Berlusconi, doppia rivoluzione. La prima: come si è vestito. La seconda: Forza Italia addio
di Salvatore Dama
La prima novità arriva dall’armadio. All’alba dei suoi ottant’anni, il Cavaliere abbandona il blu scuro, declinato nel suo guardaroba in tutti i capi, dal doppiopetto alle tute di felpa, per concedersi un celestino frufru che lascia di stucco i suoi ospiti. Abito e camicia. Omaggio all’ultima coda dell’estate, che in realtà, in Brianza, è già archiviata da un pezzo.
Preso atto della novità cromatica, il comitato di presidenza di Forza Italia, riunito in trasferta ad Arcore, non ha preso decisioni particolari. È stato uno sfogatoio, come normale che fosse, visto quanto rare sono le occasioni di confronto tra il capo e i suoi dirigenti di fascia A. I colonnelli sono andati via rinfrancati dallo stato di salute del Cav. L’hanno visto bene, in forma e rilassato. Volitivo. Senza fiatare, hanno ascoltato la lunghissima relazione dell’ex premier sull’attualità politica. Berlusconi ha messo in fila «tutti gli errori» del governo Renzi, dalla politica economica, alla gestione dell’emergenza profughi, fino alla minaccia del terrorismo internazionale. Silvio ha puntato l’indice anche sull’Europa e sulla mancanza di peso di questo governo nel braccio di ferro con l’asse franco-tedesco. «Lunedì sera», ha commentato, «ho incontrato Salvini. Quando parla di uscita dall’euro è capace di motivare molto bene le sue ragioni. A momenti convinceva anche me... Il problema esiste, inutile negarlo». Se ne riparlerà perché Silvio non vuole mollare l’alleanza con la destra populista. «Solo se è unito e se ha un programma condiviso», spiega ai suoi, «il centrodestra è un’alternativa credibile». Ed è il momento di riorganizzarsi perché «la sinistra è in difficoltà» e i «grillini stanno dimostrando che, alla prova del governo, sono un fallimento». Però prima della coalizione va rilanciato il partito. A novembre ci sarà la conferenza programmatica di Forza Italia per dire no al referendum coinvolgendo i quadri locali. L’apertura e la chiusura saranno affidate a Berlusconi, che non intende affatto abdicare al suo ruolo di leader.
Silvio si riposa dieci minuti prima di intavolare come ultimo argomento quello più spinoso. «Ben venga Stefano Parisi», esordisce l’ex premier, «sta lavorando per allargare il perimetro della coalizione e questo è un bene. Incontra il consenso dell’opinione pubblica. E i grandi giornali sono tutti dalla sua parte». Ancora: «Mi ha assicurato che non vuole fare una riedizione di Scelta Civica o di un’altra lista inutile. Sta lavorando con il mondo degli imprenditori e mi ha suggerito di cambiare il nome Forza Italia in Per l’Italia. Potrebbe essere una strada». Guardando le facce perplesse che lo circondano, però, Berlusconi corregge il tiro: «Devo anche dire che finora Parisi non ha dato grande prova di lealtà. Non ha ricordato i successi dei nostri governi e non ha mai denunciato quello che mi hanno fatto la sinistra e i giudici». Però, conclude Silvio, «diamogli una chance». Apriti cielo. Il Cav ha toccato, consapevolmente, un nervo scoperto. Non poteva fare altrimenti. Adesso però deve sorbirsi le lamentale dei colonnelli. Il più agguerrito, al solito, è Renato Brunetta. Per carità, premette il presidente dei deputati azzurri, «Stefano è un amico, ma non potrà mai fare il leader, non ha la stoffa». Ci vuole altro. E il fatto che Parisi sia coccolato dai «giornaloni» non è un bene per il centrodestra. Semmai è «la dimostrazione» di come mister Chili «sia in realtà la quinta colonna della sinistra, lo utilizzano per cancellare il berlusconismo». Finito l’intervento di Brunetta, attacca Paolo Romani: «Ma quale centrodestra, al Megawatt erano tutti bauscia! Quella gente non è il nostro elettorato, non ci ha mai votato». Giovanni Toti, altro anti-parisiano, evita di affondare il colpo. Un sondaggio pubblicato ieri dal Corriere lo dà come il leader più apprezzato in alternativa a Berlusconi, al 29% contro il 21% di Parisi. Gianfranco Miccichè è forse l’unico che difende Parisi. La base del partito non è contraria, semmai incuriosita dalla sua ascesa. «Tanti», rivela, «mi chiedono di organizzare eventi con lui». Forse in Sicilia. Ma altrove no.
Altri colonnelli vogliono prendere la parola per dire la loro, ma «è tardi», irrompe Niccolò Ghedini, «il presidente è stanco, deve riposare». E se lo porta via. Appuntamento a settimana prossima, quando Silvio festeggerà i suo 80 anni. Stavolta a Roma.
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