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lunedì 5 giugno 2017

Per il tumore della mammella BRCA+ Ok la nuova classe dei PARP-inibitori

Per il tumore della mammella BRCA+ Ok la nuova classe dei PARP-inibitori


di Maria Rita Montebelli



I risultati dello  studio di fase 3 OlympiAD, condotto su circa 300 donne e presentati all’ASCO in sessione plenaria, ‘laureano’ i PARP inibitori come nuovo possibile trattamento per questo tipo di cancro della mammella. Rispetto alla terapia convenzionale, l’olaparib, una terapia a target orale, ha ridotto del 42 per cento il rischio di progressione del cancro della mammella BRCA positivo, in fase avanzata, ritardandone la progressione di circa 3 mesi. “E’ la prima dimostrazione - commenta Mark E. Robson, direttore clinico del  Servizio di Genetica Clinica e oncologo del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York - di un miglioramento degli esiti con un PARP inibitore, rispetto alla chemioterapia standard, nelle donne con cancro della mammella associato alle mutazioni BRCA. Ed è molto incoraggiante vedere che l’olaparib è risultato efficace contro i tumori della mammella tripli negativi che si sviluppano nelle donne con mutazioni BRCA. Si tratta di una tipologia di tumore della mammella molto difficile da trattare, che spesso colpisce le donne in giovane età. Questo studio - conclude Robson - rappresenta la prova di principio che i tumori della mammella con un difettoso sistema di riparazione del DNA sono sensibili ad una terapia a target, disegnata proprio per sfruttare questo difetto”.

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“Questo significa - commenta Daniel F. Hayes presidente dell’ASCO - che da adesso saremo in grado di fare una terapia su misura per il tumore della mammella, non solo sulla base delle alterazioni genetiche del tumore, ma anche sulla base dei fattori ereditari che ne hanno favorito lo sviluppo”. Lo studio OlympiAD ha arruolato pazienti portatrici di mutazioni BRCA ereditarie, con tumore della mammella in fase metastatica e recettori ormonali positivi o triplo negativi (cioè senza recettori per estrogeni, progesterone e HER2). Tutte le pazienti sono state inizialmente sottoposte a due cicli di chemioterapia per tumore della mammella metastatico; quelle con recettori ormonali positivi sono state inoltre sottoposte ad ormono-terapia. Successivamente, le 302 donne sono state randomizzate a ricevere il trattamento con olaparib o con chemioterapia standard (capecitabina o vinorelbina o eribulina) fino a progressione del tumore o a comparsa di effetti collaterali gravi. Le dimensioni del tumore sono risultate ridotte nel 60 per cento delle pazienti in trattamento con olaparib, contro il 29 per cento di quelle in trattamento chemioterapico. Dopo un follow-up medio di 14 mesi, le pazienti trattate con olaparib presentavano una riduzione del 42 per cento del rischio di progressione del tumore, rispetto al gruppo trattato con chemioterapia. L’intervallo di tempo medio fino a progressione del tumore era di 7 mesi per il gruppo olaparib, contro 4,2 mesi del gruppo chemioterapia.

Anche dopo l’avvenuta progressione del tumore, i ricercatori hanno continuato a seguire queste pazienti per verificare l’intervallo di tempo prima di una seconda progressione, che è risultata comunque ritardata in quelle trattate con olaparib rispetto al gruppo di controllo. Non è possibile ancora stabilire se questo trattamento sarà in grado di determinare anche un aumento della sopravvivenza, ma questi primi risultati sono definiti molto incoraggianti dagli esperti. Alcuni degli effetti indesiderati più frequentemente osservati con olaparib sono stati nausea e vomito; nelle pazienti trattate con chemioterapia sono stati invece osservati riduzione dei globuli bianchi, anemia, fatigue, eruzione cutanea a livello delle mani e dei piedi. Solo il 5 per cento delle pazienti è stato costretto a sospendere il trattamento con olaparib per effetti collaterali gravi e le misure di qualità di vita sono risultate nettamente superiori nel gruppo trattato con il PARP inibitore. “L’olaparib sarà probabilmente utilizzato in fase precoce nelle pazienti con tumore della mammella metastatico BRCA+, visto che consente di preservare la loro qualità di vita e di ritardare il ricorso alla chemioterapia per via endovenosa; con questi nuovi farmaci inoltre non si verificano problemi quali riduzione dei globuli bianchi e caduta dei capelli”.

L’olaparib è già utilizzato nel trattamento delle donne con cancro dell’ovaio BRCA-correlato. Fino al 3 per cento di tutti i tumori della mammella si sviluppano in pazienti portatrici di alterazioni ereditarie dei geni BRCA1 e BRCA2; queste mutazioni condizionano la capacità di riparazione del DNA della cellula. L’olaparib agisce bloccando altri ‘ingranaggi’ chiave del meccanismo di riparazione del DNA della cellula, il PARP1 e il PARP2. Le cellule tumorali con mutazioni BRCA sono particolarmente vulnerabili al trattamento con PARP inibitori. L’OlympiAD, presentato all’ASCO, è il primo di 4 studi clinici di fase 3 sull’impiego dei PARP inibitori nel cancro della mammella ad essere giunto a conclusione. Sono necessarie altre ricerche per comprendere il reale valore di questo farmaco nei tumori che mostrano un peggioramento dopo chemioterapia a base di platino, un regime standard non vagliato in questo studio. Bisognerà inoltre capire se la chemioterapia a base di platino possa essere di qualche utilità nei tumori che mostrano un peggioramento nonostante il trattamento con olaparib.

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