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domenica 18 maggio 2014

Indagati i vertici Manutencoop: "Finanziamenti per il Pd". E spunta D'Alema

Coop rosse, affari sporchi anche in Puglia


di Paolo Bracalini-Massimo Malpica


Indagati i vertici Manutencoop: "Finanziamenti per il Pd". E spunta D'Alema


Stessi nomi, stesse coop, stessi affari. Appalti assegnati - secondo l'informativa dei carabinieri - per «ottenere finanziamenti illeciti al partito»: Ds prima e Pd poi. C'è un «Expo-bis» alle cime di rapa le cui radici affondano nella rossa terra di Puglia, ben strette intorno ai gangli del potere targato coop e centrosinistra.
Dalle carte dell'inchiesta «Mercadet» della procura di Brindisi salta fuori, per dire, il bersaniano presidente di Manutencoop Claudio Levorato, fresco indagato a Milano e coinvolto da anni nell'indagine salentina, tanto che solo un «no» del gip ne ha impedito l'arresto a novembre scorso.

L'8 maggio scorso anche il capo del colosso delle coop rosse, però, ha ricevuto da Brindisi l'avviso di conclusione indagini insieme a una cinquantina di persone degli oltre 130 indagati originari. Chi si è salvato? I politici, tanti, coinvolti nell'inchiesta. Avviata nell'ormai lontano 2007 e trascinata con tempi salvacasta, fino a lasciar prescrivere i reati per cui erano stati indagati. Se l'inchiesta fosse stata più spedita, tra l'altro, il sistema della malasanità pugliese sarebbe stato scoperchiato molto prima. Già dal 2007, per dirne una, Brindisi indagava sull'ex assessore regionale alla Sanità, poi senatore del Pd, Alberto Tedesco, e sul suo «avversario in affari» della sanità Giampi Tarantini. Tedesco fu costretto alle dimissioni solo due anni più tardi, quando fu Bari a indagare su di lui.

Tornando al rossissimo filo che lega Milano a Brindisi, la Manutencoop di Levorato era apparsa nel fascicolo già dall'alba dell'inchiesta. Si era aggiudicata l'appalto in «global service» della Asl di Brindisi - un bando da 40 milioni di euro - prima dell'inizio delle indagini eppure, annotavano i carabinieri del Nas, «è emerso un connubio tra gli esponenti politici, gli amministratori della ASL e la Società che lasciava intendere, senza ombra di dubbio, che a monte ci fosse un accordo corruttivo». La cui contropartita, prosegue il Nas, consisteva nelle «continue richieste di assunzione di personale» e nell'«affidamento di sub appalti a ditte molto vicine ai politici e alla dirigenza della Asl».

Tant'è che, insieme a Levorato, tra i personaggi «coinvolti nella vicenda» - e salvati dalla prescrizione - ci sono l'attuale capogruppo del Pd in regione Puglia, Pino Romano, e l'ex vicepresidente del consiglio regionale Carmine Dipietrangelo, associati tra loro e con altri, secondo il Nas, «al fine di commettere delitti di turbativa d'asta, abusi d'ufficio, falsi in atto pubblico, corruzione e rivelazione di segreto di ufficio». Tutto per assicurare alla Manutencoop l'aggiudicazione di appalti «tagliati su misura» per l'azienda di Levorato. Quest'ultimo, in cambio del flusso di informazioni (illecite) sui bandi, ricambiava con «vantaggi di natura patrimoniale o comunque economicamente valutabili (denaro, viaggi, assunzione di manodopera e simili)».

Un sodalizio così rodato che «la dirigenza della Asl tenta invano di far vincere alla Manutencoop» anche l'appalto per le pulizie negli ospedali «Perrino» e «Di Summa» di Brindisi, che valevano 3 milioni l'anno. Manutencoop arriva terza, la cricca riesce a escludere una delle ditte che l'avevano preceduta per offerta anomala e prova di tutto per fare lo stesso con la società di Bolzano che si aggiudica il bando. Ma fallisce. Questo non impedirà di chiedere alla ditta bolzanina le assunzioni «politiche» di rito, per le quali - spiega il piddino Romano a un dirigente dell'Asl - la ditta si sarebbe dovuta rivolgere a lui stesso e al compagno di partito (e consigliere regionale) Vincenzo Cappellini: «Alla Markas gli devi dire Cappellini e il Romano ...va bene?».

Fuori dall'inchiesta, ma citati nelle intercettazioni, anche nomi eccellenti del Pd nazionale. In un'intercettazione ambientale il direttore amministrativo della Asl di Brindisi Alfredo Rampino chiede a un imprenditore un'assunzione per conto di un politico. A margine, l'imprenditore racconta «come ha fatto a vincere la gara di Brindisi anni prima, e cioè per il tramite di De Santis Roberto, uomo di fiducia di Massimo D'Alema in Puglia che lo indirizzò verso Dipietrangelo». Rampino, nell'occasione, snocciola qualche nome: «Allora c'è... il Presidente D'Alema, poi inizi in Puglia, poi c'è De Santis e poi ci sono Dipietrangelo, Frisullo, Maniglio è capogruppo ma è più per la politica, Latorre, in Puglia, anche se a Roma è il suo». Quelli «che contano».

sabato 17 maggio 2014

Grillo e l'accusa dell'impresario: "Ha incassato 60 milioni in nero"

Grillo e l'accusa dell'impresario: "Ha incassato 60 milioni in nero"



Il rapporto tra Beppe Grillo e il Fisco è ambiguo. Il Movimento Cinque Stelle usa piazze, microfoni e web per lanciare la campagna contro l'evasione fiscale. I toni di Beppe quando c'è di mezzo il fisco si fanno duri: "Sono contro l'evasione fiscale e ritengo che gli evasori vadano perseguiti, in particolare i grandi evasori", ha affermato in uno dei suoi comizi in giro per l'Italia alle Europee. Ma a pesare sull'immagine di Grillo è il suo passato. Infatti Beppe più di una volta è finito nella bufera per aver percepito alcuni pagamenti in nero. Nell'agosto di due anni fa, come racconta il Giornale, Giovanni Guerisoli, fondatore della Rete del Sociale e del Lavoro del Pd e fino al 2002 segretario amministrativo della Cisl, durante La Zanzara affermò di avergli consegnato 10 milioni di vecchie lire cash, senza fattura, per un intervento durante un comizio della Cisl. La notizia fece rumore. Dopo le minacce di querela, fu Raffaele Bonanni in persona a scusarsi mostrando le ricevute dei pagamenti. 

Il caso del compenso in nero - La casistica, però, non si chiude qui. Infatti un articolo pubblicato dal Secolo XIX due anni fa da Renato Tortarolo, racconta la storia dell'impresario Lello Liguori che ebbe a che fare con Grillo nel corso della sua vita pre-politica. Va detto che Beppe finora è uscito sempre indenne da queste accuse. Ma certo qualche ombra resta. Le accuse di Tortarolo sul Secolo e quelle di Liguori non sono mai state smentite da Grillo. L'impresario affermava: "Detesto Grillo perchè va in giro a fare il politico a sputtanare tutti quanti, ma quando veniva da me, carte alla mano, si faceva dare 70 milioni, dieci in assegno e sessanta in nero. Ho i testimoni". A queste accuse non è mai seguita una querela da parte di Grillo e Liguori svela il perchè del silenzio: "Non lo farebbe mai, per lui sarebbe un autogol". Insomma, forse prima di fare il moralista sul Fisco, Beppe farebbe bene a guardare dentro le sue tasche. Qualche ricevuta e qualche fattura deve averla persa per strada...

La Picierno PD e quella borsa Prada...

La Picierno PD e quella borsa Prada...



Il Partito Democratico di Renzi, predica bene, ma razzola male

"Con 80 euro faccio la spesa per due settimane". La democrat Pina Picierno ha usato questa formula per sponsorizzare il bonus Irpef del governo Renzi. Ma a quanto pare la "compagna proletaria" vicina alle famiglie mostra scontrini da massaia e acquista borse da vip. Il Cicalino, anonimo profilo twitter del gossip di palazzo, segnala una foto della Picierno con tanto di borsa Prada a spasso per Roma. Una borsa dal valore decisamente superiore agli ottanta euro che spende per fare la spesa. Insomma l'anima radical chic tanto cara alla sinistra non resiste davanti al bello del made in Italy. Ma con questo acquisto di certo crolla l'indole "proletaria" mostrata dalla Picierno con tanto di scontrino tra le mani sventolato durante un talk show. Anche a sinistra hanno il portafoglio a destra. 

Fatto quotidiano spaccato in tre partiti: Michele Santoro divide Padellaro, Travaglio e Gomez

Fatto quotidiano spaccato in tre partiti: Michele Santoro divide Padellaro, Travaglio e Gomez



Malumori e imbarazzi in redazione: così un malizioso articolo indiscreto di Dagospia descrive il clima in casa Fatto quotidiano, con i tre big divisi... da Santoro. Da una parte c'è Antonio Padellaro, direttore e "mediatore". Poi c'è la banda di Marco Travaglio, anima filo-grillina del giornale. Infine c'è Peter Gomez, responsabile da Milano del sito web. E proprio un'intervista pepatissima di Gomez a Michele Santoro avrebbe acceso la miccia. Il conduttore di Servizio Pubblico aveva messo in guardia Travaglio (con cui forma un ormai storico sodalizio in tv) dal pericolo dei fondamentalismi. Parole che non avrebbero fatto piacere ai travaglini, addolorati per l'assist fornito da Gomez. Padellaro, come detto, starebbe cercando di tenere insieme le due fazioni. Anche perché l'orizzonte prossimo è di quelli decisivi: il Fatto di quoterà a Piazza Affari e, particolare non secondario, il Fatto già detiene una quota del 17,58% proprio nella società che produce Servizio pubblico di Zio Michele.

Botta e risposta Grillo-Pascale, Grillo attacca Dudù: serve la vivisezione. La Pascale risponde: "per lui uccidere non è reato"

Botta e risposta Grillo-Pascale, Grillo attacca Dudù: serve la vivisezione. La Pascale risponde: "per lui uccidere non è reato"




Guerra aperta tra Francesca Pascale e Beppe Grillo. Ad accendere la miccia è Beppe, che, a Pavia sul palco, prende di mira  il cagnolino più famoso d’Italia, Dudù. "Berlusconi è impazzito per questo cane. Ma Dudù - attacca Grillo - dev’essere affidato alla vivisezione. Io ce l’ho un cagnetto così, ce l’ha mia moglie. Li detesto perché i proprietari di questi cagnetti non amano i cani, amano il proprio cane". Beppe ha fame di voti e così usa tutti i mezzi per fregare voti al Cav attaccando anche la campagna animalista dell’ex premier.

La risposta della Pascale - Ma i toni e  il bersaglio di Grillo, Dudù, provocano la risposta ironica e tagliente di Francesca Pascale: "È una notizia - replica la fidanzata di Silvio al corrieredelmezzogiorno.it - che Grillo sia favorevole alla vivisezione. Non è una notizia che per lui ammazzare non è un reato". E in soccorso a Dudù arriva anche Michela Branbilla che in tweet dice: "La battuta di Grillo? Non mi fa ridere...anzi mi meraviglia molto". Insomma adesso anche la campagna elettorale di Grillo passa dagli amici a quattro zampe. 

venerdì 16 maggio 2014

Ncd, in sei pronti a tornare a Forza Italia

Ncd, in sei pronti a tornare a Forza Italia


di Tommaso Montesano 



Il più diretto, a proposito dei malumori che covano nel Nuovo centrodestra, è Maurizio Gasparri. «Da settimane raccolgo tanti sfoghi di senatori che descrivono il nuovo peggio del vecchio», rivela il vicepresidente del Senato forzista. Parlare di ritorni verso Forza Italia, precisa il senatore, è prematuro: «I conti li faremo dopo le Europee del 25 maggio...». Fatto sta che qualcosa, a sentire i parlamentari azzurri che in questi giorni hanno raccolto le confidenze dei colleghi passati con Angelino Alfano, si sta muovendo. «Diciamo che c’è la consapevolezza che la locomotiva del centrodestra resta il partito di Silvio Berlusconi e che un polo moderato de-berlusconizzato non esiste», si limita a dire Gasparri. Insomma, complice i malumori che serpeggiano nel Ncd, dal punto di vista forzista la prospettiva di una riunificazione dell’area di centrodestra con Forza Italia a fare ancora la parte del leone è oggi più probabile. «Bisognerà riunire il centrodestra. Come e quando ne discuteremo...», osserva il vicepresidente del Senato.

I forzisti stanno monitorando i senatori alfaniani più insofferenti verso le ultime mosse del Ncd: l’accordo con l’Udc, la decisione di inserire il nome diAlfano nel simbolo, la candidatura alle Europee di Giuseppe Scopelliti e di Lorenzo Cesa, l’esclusione dalle liste di Erminia Mazzoni, le rivalità interne tra i big culminate, qualche giorno fa, in un duro scontro tra due pezzi da novanta del partito. Non sono sfuggiti, nelle ultime ore, i malesseri di Antonio Gentile, Luigi Compagna e perfino di Roberto Formigoni. E un discreto, quanto insistente corteggiamento c’è anche su Mario Mauro, che dopo la fuoriuscita da Scelta civica si è trovato escluso dal governo e fuori dalla liste delle Europee dell’alleanza Ncd-Udc. Così Gianfranco Rotondi lancia un sasso nello stagno: «È possibile la nascita di gruppi parlamentari coordinati con Forza Italia».

Ieri, inoltre, non sono mancate le dichiarazioni di esponenti di Forza Italia all’indirizzo degli ex colleghi alfaniani. «Capiamo i disagi che stanno vivendo tanti amici di Ncd che se ne sono andati», premette la deputata Elvira Savino. Che poi aggiunge: «Senza rancore, siamo disposti ad accogliere in Forza Italia tutti i delusi di Ncd che credono ancora nel progetto di dare una casa comune al popolo dei moderati e dei riformisti». Aggiunge Osvaldo Napoli: «Il Nuovo centrodestra è in pieno marasma, squassato da divisioni pesanti».

Napolitano scappa

Napolitano scappa

di Alessandro Sallusti 


Il presidente è l'unico a non essersi accorto del complotto: "Il Cavaliere lasciò liberamente"



Il presidente Napolitano fa lo gnorri. Lui non c'era e, se c'era, dormiva in quella estate incandescente del 2011 che portò, a colpi di spread, alla caduta forzosa del governo Berlusconi. Il garante della sovranità nazionale era - sostiene lui - all'oscuro di ciò che invece ben sapevano il primo ministro spagnolo Zapatero, il ministro del Tesoro americano Geithner, l'intera cancelleria tedesca e, per stare in Italia, Carlo De Benedetti, Romano Prodi e Mario Monti (come documentato nel libro di Friedman). E, se permettete, i lettori de Il Giornale, che già in quel luglio di tre anni fa vennero da noi avvisati del complotto in corso.

«Berlusconi si dimise spontaneamente», ha fatto sapere ieri il Quirinale con una nota di non inedita arroganza. Il che è vero, tecnicamente parlando. Per farlo sloggiare non fu necessario l'intervento dei carabinieri o della polizia (quello è accaduto due anni dopo). È che Napolitano completò, rifiutandosi di firmare i decreti legge che potevano ancora salvare la baracca, il piano ideato da Sarkozy e dalla Merkel per avere mano libera (a loro vantaggio) nella politica economica europea.

Sta di fatto che, da allora, in Italia si sono succeduti tre governi (Monti, Letta e Renzi), nessuno dei quali eletto. E ancora oggi Napolitano, dopo aver appreso da fonte autorevole di un'ipotesi di indebita interferenza estera nella democrazia italiana, non sente il bisogno di saperne di più. Semplicemente scappa. Scappa dalla verità, dalle sue responsabilità, a questo punto dal suo dovere di difendere tutti noi italiani.

Quel complotto, che sicuramente ha visto Napolitano protagonista, consapevole o no non importa, non è grave solo in via di principio. È che la strada imposta dall'estero e seguita dal Quirinale ha peggiorato, e non di poco, la condizione di tutti gli italiani. Un vero fallimento. Non uno dei parametri economici è migliorato dopo la caduta del governo Berlusconi. E neppure la stabilità politica tanto auspicata e sbandierata ha dato segni di risveglio: tre governi in tre anni, roba da Prima Repubblica. L'unico stabile (oltre a tedeschi e francesi) è lui, il presidente, e forse non a caso. Qualcuno deve pur garantire alla Merkel che qui in Italia non si muove foglia che la Bce non voglia.