Pansa: povera Rai ai piedi di Floris, un cortigiano da Festa de L'Unità
di Giampaolo Pansa
La tv di Stato pronta a cedere alle richieste esose del conduttore di "Ballarò". Per lui, la spending review non vale
Se davvero Matteo Renzi rimetterà all’onor del mondo le Feste dell'Unità, a cominciare dalla più grande, la mitica Festa nazionale, il primo a doversene rallegrare sarà Giovanni Floris. Il conduttore di Ballarò, programma cult della Rete Tre, creata per garantire anche al Pci un lotto della Rai, è il cortigiano perfetto per le cerimonie rosse. A scanso di equivoci, ricordo che la parola usata in questa circostanza non ha un significato sessuale come accade per la versione femminile. Secondo i più accreditati dizionari della lingua italiana, il cortigiano è il gentiluomo di corte del Principe, l’uomo di fiducia, un signore che sa stare al mondo e in molti casi assai importante.
L’importanza del Floris nel caos odierno della Rai, incalzata da Renzi affinché non butti via i milioni di euro incassati grazie al canone, la si è constatata in questi giorni, nei complicati dibattiti sui programmi da offrire nella stagione 2014-2015. Ci sarebbe stato ancora il Ballarò floriesco oppure no? Il rebus nasceva dalle richieste del conduttore. Floris voleva allargarsi, far durare Ballarò sino alla mezzanotte, in modo da coprire l’intera serata di martedì. Non solo: chiedeva di avere uno strapuntino sulla Rete Uno, ossia una striscia di dieci minuti tutti i santi giorni, per poter intervenire con tempestività sull’attualità politica quotidiana. Infine, ma su questo i gossip non concordano, pretendeva un aumento del proprio compenso.
A riprova che l’Italia è un paese davvero strano, questa faccenda del tutto irrilevante se messa a confronto con questioni che angosciano l’esistenza dei cittadini tartassati, ha tenuto banco sulla carta stampata per giorni e giorni. Le richieste di Floris verranno soddisfatte? Ballarò continuerà a imperare sulla Rete Tre? Le finestre saranno concesse o no? Mentre scrivo il Bestiario, sembra che non esista ancora una risposta ufficiale dal super comando di viale Mazzini. Ma gli esperti di faccende tivù giurano che il barometro tenda al bello per il conduttore. Avrà persino la striscia, sia pure sulla Rete Tre. Perché Floris risulta così importante per la tivù di Stato? I motivi sono molti e tutti diversi. Per essere equanimi, c’è il successo di Ballarò e la pubblicità che attira il talk show. Ma esiste una ragione assai più pesante che nasce nel marasma interno alla sinistra italiana. Qui siamo dentro un campo di battaglia caotico, dove sta accadendo di tutto. L’origine del caos è la comparsa sulla scena di Matteo Renzi, un politico dalla determinazione feroce, che si è proposto di cambiare verso all’Italia, ossia di riformarla da capo a piedi, costi quel che costi.
Ma per attuare la sua rivoluzione, il Grande Fiorentino ha bisogno di conquistare un potere che nessun presidente del Consiglio ha mai posseduto. Deve piazzare donne e uomini di assoluta obbedienza in tutti i posti che contano. E deve farlo mostrandosi sprezzante, autoritario, capace di mordere sul collo chi intralcia a sua marcia. In questi giorni di mondiali del calcio, qualche buontempone ha sostenuto che Renzi è tale e quale l’uruguayano Luis Suarez che ha morsicato Giorgio Chiellini. Anche gli incisivi del premier, quelli che mostra il perfido comico Maurizio Crozza, possono diventare un’arma micidiale. Senza che nessuna Fifa gli commini la sanzione adeguata.
Nel Ballarò del 13 maggio, in piena campagna elettorale, l’ardimentoso Floris, durante un’intervista alla fine del programma, ha battibeccato con Renzi a proposito dei tagli per 150 milioni da imporre alla Rai. In quel caso il prode Giovanni ha gettato alle ortiche le sue attitudini di cortigiano, rinfacciando a Renzi che quel salasso finirebbe per favorire la Mediaset del nefando Berlusconi. Il premier gli ha risposto attraverso Twitter ricordando che nell’Italia del 2014 tutti dobbiamo fare sacrifici e che la Rai non è proprietà dei conduttori di talk show televisivi.
Nel caso specifico, il Bestiario pensa che Renzi avesse mille ragioni. Ma tanto è bastato per regalare a Floris l’aureola di nemico del premier. Persino i bambini sanno che dentro il Partito democratico sono in tanti a masticare amaro per lo strapotere che sta accumulando il presidente del Consiglio. E per i suoi modi ruvidi di mettere nell’angolo chi gli sta sul gozzo e non è disposto a inchinarsi dinanzi al nuovo Uomo della Provvidenza. Per questo l’obiettore Floris è diventato il simbolo di una seconda Resistenza, non più contro i nazifascisti, bensì contro il Fiorentino pigliatutto.
Dopo il duetto a Ballarò, molti si sono chiesti se Floris non fosse un bersaniano, ossia un militante della fazione di Pier Luigi Bersani. In realtà il vero quesito dovrebbe essere il seguente: il clan bersanista esiste ancora o è soltanto il fantasma del tempo che fu? Eppure la domanda sul Floris adepto di Bersani circola di nuovo. A dimostrazione che una prova del declino italico è la nostra disgraziata abitudine a ripresentarci sempre gli stessi interrogativi e a strologarci sopra sino allo sfinimento. Infatti all’inizio di questo giugno 2014 è stata ricordata una faccenda accaduta nel 2013. Visto che nel piccolo mondo dei media siamo abituati a citarci tutti, la brava Marianna Rizzini del Foglio che ha fatto? In una paginata dedicata a Floris, «l’antipatico ecumenico di successo che si è messo in testa di sfidare il bullo Renzi», ha ripescato quello che aveva scritto Marco Travaglio a proposito di un’intervista del conduttore di Ballarò al Bersani ancora alla guida del Pd e nel pieno del potere. E adesso il Bestiario, per non apparire distratto, citerà la Rizzini che citava Travaglio. Dunque, Floris e Bersani parevano due compari che si ritrovano al bar dopo tanto tempo. E il più cazzaro dei due racconta all’altro che lo voleva la Juventus come centravanti, ma lui ha rifiutato perché merita di meglio. Una sola volta Bersani ha detto qualcosa di vero. Lui conosce chi sono i 101 parlamentari del Pd che, nella corsa a eleggere il nuovo presidente della Repubblica, hanno tradito Romano Prodi e il partito, però non intende svelare chi fossero. Floris ha lasciato pietosamente cadere la questione. Meglio non mettere troppo in imbarazzo l’ospite. Meglio servirgli assist spiritosi, del tipo: è più facile governare con Angelino Alfano o con Gianroberto Casaleggio?
Mi rendo conto che parlo di cose da nulla. Ma sul fondo di queste facezie si nasconde un problema mica da poco. Provo a ridurlo al nocciolo: perché nella televisione pubblica e privata la cultura rossa sopravvive anche dopo la scomparsa del vecchio Pci? Per quale motivo dominano sempre i Michele Santoro, i Giovanni Floris, i Fabio Fazio, le Lilli Gruber e i tanti loro compagnucci? Gente tosta che fa quello che gli pare, segando le gambe a chi non la pensa come loro? La risposta è una sola: perché gli altri, quelli che rossi non sono, si comportano come i bambini del Belgio durante la Prima guerra mondiale. Povere anime che, secondo mia nonna Caterina, non si accorgevano neppure che i tedeschi del Kaiser gli tagliavano la mano destra. Per impedirgli, una volta diventati adulti, di impugnare un fucile. Mi illudo che la Rete Tre rifiuti di ospitare le strisce quotidiane del cortigiano Floris, roba vecchia da destinare alle Feste dell’Unità. Piuttosto continui a mandare in onda i vecchi film in bianconero di Yvonne Sanson, la brunona dal corpo giunonico che turbò gli adolescenti degli anni Cinquanta come il sottoscritto.