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lunedì 9 marzo 2015

Pansa: "Renzi da rottamatore a zar Ha trasformato l'Italia nel Cremlino"

Pansa: "Nel Cremlino di Renzi obbedire o tacere"

di Giampaolo Pansa 



«Sai che cosa mi ricorda Palazzo Chigi? Il Cremlino» dice un vecchio collega che ha fatto per parecchio tempo il corrispondente dall’Unione sovietica. La sua sicurezza mi sorprende: «Perché il Cremlino?». Lui risponde: «Per molti motivi. Il primo è che nessuno conosce davvero che cosa accada in quel palazzo. Quali sono gli obiettivi di chi ci lavora? Che intendono fare dell’Italia e del potere che hanno raccolto per strada, grazie a un insieme di circostanze oscure e senza essere eletti da nessuno? Ma la ragione più forte è un’altra. Come nel vero Cremlino, la fortezza di molti leader sovietici e oggi di Vladimr Putin, anche quello di largo Chigi è abitato da una persona sola che sta diventando sempre più potente».

La persona sola è Matteo Renzi, il nostro premier. Non esiste ancora un’analisi spassionata del leader fiorentino. Tuttavia qualche elemento del suo identikit lo conosciamo. Ha un alto concetto di sé. L’autostima non ha incertezze. È tutto preso dalla propria volontà e intelligenza. Non assomiglia a nessuno dei leader della Prima Repubblica. Neppure Alcide De Gasperi o Palmiro Togliatti erano come lui. Soltanto Amintore Fanfani, un altro toscano, ma di Arezzo, presentava gli stessi difetti: l’arroganza, il fastidio sprezzante per le lungaggini del Parlamento, la convinzione di essere il meglio del meglio. Era sicuro di vincere sempre. Poi incontrò la disfatta nel referendum contro il divorzio. Matteo rifletta.

È il carattere a suggerire a Renzi la forma di governo che preferisce. L’ha spiegata più volte e l’ha ripetuta nell’ultima, importante intervista a Marco Damilano dell’Espresso. Ha detto: «Per il governo io ho in testa il modello di una giunta che funziona con un forte potere di indirizzo del sindaco». In apparenza la parola «giunta» è innocua. Ma pronunciata dal nostro premier assume un significato equivoco. La politica mondiale ne ha conosciute molte di giunte, comprese quelle dei militari golpisti. E dal dopoguerra in poi abbiamo visto molti leader autoritari che sostenevano di essere soltanto gli amministratori della loro nazione. 

Sindaco d'Italia - Renzi si presenta come il sindaco d’Italia. Ma non ha nulla di chi si accolla la difficoltà di lavorare per i cittadini. Lui lavora per se stesso. Matteo è il centro della vita di Matteo. È un logorroico, capace di pronunciare un’infinita quantità di parole. Si sente un gigante tra i nani. È un cinico senza limiti, lo ha dimostrato nella conquista volpina di Palazzo Chigi, attuata con l’assassinio politico di un premier del suo stesso partito. È un campione della promessa a vuoto, dell’annuncio senza costrutto, dell’ottimismo predicato in ogni istante. Sempre a velocità folle.

Un vecchio motto dice: puoi illudere uno per un’infinità di volte e puoi illudere tutti una volta sola. Ma non puoi ingannare tutti ogni volta. Renzi non si cura di questa regola saggia. Nel Cremlino di Matteo domina la strafottenza. La parola renzista è sostanza. Le promesse si avverano da sole. Il suo verbo non ammette dubbi e meno che mai resistenze. Pensa di avere la meglio su tutto e su tutti. Il dissenso è un atteggiamento proibito che rasenta il reato. La regola è una sola: obbedire o tacere. La sottomissione di chi gli sta accanto è la virtù indispensabile per sopravvivere. Lo dimostra la sorte dei ministri di Renzi. Un critico sorprendente, il direttore del Foglio Claudio Cerasa, venerdì ci ha spiegato che non contano quasi nulla. Tranne una: la ministra per le Riforme costituzionali, Maria Elena Boschi, che ha ottenuto persino un ufficio all’interno del Cremlino. Gli altri e le altre, nel giro di appena un anno, appaiono comparse.

La ministra Maria Carmela Lanzetta aveva l’incarico degli Affari regionali, ma è sparita, oggi sta da qualche parte in Calabria. La ministra della Difesa, Roberta Pinotti, voleva invadere la Libia, ma il premier l’ha bacchettata sulle dita e ridotta al silenzio. La stessa sorte è toccata al ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che ha parlato ignorando le intenzioni del premier. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, non sapeva nulla del decreto fiscale. La ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini, è stata messa nell’angolo da Renzi sulla questione dei professori da assumere. Si è dichiarata «basita», ossia stupefatta, ma non ha trovato il coraggio di dimettersi.

Un sindaco «dal forte potere d’indirizzo» può preoccuparsi dei suoi assessori? Ma non scherziamo! Il premier tiene conto soltanto della cerchia ristretta degli uomini di mano, a cominciare dal sottosegretario Luca Lotti, il meno raccontato dai media, uno sconosciuto. Un gradino più sotto stanno i consiglieri, primo fra tutti Andrea Guerra, già amministratore delegato di Luxottica. Sono figure difficili da definire. Senza un profilo istituzionale certo, il loro potere è uno stato di fatto. Contano perché il premier ha deciso così. Almeno per oggi. 

Nel vero Cremlino sovietico accadeva di peggio. Una ministra ripudiata come la povera Lanzetta sarebbe finita in un gulag siberiano. La Federica Mogherini, spedita in Europa con un incarico di cartapesta, prima di partire per Bruxelles avrebbe fatto un corso rapido di rieducazione nel collegio della Lubianka, la polizia segreta. Il Cremlino di Renzi è meno sanguinario. Qui bisogna soltanto dire di sì, oppure tacere. E se non sei disposto al silenzio, non ti resta che accomodarti fuori dall’uscio.

Comunque sia, la vita all’interno di Palazzo Chigi potrebbe essere soltanto un affare del giornalismo d’inchiesta. Non è una specialità oggi molto diffusa, ma in fondo i media non sono l’unica arma da usare per mettere in sicurezza una democrazia. Il vero interrogativo che ci dobbiamo porre è se il modello Cremlino possa espandersi nei rapporti fra il cittadino e il potere politico. Qui arriviamo al dunque. Ossia alla domanda delle domande: il forte «potere d’indirizzo» che connota il renzismo può mutarsi in qualcosa di peggio?

Domanda delle domande - Per peggio intendo una democrazia che, giorno dopo giorno, si incammina verso una mutazione profonda che ha un unico traguardo: il regime di un uomo solo al comando. Sappiamo che Renzi irride quanti ne parlano. Ritiene che sia una fantasia malata fatta circolare da Renato Brunetta, l’oppositore più tenace nel giro di Silvio Berlusconi. Eppure il quesito non è ozioso. Se al Cremlino ci sta un signore che si ritiene investito di una missione storica e non ha modi cortesi, anzi è molto vendicativo, il risultato è fatale. Qualunque centro di potere, burocratico, economico, giudiziario o culturale, prima di prendere una decisione vorrà sentire l’opinione del premier. Tanti si arrendono senza avere il coraggio di combattere. E consegnano all’uomo del Cremlino la loro libertà.

Siamo già di fronte a una democrazia dimezzata. Una condizione che può soltanto peggiorare. Per una circostanza che sta sotto gli occhi di tutti. Il modello Cremlino, ovvero il renzismo nella versione più dura, non ha oppositori. La destra e la sinistra mostrano le stesse pulsioni suicide. All’interno dei loro fortini sempre più fragili, si insultano, si combattono, si distruggono. La loro stupidità rasenta il tradimento. Sono le quinte colonne del generalissimo calato in armi da Firenze. Non s’illudano: dentro Palazzo Chigi è già pronto il mattatoio dove verranno decapitate

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