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lunedì 13 aprile 2015

Caivano (Na): Il Movimento 5 Stelle declina l'invito confronto, leggi le motivazioni

Caivano (Na): Il Movimento 5 Stelle declina l'invito confronto, leggi le motivazioni 





Egregio Direttore, 
Il Movimento 5 Stelle, viste le battaglie intraprese a botta di fuochi di artificio (per fortuna!) tra i candidati a sindaco degli altri schieramenti politici, con i proclami beffa e le reciproche accuse, decide di non partecipare al tavolo confronto di lunedì 13 Aprile, lasciando a quelli che hanno deturpato il Paese il dibattimento su cosa intendono fare. Il Movimento 5 Stelle, preferisce, a questo punto, confrontarsi con i cittadini che hanno ben altri bisogni che assistere a guerre come tra tifosi scalmanati di squadre di calcio dilettantistico dove i coltelli affilati colpiscono sempre i malcapitati!. 

domenica 12 aprile 2015

Caivano (Na): Quanto ci costa la politica? ma soprattutto chi sono?

Caivano (Na): Quanto ci costa la politica? 





I costi della politica, diretti e indiretti, ammontano a circa 23,2 miliardi di euro, tra funzionamento di organi istituzionali, società pubbliche, consulenze e costi (per mancati risparmi) derivanti dalla “sovrabbondanza” del sistema istituzionale. Nel dettaglio, per il funzionamento degli Organi Istituzionali (Stato Centrale e Autonomie Territoriali), nel 2013 si stanno spendendo oltre 6,1 miliardi di euro, in diminuzione del 4,6% rispetto all’anno precedente (293,3 milioni di euro in meno); per le consulenze 2,2 miliardi di euro e per il funzionamento degli organi delle società partecipate, 2,6 miliardi di euro; per altre spese (auto blu, personale di “fiducia politico”, Direzione ASL, ecc.) 5,2 miliardi di euro; per il sovrabbondante sistema istituzionale 7,1 miliardi di euro. Una somma pari a 757 euro medi annui per contribuente, che pesa l’1,5% sul PIL. Sono oltre 1,1 milione le persone che vivono direttamente, o indirettamente, di politica, il 5% del totale degli occupati nel nostro Paese.

Un esercito al cui vertice ci sono oltre 144 mila tra Parlamentari, Ministri, Amministratori Locali di cui 1.041 Parlamentari nazionali ed europei, Ministri e Sottosegretari; 1.270 Presidenti, Assessori e Consiglieri regionali; 3.446 Presidenti, Assessori e Consiglieri provinciali; 138.834 Sindaci, Assessori e Consiglieri comunali. A questi si aggiungono gli oltre 24 mila consiglieri di amministrazione delle società pubbliche; oltre 45 mila persone negli organi di controllo; 39 mila persone di supporto degli uffici politici (gabinetti degli organi esecutivi nazionali e locali, segreterie di Ministri, Sindaci, Presidenti di Regioni e Province, Assessorati ecc.). Inoltre, sono 324 mila le persone di apparato politico (“portaborse”, collaboratori gruppi parlamentari e consiliari, segreterie partiti, collegi elettorali ecc.) e 545 mila coloro che hanno contratti di consulenze e incarichi.

Alla luce di questi dati, nonostante i timidi segnali fatti registrare negli ultimi tempi (non ultimo il decreto sul superamento del finanziamento ai partiti) riteniamo che, una parte preponderante della spesa improduttiva del nostro Paese sia rappresentata, ancora, dai cosiddetti “costi della politica”, che non sono riconducibili solo agli stipendi degli eletti, quanto all’abnorme numero di strutture e centri di costo spesso inefficienti ed inefficaci. Inefficienti ed inefficaci sono anche coloro che, eletti democraticamente dal Popolo e, ricevendo per legge il proprio compenso, non riescono ad esprimere al meglio la propria gestione. Ad esempio come nel caso di Caivano. I cittadini, dopo aver eletto democraticamente il consigliere provinciale, dott. Simone Monopoli, dopo circa 5 anni di mandato, al di là dei circa 60/70 mila euro di retribuzione spesa, sono avvenuti, proprio dal 2009 al 2014, i più classici esempi di inefficienza politica. 4.800 tonnellate di spazzatura, ordinanza provinciali, disastri e roghi tossici. Inefficienza anche nella gestione di plessi (rapporto provincia plessi scolastici), come nell'ultimo caso riguardante il liceo scientifico Braucci che, all'improvviso, a causa di bollette elettriche non pagate dall'ente provincia, i giovani, si sono visti chiudere la loro casa scolastica per 4 giorni. Dov'erano i responsabili provinciali rappresentanti del popolo? cosa hanno detto in merito a questo scempio? Nulla, anzi, qualcuno ha anche tenuto a dire di non sapere nulla, puntando il dito contro un altro rappresentante provinciale come il dott. Tonino Falco. Insomma, a scarica barile. E' pur vero che le spettanze le decide la legge, ma l'efficienza deriva da ogni singolo esponente politico, quindi nel caso del dott. Simone Monopoli, i cittadini hanno notato una quasi assenza dal territorio. Poi i vari Decreti approvati nell’ultimo anno (spending review, enti locali ecc.), insieme a quelli in discussione (appunto, superamento delle Province e assetto dei Comuni, finanziamento pubblico ai partiti etc etc), stando ai fatti, danno soltanto delle parziali e insufficienti risposte al tema dell’eccesso di costi di funzionamento degli Enti Istituzionali e della sovrapposizione di ruoli e funzioni. Ci vorrebbe più coraggio da parte della politica italiana per ridare forza e credibilità al proprio ruolo, con delle vere riforme atte a riordinare e semplificare non solo l'efficienza nel produrre risultati vero la propria popolazione ma appunto, riordinare l’assetto istituzionale del Paese. Da questo punto di vista, non è più rinviabile la revisione del Titolo V della Costituzione, a partire dalla revisione del numero dei livelli istituzionali e dalla ripartizione delle competenze tra Stato e Autonomie Territoriali. Così come non sono più rinviabili la riduzione del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto e l’approvazione di un disegno organico dell’ordinamento degli enti Territoriali basato su “chi fa cosa” tra Stato ed Autonomie. In parte fatto e approvato l'8 agosto 2014, in altri casi no. In quest’ultimo caso auspichiamo che, oltre al superamento dell’attuale assetto delle Province, si proceda con l’accorpamento dei Comuni sotto ai 15 mila abitanti e la soppressione o il riordino di tutti gli enti intermedi di area vasta (ATO, Consorzi, Distretti ecc.), con il “dimagrimento” del numero dei componenti degli organi elettivi ed esecutivi a tutti i livelli di governo. Bisogna ridurre all’essenziale gli incarichi e le consulenze di nomina politica, valorizzando le risorse umane già operanti, a tutti i livelli, nelle pubbliche amministrazioni.

È Ufficiale: qua ci tagliano la pensione Ecco le date e le previsioni / La tabella

Ecco da quando ci tagliano la pensione


di Antonio Castro 


Appuntamento a settembre per capire che "tagliando" proporrà anche il primo governo Renzi (13 riforme e riformine negli ultimi 20 anni) per le nostre pensioni. I sindacati fremono, il ministro del Welfare, Giuliano Poletti, un giorno sì, e l' altro pure, ammette che bisognerà metterci mano, che si sta studiando la pratica, che l' Inps proporrà delle soluzioni tecniche («entro l' estate», ha garantito il vulcanico Tito Boeri), e gli italiani restano appesi nel limbo del continuo cambiamento.

A scorrere, però, le 130 pagine del Def presentato ieri notte, c' è da farsi venire un colpo, prima ancora di agguantare l' assegno o di maturare gli inarrivabili requisiti della legge Fornero. Ebbene andando a curiosare si scopre che le riforme fin ora approvate, dal 2019 in poi porteranno in picchiata la spesa pensionistica. E se è vero che nei prossimi anni la spesa pensionistica sarà ancora sostenuta (andranno in maturazione le pensioni dei baby boom), è pur vero che 20 anni di riforme si mangeranno complessivamente «60 punti percentuali di Pil». Il Def cita punti di Pil - probabilmente attualizzati, se oggi dovessimo conteggiare - a valori costanti - 60 punti di Pil verrebbe fuori un salasso di ben 960 miliardi. Miliardi che eroderanno indirettamente le pensioni future - che pagheranno in parte anche il debito attuale - con il paradosso che i giovani precari di oggi continueranno a pagare in pensione anche i generosi trattamenti dei nonni e dei padri.

Riporta il Def in merito proprio alla previdenza: «Grazie al complessivo processo di riforma attuato a partire dal 2004, l' età media al pensionamento, aumenta da 60-61 durante il periodo 2006-2010 a circa 64 anni nel 2020, a 67 nel 2040 e poi a circa 68 nel 2050. Cumulativamente, la minore incidenza della spesa in rapporto al Pil derivante dal complessivo processo di riforma avviato nel 2004 ammonta a circa 60 punti percentuali del Pil al 2050. Tale effetto è da ascrivere per circa 1/3 alla riforma introdotta con la L, n, 214/2011 (riforma Fornero, ndr) e per circa 2/3 a precedenti interventi (Dini, Maroni, Prodi, ecc, ndr)».

Ma non basta. Perché se i tagliandi alle pensioni porteranno risparmi, l' invecchiamento progressivo della popolazione - e la necessità di garantire cure appropriate a fasce sempre maggiori, che sopravvivono sempre più a lungo - comporterà nello stesso periodo un esborso sempre maggiore che stride, non poco con i tagli attuati alla sanità ed alla spesa sanitaria in genere. La spesa per l' assistenza - stima il Def - «aumenta e continuerà ad aumentare», per i prossimi 50 anni. È quanto emerge dalla bozza del Documento di economia e finanza, che stasera sarà varato dal Consiglio dei ministri. E se è vero che la spesa pubblica per pensioni, la spesa sanitaria, quella per l' assistenza di anziani e disabili a lungo termine, la spesa per l' istruzione e quella per ammortizzatori sociali, aumenteranno tutte, quelle per l' assistenza per persone anziane e disabili è l' unica per la quale viene prospettata una costante crescita, fino al 2060. Si passa gradualmente dall' 1,1% del Pil del 2015 all' 1,6% del 2060. Tale spesa, precisa il Def, «è composta per circa 4/5 dalle indennità di accompagnamento e per circa 1/5 dalle prestazioni socio-assistenziali erogate a livello locale». Ma non c' è bisogno di proiettarsi al 2060 per scoprire che siamo un Paese vecchio che invecchia: Proprio ieri l' Inps - che ha divulgato le tabelle degli osservatori statistici con dati riferiti al primo gennaio - ha cristallizzato la situazione attuale.

Negli ultimi 11 anni le pensioni agli invalidi civili sono aumentate di oltre un milione: tra il 2003 e il 2014, le pensioni alle persone con riduzioni delle capacità di lavoro o di svolgimento delle normali attività quotidiane sono passate da 1.834.208 a 2.838.698. E nonostante la stretta sulle attribuzioni (con l' accentramento dei controlli da parte dell' Inps), e la campagna a tappeto per verificare l' effettivo diritto ad ottenere ad avere l' indennità. Basti pensare che solo l' anno scorso gli assegni sono aumentati di 57mila unità. Resta ora da vedere come Poletti e Renzi intendano mettere mano ai due capitoli più spinosi per qualsiasi governo: sanità e pensioni.

Cosa c'è dietro il Jobs Act? La fregatura Ci possono abbassare gli stipendi

Jobs Act, oltre al demansionamento rischio di stipendi tagliati: ecco cosa cambia





Mansioni peggiori e stipendi più bassi. Potrebbero essere i risvolti, decisamente negativi, del Jobs Act renziano. Il decreto attuativo della riforma del Lavoro è ora al vaglio delle commissioni Lavoro e Bilancio di Camera e Senato ed entro un mese dovrà arrivare il via libera definitivo: già a maggio, dunque, potranno scattare i demansionamenti previsti dalla nuova legge senza preavviso per il lavoratore. 

Tutte le fregature del Jobs Act - Il dipendente potrà essere assegnato a qualunque mansione del suo livello di inquadramento, senza più l'obbligo di "mansioni equivalenti". Da oggi, nel caso in cui ci sia un "mutamento degli assetti organizzativi dell'impresa", la situazione potrebbe peggiorare anche economicamente. Sì, perché per salvaguardare il funzionamento della sua azienda, l'imprenditore deve sì garantire la medesima retribuzione, ma insieme al demansionamento può tagliare, come sottolinea il testo della legge, gli elementi retributivi "collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione". Tradotto: le voci in busta paga legate ai compiti svolti prima del demansionamento (a cominciare da eventuali bonus e indennità) potranno essere eliminati. C'è poi l'ipotesi di un accordo tra dipendente e datore di lavoro, che possono incontrarsi per decidere insieme le modalità del "peggioramento" dell'inquadramento, dalla riduzione dell'orario a quella dei carichi di lavoro, "in sede protetta" (sindacati e direzioni territoriali del lavoro). Il timore degli esperti, però, è che questa opzione possa non evitare, o forse incentivare, le pressioni psicologiche del datore di lavoro sui dipendenti più deboli. Tra l'altro, ai contratti aziendali viene concessa la possibilità di fissare eccezioni al Jobs Act. Cioè, queste regole potranno essere anche peggiorate.

Si vota e Renzi promette altri soldi: a chi può dare il tesoretto da 1,6 miliardi

Def, dove andranno a finire quei 1,6 miliardi in più: bonus anche agli incapienti o ammortizzatori sociali





Tesoretto o bonus, chiamatelo come preferite. Ma quei 1,6 miliardi in più ci sono e il governo deve ancora decidere cosa farne. Secondo le prime indiscrezioni filtrate prima del CdM di venerdì sera, l'idea che stuzzicava Matteo Renzi era quello di utilizzarli per estendere il Bonus da 80 euro che tanta fortuna gli ho procurato alla vigilia delle Europee 2014. 

Incapienti o ammortizzatori? - Le coincidenze politiche sono notevoli: a maggio si voterà alle Regionali e sembra un test sul governo e sul premier, e dare una mancia elettorale non è mai mossa sconsigliata. Ebbene, quei soldi potrebbero finire nelle tasche degli incapienti (esclusi come i pensionati dal bonus Irpef prima versione). Dal Consiglio dei Ministri però sembra essere emerso un altro indirizzo: utilizzare quei 1,6 miliardi per allargare il fondo per gli ammortizzatori sociali che a giugno dovranno essere riconfermati in concomitanza con l'attivazione del Jobs Act. 

Come nasce il "tesoretto" - Quel miliardo e mezzo abbondante è spuntato non tanto per politiche virtuose del governo quanto per una delle tante scorciatoie contabili prese da Palazzo Chigi: di fatto, si tratta di un margine sull'indebitamento. Con la crescita del Pil stimata per il 2015 allo 0,7% contro lo 0,6% del settembre scorso, il deficit in rapporto al Pil sale dal 2,5% al 2,6%: ecco quei 1,6 miliardi. Il guaio è che in attesa di tagli non ancora concreti (e senza nuove entrate, cioè nuove tasse, come promesso da Renzi), quei miliardi sono frutto per ora di solo indebitamento. Il colpo grosso potrebbe arrivare tra qualche settimana, quando Palazzo Chigi proverà a trattare con l'Unione europea per far scattare la clausola di flessibilità sulle riforme: il taglio del deficit strutturale per il 2016 si potrebbe limitare allo 0,1 contro lo 0,5 nel caso venissero meno le "circostanze eccezionali" riconosciute nel 2014 per la recessione economica: 0,4% che si tradurrebbe in 6,4 miliardi. Quello sì un bel tesoretto.

Strage in Tribunale, Vittorio Feltri massacra Sergio Mattarella: "Caro presidente, hai rotto il silenzio e pure le... Perché non ricordi che..."

Strage in Tribunale, Vittorio Feltri massacra Sergio Mattarella: "Ha rotto il silenzio e pure le scatole"





"Mattarella? Ha rotto il silenzio e pure le scatole...". E' il succo dell'editoriale al vetriolo di Vittorio Feltri contro il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. L'occasione sono le polemiche sull'assurda strage al Tribunale di Milano in cui l'imprenditore killer Claudio Giardiello ha ucciso un magistrato, un avvocato e un coimputato. "Non usate quella strage per santificare le toghe", ammonisce il fondatore di Libero ed editorialista del Giornale, che come Mario Giordano su Libero di sabato 11 aprile punta il dito contro l'atteggiamento delle autorità giudiziarie italiane. Incasellare una follia "personale e privata" in un più generale "clima anti-magistrati" è sbagliato, avvertono le due penne. Vero è che Giardiello, alle prese da anni con la giustizia, ha ammesso di "odiare il Tribunale" ma come sottolinea Giordano il suo in realtà era "odio contro il mondo". 

L'affondo su Mattarella - Feltri però si concentra soprattutto sul presidente. Fino a giovedì di Mattarella si segnalavano solo le dichiarazioni misuratissime, la modestia, la volontà di restare fuori dalla rissa mediatica. "Giovedì ci siamo ricreduti -  si lamenta Feltri -. Mattarella ha parlato e ci ha talmente deluso da insinuare il sospetto che, avendo rotto il silenzio, d'ora in poi ci romperà anche le scatole con un'incessante sequela di dichiarazioni petulanti, per non dire di peggio". A scatenare le ire di Feltri sono state le frasi in difesa delle toghe subito dopo la strage: "Basta discredito sui magistrati", ha detto il Capo dello Stato. "Siamo d'accordo con il presidente che costoro non debbano essere gratuitamente offesi, cosa che invece avviene abbastanza frequentemente - ha spiegato ancora il fondatore di Libero -. Ma il punto è un altro: che c'entra il discredito gettato sulle toghe con il massacro in tribunale?". Di fatto, nel Palazzaccio non è morto solo il giudice Ciampi ma anche, come detto, il giovane avvocato e l'ex socio di Giardiello. "Mattarella avrebbe dovuto prendersela non solo con chi scredita i magistrati, ma anche con chi diffama i legali e i soci in affari. (...) Forse spinto dal desiderio di manifestare solidarietà nei confronti dei giudici, ha colto l'occasione dell'eccidio per fare udire la propria voce in loro difesa. Probabilmente si è pure dimenticato che spesso i magistrati si  screditano da soli: la recente lite fra Bruti Liberati e Robledo, proprio nella Procura di Milano, ne è la prova".

sabato 11 aprile 2015

Il sondaggio: il tonfo di Renzi e Pd "Perché gli italiani li hanno mollati"

Sondaggio Ixé, scende il Pd e il governo di Matteo Renzi mentre gode Beppe Grillo e Matteo Salvini






La maggior parte dei sondaggi conferma quanto siano durissimi i tempi per Matteo Renzi e il suo governo. Le anticipazioni sul Def e la seria minaccia che le tasse possano aumentare sono state più convincenti degli annunci renziani. Frana così il terreno sotto i piedi dei dirigenti Dem visto che secondo il sondaggio Ixé per Agora su Raitre, il Partito democratico ha perso lo 0,8% in una settimana, raccogliendo il 37,6% delle intenzioni di voto. Godono i grillini con il Movimento 5 stelle che guadagna lo 0,3%, salendo al 19%. Stabile la Lega di Matteo Salvini al 13,5%. Tiene botta anche Forza Italia che rosicchia uno 0,2% negli ultimi sette giorni segnando il 13,1%.

Fiducia - Così come cala il Pd, perde appeal anche Renzi che nell'ultima settimana ha perso un punto percentuale scendendo al 37%. Colpa anche di una convinzione ormai entrata nella testa degli elettori: per il 73% di loro le tasse sono aumentate proprio sotto il governo Renzi. E su questa scia di sfiducia perde un punto in sette giorni anche l'intero governo, sceso al 31%. In testa alla lista dei leader politici più graditi rimane il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, stabile al 70%.

Scelte - Non hanno dubbi gli italiani su cosa preferirebbero che facesse il governo per tenere il bilancio dello Stato in equilibrio. Per il 55% degli intervistati da Ixé è meglio tagliare i fondi ai Comuni e agli Enti locali, piuttosto che aumentare l'Iva, anche solo di un punto.