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lunedì 12 maggio 2014

Le confessioni "Choc" di un funzionario di Equitalia: "Obiettivo incassare"

Le confessioni "Choc" di un funzionario di Equitalia: "Obiettivo incassare"


di Claudio Antonelli 



Sono stati picchiati più volte. Aggrediti e sequestrati. I dipendenti Equitalia sono gli ultimi della catena riscossoria e come tale i primi a prenderle dai contribuenti infuriati. È logico che si sentano tra l'incudine e il martello. Non hanno tutti i torti dal momento che le decisioni vengono prese più in alto. Da un lato dalla politica romana e dall'altro dai vertici della stessa Equitalia. «Inoltre», commenta a Libero un dipendente che chiede di rimanere anonimo, «sembra che la nostra posizione faccia comodo alla politica. Quando si tratta di fare il capro espiatorio nessuno ci difende. E ci tocca pure sentire Grillo urlare contro di noi e contro le cartelle verdi che a suo dire  sarebbero di Equitalia. Le nostre sono di altro colore, ma tanto meglio fare confusione». 


In effetti Equitalia per come è organizzata sembra proprio prestarsi a fare da parafulmine. La società di riscossione ha chiuso il bilancio in passivo. Sono stati tagliati i costi del personale, ma la cifra di rosso ha superato gli 80 milioni per via dello stop della riscossione Ici. La perdita complessiva supera gli 800, se si considera i pregressi portati in dote dalle varie consorelle (Sud e Centro) dopo la fusione. 


Eppure i bonus vengono assegnati in base agli importi riscossi dai cittadini. Cioè, al raggiungimento del budget fissato dai vertici a inizio anno. Fa male sapere che, nonostante la crisi, negli ultimi anni l'obiettivo da raggiungere è sempre stato alzato. Almeno un 5% in più ogni anno. Ovviamente non è detto che il budget venga raggiunto. Se ne viene conseguito almeno l'80%, inizia a scattare il meccanismo incentivante. L'anno scorso si era discusso di ridurre gli incentivi alla produzione. I sindacati - tutte e tre le sigle - avevano dichiarato: «Gli importi verranno ulteriormente ridotti, è una vergogna». 

Non è successo. I sindacati non hanno firmato il documento ma il prossimo giugno scatteranno ugualmente i pagamenti dei bonus sui risultati del 2013. Dal documento visionato da Libero si evince chiaramente che all'addetto che batte la strada vanno 500 euro lordi. Mentre al funzionario responsabile area oltre 3mila. Voci di corridoio interne raccontano di bonus per direttori regionali arrivati ai 20mila euro. Ovviamente nel caso in cui il budget di area venga raggiunto al 100% e il dipendente abbia ottenuto dai superiori il massimo della valutazione. Singolarmente non si tratta di cifre scandalose, ma se si considera che l'anno scorso a busta paga c'erano circa 8mila persone, gli importi complessivi diventano mastodontici. 


«Il paradosso», spiega un addetto alla riscossione, «è che chi sta per strada e rischia può aspirare massimo a 500 euro lordi mentre i dirigenti hanno iper incentivi. Senza contare che alcune figure sono state cooptate da altre aziende, più o meno pubbliche, senza alcuna conoscenza in materia». E questo forse spiega perché gli incentivi non vengano dati in base ai risultati di bilancio. Aiuterebbe a rimetterlo in sesto. L'ha detto pure la Corte dei Conti che chiede da tempo una riforma del sistema fiscale e un riequilibrio dei bilanci di Equitalia. All'appello nelle casse manca la stratosferica cifra di 545 miliardi di euro. Un quinto del debito pubblico. Somme che non torneranno mai. Altro che dare incentivi sul budget. «Per chi come noi lavora dentro Equitalia», prosegue l'addetto, «ci sono domande che restano insolute. Perché il nuovo software è peggiore del precedente? Non abbiamo la possibilità di avere a disposizione l'intera situazione debitoria del contribuente. Senza contare che spesso viaggiamo con la carta carbone. Perché renderci meno efficienti? A Chi fa comodo?». 


Non è facile rispondere. Così come si resta stupiti quando si ascoltano alcune proposte degli addetti ai lavori. Mai realizzate. «Per ridurre l'evasione e consentire a noi di recuperare prima e maggiormente gli importi dovuti», conclude l'addetto, «basterebbe creare un software unico dove tutte le aziende inseriscono le fatture emesse e ricevute. Dal data base innanzitutto si vedrebbe subito se qualcuno ha emesso una fattura falsa a una partita iva fasulla. Purtroppo succede spesso. Ma ce ne accorgiamo noi e cinque anni dopo la contestazione. A quel punto, scopriamo che la società chiusa era domiciliata in uno stabile abbandonato e non c'è nulla da recuperare. Con il sistema on line potremmo intervenire subito e non consentire nemmeno abusi sull'Iva». Perché non si fa? Forse perché i contribuenti onesti ci guadagnerebbero. Lo Stato vedrebbe subito quali fatture sono insolute e non dovrebbe chiedere in anticipo il pagamento dell'Iva né tanto meno chiedere tasse su importo che sono una perdita e non reddito. «E anche noi», conclude, «saremmo più contenti di non trovarci di fronte a imprenditori che non sono stati pagati da un cliente e si sono trovati a dover scegliere tra gli stipendi e gli F24».

Berlusconi: Solo PPE farà qualcosa. Grillo ininfluente. Chi vota sinistra vota Schulz

Berlusconi: Solo PPE farà qualcosa. Grillo ininfluente. Chi vota sinistra vota Schulz


Silvio Berlusconi interviene a 360° in un'intervista esclusiva all'Agenzia Vista. Il Cavaliere punta ancora una volta sulle forze moderate che, stando ai sondaggi sono maggioranza nel Paese. E sulle Europee: "Punto al 25%. E assicura: "Porterò le pensioni minime a 800 euro". 



domenica 11 maggio 2014

La grande torta delle coop rosse tra scandali e soldi dagli amici

Quando si scoprono le magagne a sinistra il sistema si chiude a riccio, in difesa, e il Pd si scopre garantista a oltranza


di Paolo Bracalini 

La galassia delle aziende legate al Pd è finita spesso nel mirino dei pm per tangenti e appalti sospetti. Ma con le imprese di sinistra le procure chiudono un occhio



«Quasi mezzo milione di occupati e un giro di affari globale vicino ai 60 miliardi di euro». Si presenta così, sotto il titolo «Come coniugare etica e affari», la Legacoop, casa madre di tutte le coop rosse, un sistema di 15mila imprese che fanno affari da nord a sud e in tutti i settori: edilizia, grande distribuzione, servizi, assicurazioni, banche. Una galassia da sempre parallela al partito - prima Pci, poi Ds, ora Pd - con intrecci di vario tipo: nomine, travaso di dirigenti (che diventano sindaci o anche ministri, come il renziano Poletti ex capo di Legacoop), favori, appalti da amministrazioni amiche. Etica e business, ma ogni tanto, e nemmeno raramente, qualche scandalo. Quando scoppia il bubbone, di quelli grossi, scavi e ci trovi dentro una coop. Nel giro di mazzette attorno all'Expo ecco spuntare Manutencoop, colosso bolognese da 1 miliardo di euro l'anno di fatturato (per il 60% arriva dal pubblico), guidato da sempre dall'ex Pci Claudio Levorato, indagato dalla Procura milanese come presunta sponda a sinistra della cricca. Levorato era finito già nei guai a Brindisi, l'estate scorsa, anche lì per una storia di appalti (la Manutencoop si occupa di pulizia), stavolta alla Asl della città pugliese dove «negli anni la cooperativa emiliana di area Ds - scrive la Gazzetta del Mezzogiorno - ha preso 70 milioni di appalti».

Quando si scoprono le magagne il sistema si chiude a riccio, in difesa, e il Pd si scopre garantista ad oltranza (vedi Bersani sul Fatto: «Se la magistratura accerta reati trarremo le conseguenze...»). Eppure i buchi neri del sistema sono frequenti, anche se spesso le Procure archiviano. Qualche anno fa la Coopservice, grossa cooperativa emiliana specializzata in servizi alle imprese, in vista della quotazione in Borsa di una sua controllata ha costituito, tramite una fiduciaria in Lussemburgo, un tesoretto di 36 milioni di euro destinato ai vertici aziendali. La Guardia di Finanza ha scoperto tutto e segnalato 46 nomi alla Procura di Reggio Emilia, che ne ha indagati due, riconoscendo la finalità dell'operazione: «Non si voleva che le plusvalenze venissero distribuite tra tutti i soci ma a un numero ridotto di persone». Condannati? No, perché poi il pm ha chiesto l'archiviazione.

Coop rosse anche nel «sistema Sesto», quello che ruotava attorno a Filippo Penati, presidente della Provincia di Milano, capo del Pd lombardo ed ex braccio destro di Bersani. Lì la coop rossa in questione è il Consorzio cooperative costruttori di Bologna, che avrebbe imposto consulenze fittizie da 2,4 milioni di euro a Giuseppe Pasini, l'immobiliarista proprietario delle aree ex Falck, elargite come «condizione per compiacere la controparte nazionale del partito», racconterà proprio Pasini ai pm. Anche lì coop rosse e lieto fine. Al vicepresidente della Ccc bolognese, insieme ad altri due rappresentanti delle coop, tutti accusati di concussione, è andata infatti bene: prescritti.

Affari dappertutto, ma cuore pulsante in Emilia Romagna, vero ombelico della vecchia «ditta» Pd, sede anche della Unipol (a Bologna, Via Stalingrado...), quella della tentata scalata a Bnl per opera di Consorte, finita male («abbiamo una banca?»). Lì le coop si aggiudicano un appalto su quattro e hanno un monopolio di fatto nella grande distribuzione (70%). Ne sa qualcosa Bernardo Caprotti, fondatore di Esselunga, che ha ingaggiato una battaglia sanguinosa, a suon di denunce, con Coop Estense, che gli ha impedito l'apertura di due supermercati in provincia di Modena, abusando della sua «posizione dominante». Si è dovuti arrivare al Consiglio di Stato (che ha sanzionato la coop per 4,6 milioni di euro), dopo che il Tar aveva accolto il ricorso della società emiliana. Una battaglia durata 13 anni.

Ancora in Emilia-Romagna, ad Argenta (Ferrara), la Coopcostruttori, una delle corazzate di Legacoop, è naufragata in un mare di debiti dopo essere finita sotto inchiesta con l'accusa di fare affari col clan dei Casalesi. Fuori dai guai, invece, il governatore piddino Vasco Errani, finito in mezzo al cosiddetto «scandalo Terre Emerse», dal nome della cooperativa agricola che per la costruzione di una cantina vinicola a Imola aveva beneficiato di un finanziamento regionale di 1 milione di euro. Piccolo dettaglio: il presidente della coop è Giovanni Errani, suo fratello. Ma tutto è finito bene per Vasco Errani, accusato di falso ideologico in atti pubblici: assolto dal giudice «perché il fatto non sussiste».

Ma il potere coop si ramifica molto lontano dall'Emilia. «Si respira un clima pesante attorno alla struttura di prima accoglienza di Lampedusa» disse il presidente di Legacoop Sicilia dopo lo scandalo suscitato dalle riprese del Tg2 sui maltrattamenti in un centro di accoglienza per i clandestini, a Lampedusa, gestito da una coop. Un «business» da 2 milioni al giorno, in cui non potevano mancare anche loro. E nemmeno nelle grandi opere. Al nodo Tav di Firenze lavora la Coopsette, altro gigante degli appalti pubblici. Anche di loro si sta occupando la Procura di Firenze, che ha messo sotto indagine 36 persone, tra cui l'ex presidente Pd della Regione Umbria, la dalemiana Lorenzetti. Il sospetto è che si siano usati materiali scadenti, in business addirittura con la camorra. E meno male che lo slogan è «coniugare etica e affari».

Il leader di Forza Italia in campo per le europee: "Punto a superare il 25%". E assicura: "I moderati sono maggioranza nel Paese". Poi sul futuro del partito: "Sconsiglio a Marina di cambiare lavoro ma spetterà a lei decidere"

Il leader di Forza Italia in campo per le europee: "Punto a superare il 25%". E assicura: "I moderati sono maggioranza nel Paese". Poi sul futuro del partito: "Sconsiglio a Marina di cambiare lavoro ma spetterà a lei decidere"

di Sergio Rame


Berlusconi: "Hanno fatto di tutto per escludermi, ma resto in campo". E annuncia: "Tornerò in parlamento entro sei anni". "Tornerò in parlamento molto prima di sei anni". Silvio Berlusconi non ha alcun dubbio del suo futuro politico. È, infatti, fermamente convinto che la sentenza Mediaset sarà presto dichiarata ingiusta ed annullata. Ai microfoni dell’agenzia Vista, il leader di Forza Italia non scioglie la riserva su una sua eventuale ricandidatura, ma insiste sull'importante che "la sentenza venga dichiarata per quello che è: infondata". Intanto, però, si impegna a tirare la volata al partito. "Alle Europee un risultato del 20% sarebbe un miracolo - spiega il Cavaliere - appena un punto sotto quello delle elezioni 2013 quando Alfano era ancora con noi. Ma io punto a superare il 25%".

In una lunga intervista con Alexander Jakhnagiev, Berlusconi non nasconde il proprio rammarico per il golpe ordito dalla sinistra e dalla magistratura per escluderlo dalla scena politica. "Hanno fatto di tutto per non farmi tornare in campo - spiega all'agenzia Vista - prima mi hanno fatto condannare ingiustamente, poi mi hanno fatto decadere dal Senato, poi mi hanno reso incandidabile per sei anni, ma purtroppo per loro io sono una vecchia quercia e sono sempre un combattente per la libertà". Da qui il proposito di far ritorno in parlamento al più presto per tornare a guidare, in prima linea i moderati. Berlusconi conta di poter mandare in Europa, nel Ppe, un nucleo importante di parlamentari azzurri molto capaci, in grado di "condizionare o indirizzare le decisioni del Ppe che è maggioranza nel parlamento europeo". "Nel parlamento europeo varranno le decisioni prese nel Ppe - incalza - nessun altro partito può fare alcunché in Europa, né la sinistra, che non avrà la maggioranza, né gli uomini di Grillo". Per il momento, dunque, l'ipotesi di un cambio al vertice di Forza Italia non è sul tavolo. L'ipotesi Marina Berlusconi è sempre nell'aria. Di tanto in tanto i quotidiani la tirano fuori per capire se effettivamente la presidente di Fininvest e Mondadori dovesse sciogliere le proprie riserve. Un'eventualità che, però, non sembra trovare favorevole il padre. "Mia figlia farà quello che le sembrerà giusto fare - spiega ai microfoni di Vista - le sconsiglierò sempre di cambiare quello che sta facendo molto bene ora". In generale, continua il leader di Forza Italia, "l’eredità che penso di lasciare a chi prenderà il mio posto spero sia quella di trasformare la maggioranza numerica dei moderati in maggioranza politica per arrivare a cambiare l’assetto istituzionale del Paese".






Crollo di Ncd. Alfano ha paura e insulta Forza Italia

Crollo di Ncd. Alfano ha paura e insulta Forza Italia 


di Sergio Rame



Dopo la figuraccia con Genny 'a Carogna e l'incapacità di contrastare gli sbarchi, Alfano teme di erodere altre preferenze e passa agli insulti: "Forza Italia non ha credibilità". La replica di Toti: "È solo un traditore legato alle poltrone"


Il Nuovo centrodestra annaspa. Nonostante l'alleanza con l'Udc di Pier Ferdinando Casini, i sondaggi lo danno a ridosso del 4%. C'è, quindi, il rischio che non sfondi la soglia di sbarramento. Preso dal panico Angelino Alfano sgomita e insulta. "Chi vuole la protesta  vota per i Cinque Stelle - tuona durante un'iniziativa a Roma - chi, invece, vuole la proposta e le riforme vota i partiti che stanno al governo: se è di sinistra, per il Pd, se è di centrodestra, per Ncd. In questo quadro c’è un grande assente: è Forza Italia, che non è né carne né pesce. Quindi non c’è nessuna ragione per votarla. Il voto a Forza Italia è davvero un voto inutile". Un'offesa che ferisce non solo il partito, ma anche milioni di elettori che il 25 maggio voteranno proprio per Silvio Berlusconi e Forza Italia.

Alfano non ha niente da ridere. Da mesi il suo partito fa da stampella a un governo di sinistra. E il suo lavoro al ministero dell'Interno non è certo lodevole. Prima l'incapacità a gestire l'emergenza immigrazione, poi la figuraccia all'Olimpico prima della finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina. Così, mentre i grillini si preparano a sfiduciarlo, si mette a insultare Forza Italia e i suoi elettori. "Oggi Forza Italia non è buona per stare dentro al governo, ma non è nemmeno schierata in maniera visibile all’opposizione, perché lì c’è già Grillo - attacca il leader di Ncd - il voto a Forza Italia è davvero il voto inutile". Il titolare del Viminale lancia poi un appello a chi in passato ha votato per il Pdl: "Voti alle Europee per noi e noi utilizzeremo tutti i voti ottenuti per riunire i moderati italiani. È l’impegno che ci assumiamo". Secondo Alfano, infine, la promessa di Berlusconi di riunire tutti i moderati italiani "non è credibile" perché Forza Italia è "una grande disfatta".

"Se c’è un voto inutile per un elettore di centrodestra è quello al partito di Alfano, che è rimasto al governo tradendo la fiducia degli elettori e di chi li aveva eletti sotto il simbolo del Pdl - ha ribattuto il consigliere politico di Forza Italia, Giovanni Toti, ai microfoni di Sky Tg24 - sono più attaccati alle poltrone che agli elettori". Gli insulti e le offese di Alfano hanno indignato profondamente politici, militanti e sostenitori di Forza Italia. "Più che preoccuparsi del voto di Forza Italia, Alfano dovrebbe guardare in casa propria. Infatti il voto ad Ncd più che inutile è dannoso", ha commentato il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri ricordando ad Alfano che Ncd "non andrà lontano a forza di importare clandestini". Altero Matteoli, invece, ricorda al titolare del Viminale di essere "la stampella di Renzi e della sinistra". "Il 25 maggio si avvicina e Ncd è sull'orlo di una crisi esistenziale - incalza l'europarlamentare Licia Ronzulli - la paura di non raggiungere il quorum del 4% fa brutti scherzi e i nervi di Alfano stanno crollando". Secondo Mariastella Gelmini, vice capogruppo vicario di Forza Italia alla Camera, uscito da Forza Italia Alfano non sa più dove andare e perché: "Ha perso la rotta e ha un disperato bisogno di inventarsene una per convincere gli elettori, e se stesso, che Ncd esiste e ha un senso".

Delrio avvisa Ncd: "Dopo il 25 maggio può cambiare tutto"

Delrio avvisa Ncd: "Dopo il 25 maggio può cambiare tutto"



Un avvertimento, anzi una minaccia. Graziano Delrio parla in una lunga intervista a Panorama e mette in guardia il governo e gli alleati di Ncd: "L’alleanza con Alfano è dettata dall’emergenza del paese, se alle europee il Pd andasse al 24, 25 per cento, questa alleanza non sarebbe certamente un buon viatico per un governo che dura a lungo". Un messaggio chiaro e forte da parte del governo: se le cose vanno male può venire giù tutto. 

L'avvertimento - Poi Delrio spiega meglio le condizioni che possono causare un terremoto nell'esecutivo e nella maggioranza:"Se il Pd andasse male e Angelino Alfano non facesse la soglia, non sarebbe un bene per il governo". E ancora: "Se noi andassimo molto bene, questo darebbe un segnale di forza all’azione di governo. Alfano ha fatto una scommessa molto rischiosa separandosi da Berlusconi, vedremo se il suo coraggio sarà premiato". Insomma il voto del 25 maggio deciderà le sorti del governo, del premier e degli alfaniani. Ma Delrio non parla solo di alleanze e governo. 

"Cambiamo il canone" - Delrio parla anche di un tema caldissimo: la riforma del canone Rai. L'esecutivo da tempo annuncia tra le righe una riforma della tassa-tv ma tra smentite e retromarce non è chiaro ancora quale sia il piano del governo. A fare chiarezza ci pensa lo stesso Delrio: "L'ipotesi di allegare il canone alla bolletta elettrica non è stata per niente accantonata". Insomma a quanto pare l'esecutivo ritorna ancora su i suoi passi e ripropone una riforma totale del canone legata alle utenze dell'energia elettrica. Delrio, come è noto, è l'ombra di Renzi a palazzo Chigi. Le sue parole hanno un peso. Il 25 maggio sapremo due cose: se Renzi resta ancora a palazzo Chigi e quanto pagheremo di canone nel 2015...

Montanelli stronca Travaglio

Montanelli stronca Travaglio 


di Alessandro Sallusti


In materia di giustizia Montanelli smentisce il capofila dei giornalisti forcaioli anche dall'oltretomba 


Il tintinnio di manette riaccende gli entusiasmi di Marco Travaglio, capofila dei giornalisti forcaioli tanto cari alle procure. Si è autonominato erede unico del pensiero di Indro Montanelli, del quale millanta (sapendo di non poter essere smentito) l'amicizia e la stima. Sarà, ma il vecchio Indro, che non ha mai amato presunti portavoce, lo smentisce anche dall'oltretomba. E che smentita.

È contenuta in un articolo scritto su Il Giornale il 13 luglio dell'81. Il giorno prima Spadolini aveva ottenuto la fiducia del suo primo governo ma il Pci annunciava sfaceli perché il neopremier aveva posto con forza la questione della riforma di una giustizia già malata allora. Ecco come commentava l'accaduto Montanelli: «Riduciamo i termini all'osso. Ci sono state, per eccesso di garantismo istruttorie svogliatamente durate anni e concluse con assoluzioni poco meno che scandalose; mentre ci sono le manette per reati che non le comportano obbligatoriamente, seguiti da procedimenti penali che, anche quando si concludono col proscioglimento da ogni accusa, segnano la rovina materiale e morale di chi ne è stato bersaglio». E ancora: «Non è possibile andare avanti con queste invasioni di campo della magistratura che sono arrivate a tal punto da rendere plausibile il sospetto che certi magistrati le pratichino non per ristabilire l'ordine ma per sovvertirlo, scatenando caccia alle streghe e colpendo all'impazzata».

Aggiungeva Montanelli: «Questi magistrati sono inamovibili, impunibili, promossi automaticamente, pagati meglio di qualsiasi altro dipendente pubblico, incensati dai giornali di sinistra (cioè dalla maggioranza) e molto spesso malati di protagonismo». E ancora: «I comunisti non possono rinunciare alla magistratura com'è. Essa costituisce la più potente arma di scardinamento e di sfascio di cui il Pci dispone».

E chiudeva: «Questa non è la magistratura, è solo il cancro della magistratura. Ma che è già arrivato allo stadio di metastasi». Trent'anni dopo siamo ancora lì. I giornali di sinistra (più Travaglio) a fare da addetti stampa a magistrati eversivi ed esibizionisti, noi de Il Giornale a puntare il dito sul «cancro della magistratura» che sta distruggendo il Paese. E siamo fermi anche nel puntare il dito contro ladri e mascalzoni. Ma contro tutti i mascalzoni (anche se di sinistra, anche se magistrati) e soprattutto se davvero ladri oltre ogni ragionevole dubbio.