del Milan. Lui fa il centravanti fa i gol, è bravissimo, è molto concreto, parla bene alla gente ma anche se è bravo come attaccante e come marcatore, ha bisogno del centrocampo. Ha la struttura per fare gol ma attaccante e goleador non significa fare il capitano della squadra..."

Alfano - Infine il Cav ha parlato anche delle alleanze con Ncd.  Belrusconi avrebbe ribadito la necessità di ricostruire il centrodestra in una logica di coalizione, tendendo ancora una volta la mano all’Ncd di Angelino Alfano. Per l’ex premier solo uniti si può vincere, avrebbe ribadito Berlusconi, spiegando che proprio le divisioni hanno fatto perdere il centrodestra in Emilia Romagna e in Calabria. 

Profezia funesta: l'Italia rischia di morire entro quattro anni

Ci aspettano quattro anni da incubo: tasse e spesa pubblica fuori controllo




Ma quale spending review, ma quale calo delle tasse: il quadriennio 2015-2018 sarà da incubo con una stangata fiscale da 68 miliardi e una spesa pubblica fuori controllo in aumento di 35 miliardi. Secondo l'analisi del Centro studi di Unimpresa nel 2018, sulle casse dello Stato peseranno uscite per 810,8 miliardi in aumento di 35,6 miliardi (+4,60%) rispetto ai 775,1 miliardi con cui si chiuderà il 2014; in aumento costante anche il gettito fiscale che fra quattro anni arriverà a quota 847, 8 miliardi, in crescita di 68,3 miliardi (+8,76%) rispetto ai 779,4 miliardi che lo Stato incasserà quest'anno. Resterà stabilmente sopra il 43% la pressione fiscale che si attesterà al 43,2% nel 2018 sostanzialmente invariata rispetto al 43,3% del 2014.

Spesa pubblica - Le elaborazioni di Unimpresa, basate su dati del ministero dell'Economia e delle Finanze, rivelano anzitutto che la spesa statale è destinata a crescere continuamente. Alla fine del 2014 dalle casse dello Stato usciranno 775,1 miliardi , cifra che salirà a 775,5 milioni l'anno prossimo con un incremento di 377 milioni (+0,05%); nel 2016 le uscite si attesteranno a 787,04 miliardi in crescita di 11,5 miliardi (+1,48%) sui 12 mesi precedenti; nel 2017 lo Stato arriverà a spendere 796,2 miliardi, ben 9,2 miliardi in più (+1,18%) sull'anno precedente; nel 2018 la spesa sfonderà il tetto degli 800 miliardi per arrivare a 810,8 miliardi con una crescita di 14,5 miliardi (+1,83%) sul 2017. Complessivamente, nell'arco di quattro anni è dunque previsto un aumento di 35,6 miliardi della spesa pubblica (+4,60%).

Tartassati - In costante salita anche il gettito fiscale che quest'anno arriverà a 779,4 miliardi. L'anno prossimo dalle tasche di famiglie e imprese usciranno in tutto 789,3 miliardi, vale a dire 9,8 miliardi in più (+1,26%) rispetto al 2014; nel 2016, poi, si arriverà a entrate pari a 808,6 miliardi in salita di 19,3 miliardi (+2,45%) sui 12 mesi precedenti; nel 2017 tasse e oneri sociali arriveranno a 826,9 miliardi, con un incremento di 18,2 miliardi (+2,26%) sul 2016; nel 2018, poi, si arriverà a sfiorare la vetta degli 850 miliardi con le entrate che si attesteranno a 847,8 miliardi in salita di 20,8 miliardi (+2,53%) sull'anno precedente. Complessivamente, nell'arco di quattro anni è dunque previsto un aumento di 68,3 miliardi delle entrate nelle casse dello Stato (+8,76%). In questo arco di tempo, la pressione fiscale resterà sostanzialmente invariata: 43,3% nel 2014, 43,4% nel 2015, 43,6% nel 2016, 43,3% nel 2017 e 43,2% nel 2018.

L'allarme - "Siamo di fronte a dati spaventosi: è la prova che la spending review non esiste e che il taglio delle tasse è un miraggio. Lo Stato continuerà a spendere sempre di più e il peso del fisco sui contribuenti è destinato a salire. Come cittadini, come imprenditori e come rappresentanti di persone che lavorano e cercano di portare il Paese fuori dalla recessione ci sentiamo letteralmente presi in giro dal governo di Matteo Renzi" commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. "In questi giorni - aggiunge - si parla della riforma dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori come se fosse la panacea di tutti i mali, ma si tratta, e lo abbiamo già detto più volte, di un falso problema. La sensazione è che si sia innescata una battaglia ideologica che ha, alle sue fondamenta, una precisa strategia politica ma che in realtà non risolve i problemi delle aziende italiane".