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mercoledì 23 luglio 2014

La scelta sinistrissima della Rai: vuole un big di Repubblica a Ballarò per il dopo-Floris. Ecco chi è...

Ballarò, l'indiscrezione: "Massimo Giannini il nuovo conduttore"



"Il prossimo conduttore di Ballarò sarà Massimo Giannini". Il vicedirettore di Repubblica, come racconta TvBlog, sarebbe in pole position per il dopo-Floris. Erano girati parecchi nomi per la poltrona di conduttore, ultimo dei quali quello di Mia Ceran, che proprio martedì scorso ha debuttato nella conduzione di Millennium. Lo share del programma però ha deluso i vertici Rai. Da qui la decisione di cambiare obiettivo e di cercare una soluzione. 

Chi è - Nato a Roma nel 1962, Giannini inizia a lavorare presso il gruppo del Sole 24 ore nel 1986. Entra a Repubblica nel 1988, dove diventa capo della redazione Economia nel 1994. L’anno dopo passa alla Stampa come inviato e tre anni dopo torna a Repubblica, dove diventa capo della redazione politica nel 2001. Viene poi nominato vice direttore del quotidiano romano nel 2004, carica che ricopre attualmente. E' una delle voci più critiche verso il centrodestra e alfiere dell'antiberlusconismo militante.

La trattativa - Già ospite fisso di Floris, la penna "sinistrissima" di Repubblica non ha mai perso l'occasione per sparare sul Cav e su Forza Italia. Adesso se la trattativa dovesse andare avanti, Giannini avrebbe un palcoscenico in prime time su Rai Tre per le sue arringhe faziose. Insomma a quanto pare con Giannini la linea editoriale del talk non dovrebbe cambiare particolarmente (anzi, sterzerebbe ulteriormente a sinistra). Sempre secondo i rumors Giannini si sarebbe preso 48 ore di tempo per decidere se accettare questa “investitura”.

Ezio Greggio colpito e affondato dal Fisco: una multa da record. Ecco quanto ha pagato...

Ezio Greggio paga al fisco: mega sanatoria da 20 milioni di euro



Un conto salatissimo. Venti milioni di euro per mettersi in regola con il Fisco, una delle transazioni più alte mai pagate da un singolo contribuente. La batosta è toccata ad Ezio Greggio. Il conduttore ha scelto di sottoscrivere con l’Agenzia delle Entrate per sanare un contenzioso incentrato nelle Procure di Milano e di Monza sulla realtà o strumentalità, a fini di indebito risparmio fiscale, della sua residenza ufficiale a Montecarlo.

La vicenda - Greggio aveva avuto il primo round con il Fisco con l’avvio di un accertamento più di un anno fa, quando nel mirino dell'Erario, che già in passato si era interessato alle modalità di incasso dei suoi compensi negli anni dal 2001 al 2009, erano finiti i 23 milioni di euro con i quali Mediaset tra il 2009 e il 2013 aveva remunerato il conduttore di Striscia la notizia, l’ospite di Paperissima, l’anima di Veline , insomma il personaggio tv di tante trasmissioni del Biscione. Come in altri analoghi casi di star dello spettacolo, il contenzioso nasceva dal fatto che il Fisco non riteneva tutto corretto né nei rapporti con la società irlandese "Wolf Pictures Ltd", alla quale Greggio risultava aver ceduto tutti i diritti di sfruttamento economico della sua immagine poi venduti a Mediaset, né la dichiarata residenza a Monaco, che permetteva al conduttore televisivo di vedere tassati i propri redditi in misura molto minore che in Italia. 

La trattativa - Va detto che in questo caso non si tratta di un caso di residenza fittizia. L’accordo riconosce infatti che Greggio dal 2001 al 2010 era residente effettivamente all’estero, anche fiscalmente. Tant’è che dal 2011 è tornato a fare la sua dichiarazione in Italia. Durante questo periodo, però, l’attore non avrebbe versato tributi su quanto incassato da una società irlandese che era titolare dei suoi diritti d’immagine. In base alla normativa tributaria italiana, infatti, anche i professionisti stranieri che lavorano in Italia (come in questo caso Greggio) devono versare una ritenuta pari al 30% del compenso. L’adempimento sarebbe spettato alla società irlandese che però, per quella che è stata definita una questione interpretativa, non ha eseguito le trattenute e i versamenti. Società che ora, pur di chiudere la vicenda, si è accollata tutti gli oneri connessi alla verifica fiscale.

Grazie all'aiutino degli Agnelli Silvio può tornare a candidarsi Il processo Mediaset ora si riapre?

Silvio Berlusconi, la sentenza sugli Agnelli che gli fa credere nell'assoluzione in Mediaset


di Claudio Antonelli 



La Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo sancisce definitivamente che l’Italia viola il giusto processo e il diritto a non essere sanzionati due volte per lo stesso reato. «Ne bis in idem», si dice in latino e letteralmente si traduce: non due volte per la medesima cosa. In pratica è la tutela dell’imputato di fronte a uno Stato che potenzialmente potrebbe vessare il reo all’infinito. Nella fattispecie la sentenza è legata alla vicenda Ifil e all’equity swap con Exor presieduta da John Elkann. E al ricorso avviato da Franzo Grande Stevens dopo che la società e le persone fisiche avevano subito sanzioni amministrative da parte di Consob e multe da parte della giustizia ordinaria.

I due principali protagonisti erano stati poi condannati a un anno e 4 mesi con la sospensione condizionale della pena, a 600mila euro di multa e all’interdizione di un anno dai pubblici uffici e dalla professione. La scorsa settimana la Corte ha rigettato il ricorso dell’Italia che era uscita soccombente già dalla sentenza di marzo e di fatto costituisce un precedente che potrebbe essere destinato a fare giurisprudenza non solo in Italia ma anche negli altri 46 paesi membri del Consiglio d’Europa. Teoricamente una valanga di ricorsi.

Il primo dei quali porta il nome di Silvio Berlusconi. I cui legali si sono rivolti a Strasburgo per denunciare una situazione paritetica: doppio giudizio (amministrativo e penale) per l’inchiesta sui diritti tivù Mediaset. C’è dunque da scommettere che la vittoria di Grande Stevens e Ginaluigi Gabetti verrà issata a mo’ di vessillo. I giudici di Strasburgo hanno infatti stabilito che «nonostante le sanzioni imposte dalla Consob siano descritte come amministrative dalla legge italiana, la loro severità (nel caso specifico) è tale da fargli assumere una connotazione penale». Di conseguenza aver processato penalmente per gli stessi fatti già sanzionati dalla Consob Exor spa, Giovanni Agnelli & C. Sas, Gianluigi Gabetti, Giovanni Agnelli, Virgilio Marrone e Franzo Grande Stevens, ha violato il loro diritto a non essere giudicati e condannati due volte.

Come è normale che sia, la Corte non può imporre all’Italia di cambiare le proprie leggi in merito alla possibilità di infliggere sanzioni amministrative, disciplinari e al contempo condanne penali, ma avanza una pesante «moral suasion» perché faccia almeno in modo che i processi amministrativi e quello penali viaggino in parallelo. Non si doppino.

In sostanza, la vittoria di Ifil sembra destinata a entrare nella letteratura, mentre difficilmente avrà effetti concreti sugli attori. Al contrario potrebbe essere utilizzata come grimaldello per rivedere alcuni aspetti del processo Mediatrade. Silvio Berlusconi, dopo aver pagato in sede civile per l’evasione fiscale, poteva essere processato penalmente? Una vittoria a Strasburgo allineata con la sentenza Ifil farebbe pendere l’ago della bilancia per il no. Rimettendo in discussione le pene accessorie. Alias, la questione dell’incandidabilità.

Non è un caso che nel pool di avvocati che ha vinto a Strasburgo figuri anche Franco Coppi, avvocato dell’ex presidente del Consiglio. «Preciso che non faccio parte del collegio difensivo di Berlusconi e dunque non mi esprimo su questo caso. Osservo che il ricorso che il professor Coppi ha presentato alla Corte di Strasburgo per Silvio Berlusconi ha delle analogie con il nostro - ha raccontato a LaPresse lo scorso marzo l’avvocato Michele Briamonte dello studio Grande Stevens - noi invece facemmo ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo già durante il primo grado nel 2009, ed ottenemmo l’ammissibilità nel 2012. Mentre nelle corti italiane la questione fu ritenuta manifestamente infondata per ben tre volte».

Tra l’altro, la Corte di Strasburgo ha richiamato il caso di Sergey Zolotukhin, militare russo condannato nel 2003 a due giorni di cella di isolamento dopo una rissa, sanzione che in Russia è considerata amministrativa, e poi a due anni di carcere al termine di un processo penale. Nel 2009 la Corte di Strasburgo ritenne illegittima la seconda condanna secondo il principio del «ne bis in idem», proprio come potrebbe accadere a Silvio Berlusconi, condannato amministrativamente e penalmente nella vicenda dei diritti Mediaset.

Alfano al Cav: "Vediamo se m'ammazzi" Cosa vuole per tornare con Berlusconi

Angelino Alfano: "Tornare con Berlusconi? Prima vediamo se ci vuole ammazzare"



Da Silvio Berlusconi, dopo l'assoluzione in secondo grado nel processo Ruby, arriva una mano tesa verso l'ex alleato, Angelino Alfano. L'invito del Cavaliere è quello di "ricostruire l'unità del centrodestra e far sì che i moderati, maggioranza nel Paese, si trasformino in una maggioranza politica organizzata. Noi stiamo tentando di farlo con le nostre Comunità azzurre". Un invito esplicito, quello del leader di Forza Italia, che arriva dopo un primo contatto telefonico proprio con Alfano, durante il quale i due hanno parlato delle prossime strategie politiche e della possibilità che le loro strade tornino ad incrociarsi.

La frenata - Poco dopo l'appello di Berlusconi, arriva però la parziale frenata di Alfano, che raffredda gli entusiasmi: "Non è previsto alcun incontro con il presidente Berlusconi - spiega ai cronisti a margine di un convegno alla Camera sull'emergenza sbarchi -. Prima vediamo come si comporta con la legge elettorale e se vuole ammazzare tutti gli alleati con l'abolizione delle preferenze, oppure no". Una condizione chiara, quella posta da Alfano al leader di Forza Italia: per riaprire definitivamente al dialogo, la riforma elettorale deve includere quelle preferenze osteggiate da Forza Italia. A parole, anche il Pd si è detto favorevole alle preferenze, sulle quali spinge anche il M5s, ma all'ultimo incontro in streaming Matteo Renzi ha ricordato ai grillini "che l'accordo è stato preso" e che "i patti sono i patti".

"Una sentenza..." - Alfano, sui rapporti con Berlusconi, poi aggiunge: "Abbiamo le idee molto chiare. Abbiamo fatto la scelta di separarci dal resto di Forza Italia non per qualche motivo pregiudiziale né per una condanna. Quindi, una sentenza non ci può riunire. Intanto - conclude - abbiamo intenzione di unirci con tutti coloro che hanno aderito al Ppe dentro e fuori il governo".

Ferrara vs Saviano, finisce malissimo. "Poveretto, scrivi solo putt...". E Roberto: "Servo, pagliaccio. Ecco a che serve la tua testa..."

Roberto Saviano attacca Giuliano Ferrara: "Pagliaccio, schiavo. Tu puoi soltanto..."



Riavvolgiamo il nastro fino allo scorso venerdì. Silvio Berlusconi è stato assolto nel secondo grado del processo Ruby, e qualche ora dopo, a La Zanzara di Radio 24, prende la parola Giuliano Ferrara, attivissimo dopo la vittoria in tribunale del Cavaliere. Intervistato e stuzzicato da Giuseppe Cruciani, il direttore de Il Foglio indica chi si dovrebbe scusare con l'ex premier: Gad Lerner, Michele Santoro, le "finte femministe" di Se non ora quando, eccetera eccetera. Si dimentica però Roberto Saviano, e Cruciani glielo fa notare, ricordando quanto scrisse l'autore di Gomorra all'indomani della condanna a sette anni in primo grado. Ma a quel punto interviene Ferrara: "No eh, Saviano no. Sodoma, Gomorra e tutte queste puttanate. Saviano no, Saviano no, ti prego. E' un povero ragazzo - attacca Ferrara -, usato, non scrive niente, firma un'immagine che gli hanno costruito attorno e lo ha distrutto". Ma Cruciani insiste con la citazione. L'Elefantino continua a difendersi: "No, io svengo. Se lo citi io mi sento male. Perché me lo devi citare?". La citazione, infine, arriva. Dopo il primo grado, su Facebook, Saviano scrisse che "ha vinto il diritto" anche "grazie a Ilda Boccassini" e al suo "lavoro non condizionato basato su prove certe e riscontri". Insomma, una serie di affermazioni smentite dalla sentenza d'appello. Dopo aver ascoltato la citazione, Ferrara commenta tagliente: "Tutti abbiamo scritto imbecillità nella vita ma non tutti siamo Saviano. Per nostra fortuna o per nostra disgrazia, visti i diritti d'autore che non sono poco".

Elefantino insultato - Parole, quelle di Ferrara, che non devono essere sfuggite al "candidato" del partito-Repubblica, che sul quotidiano di ieri, martedì 22 luglio, passa al contrattacco. Prima, ovvio, parla della sentenza d'appello che ha assolto Berlusconi e del "coro meschino di accuse a Ilda Boccassini". La difesa di Ilda la Rossa è incondizionata: "Ha gestito con rigore il suo lavoro, mentre il modus operandi di molti era quello di condividere atti di indagine, con l'obiettivo di ottenere in questo modo protezione mediatica. Non è mai stato il caso suo". Sarà. E ancora, Saviano scrive: "Mi interessa difendere un metodo investigativo che non ha mai cercato le luci della ribalta e che ha portato a quella sentenza di primo grado emessa da un Tribunale e non certo dalla Procura della Repubblica". Lo scrittore, insomma, non si rassegna: difende Boccassini e come fosse un tic nervoso ricorda la condanna in primo grado. In primo grado, appunto. L'elogio della pm anti-Cav si conclude così: "E da questo punto di vista il metodo di lavoro di Ilda Boccassini, la sua capacità di stare alla larga da un rapporto anomalo con i media, tratto distintivo vero della incultura di questo Paese, è un punto di partenza". Archiviata Ilda, Saviano - memore, forse, delle parole in radio - passa a Ferrara. E riprende: "Un punto di partenza e si spera, nella sua sistematizzazione, un punto d'arrivo. Perché bisogna sempre partire dalle persone serie. Lasciando alla dimensione cabarettistica quei pagliacci, solerti servitori di un padrone ormai alla deriva, che a volte sembrano avere la testa solo per poter indossare parrucche dal colore sgargiante in quel momento di moda". Un riferimento durissimo e tutt'altro che casuale al video-rap dell'Elefantino, l'attacco in musica alla Boccassini pubblicato nel maggio del 2013.

Agguato a Fede, le intercettazioni abusive ad orologeria Il direttore "registrato" mentre sputtana Berlusconi

Agguato a Fede, le intercettazioni abusive ad orologeria Il direttore "registrato" mentre sputtana Berlusconi



Nel momento in cui Silvio Berlusconi rialza la testa, quando gli schizzi del fango con cui lo hanno colpito negli anni del processo Ruby vengono lavati via dall'assoluzione in secondo grado, putacaso, ecco spuntare una vecchia intercettazione. Altro fango, insomma. Dalle fantasie del "pornoprocesso" si torna alle prime accuse rivolte al leader di Forza Italia, allora come oggi: quelle di vicinanza alla mafia tramite Vittorio Mangano. Succede che proprio oggi, con grande enfasi, si parla di un'intercettazione - abusiva ed illegale - nei confronti di Emilio Fede, registrato a tradimento dal suo personal trainer, Gaetano Ferri, nel 2012. Il dialogo, che ha tra i suoi protagonisti anche - e soprattutto - Marcello Dell'Utri fu poi consegnato da Ferri ai magistrati di Monza.

La smentita - Un'intercettazione abusiva e ad orologeria, insomma, una pioggia di calunnie puntualmente smentite dall'intercettato, Fede in persona, che infuriato afferma: "E' tutto falso. L'ho già detto ai magistrati e ho denunciato quel truffatore per calunnia e minacce gravi. Lui - ha aggiunto l'ex direttore del Tg4 - ha manipolato le mie dichiarazioni". Nell'audio smentito da Fede, per altro in molte parti incomprensibile, si sente il giornalista affermare: "Guarda a Berlusconi cosa gli sta mangiando. Perché lui è l'unico che sa... Ti rendi conto che ci sono 70 conti esteri, tutti che fanno riferimento a Dell'Utri?". La conversazione, ripulita dai rumori di sottofondo, fu poi spedita dalla procura di Monza ai magistrati di Palermo: ora l'intercettazione è stata depositata agli atti del processo sulla trattativa Stato-mafia.

Le frasi - Nell'audio si sente poi Fede affermare: "C'è stato un momento in cui c'era timore... Che loro hanno messo Mangano attraverso Marcello (Dell'Utri, ndr)". Quindi altre accuse, infamanti e subito smentite: "La vera storia della vicenda Berlusconi...mafia, mafia...soldi, mafia, soldi...Berlusconi". Frasi che, afferma il direttore, "sono state manipolate ad arte". E ancora, nella registrazione si sente: "Sì, sì. Dell'Utri era praticamente quello che investiva... Chi può parlare? Solo Dell'Utri". Fede prosegue: "Mangano era in carcere. Mi ricordo che Berlusconi arrivando - afferma il giornalista riferendo di un presunto dialogo tra il Cav e Dell'Utri -... 'hai fatto?'... 'sì, sì...gli ho inviato un messaggio...gli ho detto a Mangano: sempre pronto per prendere un caffè". Fede aggiunge che "era un messaggio per rassicurare lui su certe cose che non so. E devo dire che qusto Mangano è stato un eroe. E' morto per non parlare".

Macchina del fango - Frasi sconnesse, e come detto in molte parti incomprensibili. Frasi secondo Fede anche "manipolate". Affermazioni che con un tempismo eufemisticamente sospetto spuntano all'indomani della vittoria di Berlusconi in tribunale. Frasi del 2012 sulle quali Il Fatto Quotidiano, per pescarne uno dal mazzo, ha subito iniziato una nuova campagna denigratoria. Nell'attacco del pezzo in cui il giornale dà conto della vicenda, il tutto viene sintetizzando spiegando che "Quando Dell'Utri veniva a Palermo doveva ricordarsi della famiglia di Vittorio Mangano (...). In che modo e perché dovesse sostenerla è un mistero. Ma per evitare che se ne dimenticasse, Silvio Berlusconi in persona, almeno in un'occasione, si è adoperato per rammentarglielo". E ancora, si legge sul sito del Fatto: "A raccontarlo ai pubblici ministeri di Palermo non è un mafioso pentito, e non è nemmeno un collaboratore di giustizia. L'inedito esplosivo arriva invece dalla viva voce (...) di Emilio Fede". Quasi a volerci far credere che il giornalista avesse parlato direttamente con le toghe di Palermo, quando invece si tratta di un'intercettazione abusiva, indecifrabile, il cui significato è tutt'altro che chiaro e, infine, subito smentita con la massima fermezza.

Yara, parla l'avvocato di Bossetti Le due verità sulla "prova regina": "Asso nella manica degli inquirenti? ecco quando possono giocarlo..."

Omicidio Yara, l'avvocato di Bossetti: "Il Dna non basta, ma forse hanno solo quello"



"La mia impressione è che non esista nulla al momento, oltre al dna". Claudio Salvagni, il legale di Massimo Bossetti ha pochi dubbi. La questione, secondo l'avvocato difensore del muratore 44enne - unico sospettato per l'omicidio di Yara Gambirasio - gira attorno a un punto: "Se il presunto dna fosse davvero l'asso nella manica per concludere il caso, perché allora la procura sta tentando in tutti i modi di raccogliere nuovi indizi e nuove prove per inchiodarlo?". Qual è allora il punto forte dell'accusa? Qual è la prova delle prove? L'avvocato poi aggiunge: "Le indagini preliminari non sono concluse e gli inquirenti potrebbero esporre la prova regina nella richiesta di rinvio a giudizio. Eppure la mia impressione è che non esiste nulla al momento oltre al dna". Una frase obliqua, con cui l'avvocato lascia intendere che le possibilità sono due: o gli inquirenti si giocheranno l'asso nel prossimo futuro, oppure che l'asso, di fatto, non c'è.

Spirito critico - Nel corso del colloquio con Laura Eduati de l'Huffington Post il legale comasco inisite: "Bisognerebbe fare uno sforzo per rileggere con spirito critico la storia di Bossetti, che per caso la sera della sparizione di Yara conduceva il furgone davanti le telecamere e amava andare a Brembate per fare le lampade: non c'è niente di male". E' passato oltre un mese da quel famigerato 16 giugno, giorno in cui il ministro Angelino Alfano annunciò all'Italia che l'assassino di Yara Gambirasio era stato catturato. Il paese intero fu allora convinto che il giallo sull'uccisione della piccola ginnasta fosse in qualche modo risolto. Ma ora, forse, con il passare di settimane cariche di indiscrezioni e speranze, il quadro si è complicato.

No alla scarcerazione - Salvagni e Guzzoni, l'altro legale, non chiederanno però la scarcerazione dell'uomo. Il motivo che frena la richiesta è uno: la probabilità che il tribunale del Riesame possa bocciare la scarcerazione è molto alta, l'indizio del Dna è ancora forte e affrontare il processo con un giudicato cautelare alle spalle, non rientra perciò nella strategia difensiva dei due avvocati. "Se cambiasse il quadro probatorio allora potremmo cambiare strategia e chiedere che venga liberato". Agosto è alle porte e l'estate potrebbe tranquillamente esaurirsi senza che ulteriori indizi possano affiorare e decretare una volta per tutte se quel 26 novembre 2010 sia stato davvero Massimo Bossetti a sequestrare Yara Gambirasio e a ucciderla, oppure no.