Visualizzazioni totali

lunedì 5 giugno 2017

I giudici lo mandano a casa "Riina deve morire sereno" Il regalo al boss dei boss

La Cassazione apre ai domiciliari per Totò Riina: "Malato, deve morire sereno"



Valutare nuovamente se sussistano o meno i presupposti per concedere a Totò Riina il differimento della pena o gli arresti domiciliari per motivi di salute. È quanto ha disposto la Cassazione, che, accogliendo il ricorso presentato dalla difesa del boss di Cosa nostra, ha annullato con rinvio la decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna che aveva detto ’no' alla concessione di tali benefici penitenziari, nonostante le gravissime condizioni di salute in cui Riina versa da tempo.

LA PROSPETTIVA SVIZZERA SULLE OBBLIGAZIONI.

Obbligazione Tasso Fisso in Pesos Messicani. Disponibile su Borsa Italiana 



Il giudice bolognese aveva ritenuto che le «pur gravi condizioni di salute del detenuto» non fossero tali da «rendere inefficace qualunque tipo di cure» anche con ricoveri in ospedale a Parma (nel cui penitenziario Riina è recluso al 41 bis) e osservato che non erano stati superati «i limiti inerenti il rispetto del senso di umanità di cui deve essere connotata la pena e il diritto alla salute». Il tribunale di sorveglianza di Bologna, invece, metteva in evidenza la «notevole pericolosità» di Riina, in relazione alla quale sussistevano «circostanze eccezionali tali da imporre l’inderogabilità dell’esecuzione della pena nella forma della detenzione inframuraria».

Oltre all’«altissimo tasso di pericolosità del detenuto», il giudice ricordava «la posizione di vertice assoluto dell’organizzazione criminale Cosa nostra, ancora pienamente operante e rispetto alla quale Riina non ha mai manifestato volontà di dissociazione»: per questo, osservava il tribunale bolognese, era «impossibile effettuare una prognosi di assenza di pericolo di recidiva» del boss, nonostante «l’attuale stato di salute, non essendo necessaria, dato il ruolo apicale rivestito dal detenuto, una prestanza fisica per la commissione di ulteriori gravissimi delitti nel ruolo di mandante».

La prima sezione penale della Suprema Corte, con una sentenza depositata oggi, ha ritenuto fondato il ricorso, definendo «carente» e «contraddittoria» la decisione del tribunale di sorveglianza, che ha omesso di considerare «il complessivo stato morboso del detenuto e le sue generali condizioni di scadimento fisico»: affinchè la pena non si risolva in un «trattamento inumano e degradante», ricordano i giudici di piazza Cavour, lo «stato di salute incompatibile con il regime carcerario, idoneo a giustificare il differimento dell’esecuzione della pena per infermità fisica o l’applicazione della detenzione domiciliare non deve ritenersi limitato alla patologia implicante un pericolo per la vita della persona, dovendosi piuttosto - si legge nella sentenza - avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare un’esistenza al di sotto della soglia di dignità che deve essere rispettata pure nella condizione di restrizione carceraria».

Nessun commento:

Posta un commento