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lunedì 12 settembre 2016

L'intervista - "Come lo hanno ridotto in cella" Lo strazio della moglie di Dell'Utri

"Come lo hanno ridotto": lo strazio della moglie di Dell'Utri


intervista di Simona Voglino Levy



Signora Dell’Utri, come sono le condizioni di suo marito dopo il recente ricovero?

«Ha rischiato molto. Ora la fase acuta è superata. Ma le patologie diagnosticate sono croniche e gravi e potrebbero peggiorare. Sa cosa dice sempre Marcello?».

Mi dica…

«Ho il morale sotto i piedi ma cerco di non calpestarlo…».

Beh: non ha perso il suo senso dell’umorismo, possiamo dire?

«Possiamo dire di no. Per fortuna».

Da Parma, carcere di massima sicurezza, dopo il ricovero lo hanno trasferito a Rebibbia: cosa è cambiato?

«Rebibbia è certamente meglio, sono meno intransigenti, più cordiali e ci è consentito vederlo di più. Anche se il regolamento carcerario è folle: quando è nato il primo nipote abbiamo chiesto un permesso speciale perché mio marito potesse vederlo».

E?

«Gli è stato negato. E poi le limitazioni che abbiamo incontrato per portare il piccolo sono quasi umilianti».

Per esempio?

«Il passeggino non può essere introdotto, va lasciato in uno spazio di igiene dubbia. Finché il bimbo veniva allattato il disagio era relativo, ma poi è diventato complesso: il tempo di attesa per il colloquio è di circa due ore, mia figlia si teneva il piccolo in braccio senza la possibilità di avere un fasciatoio per cambiarlo, se non negli stanzini dove avvengono i controlli. Durante lo svezzamento, non sapendo mai quanto sarebbe durata l’attesa, ci sarebbe stato bisogno di portare omogeneizzati o biscotti, ma non sono consentiti nemmeno quelli. Nemmeno se sigillati. E poi altre limitazioni assurde».

Altri esempi?

«Si possono chiedere solo tre giornali. Ma non di domenica. Idem con i libri. Non se ne comprende la motivazione».

Suo marito si è anche iscritto all’Università, giusto?

«Sì, a storia. Ora dovrà dare l’esame di Storia medioevale».

Ma come funziona?

«Avrebbe dovuto sostenerlo a Parma, la commissione sarebbe dovuta andare lì, ma poi è stato ricoverato».

Che rapporto ha suo marito con gli altri detenuti?

«Di cordialità anche per la sua preparazione culturale. Aiuta anche alcuni di loro».


Come? 

«C’è chi ha fatto solo le elementari e in carcere cerca di laurearsi e lui li aiuta nello studio. Per qualcuno ha scritto lettere d’amore indirizzate alle rispettive compagne e anche poesie».

Una cosa molto carina…

«Sì. Un detenuto gli ha costruito una mensola fatta con i pacchetti di sigarette e il Vinavil, è la mensola che usa per gli oggetti del bagno. E poi è arrivato un nuovo vicino di stanza che ha vinto un torneo di scacchi a Regina Coeli ed ha voluto fare una partita con mio marito».

E com’è andata?

«Prima ha vinto Marcello. Poi hanno fatto una rivincita e ha perso. Ora aspettiamo la bella (sorride, ndr). A Parma gli avevano dato la possibilità di rimettere a posto la biblioteca. Ma lui voleva fare davvero il bibliotecario, voleva lo scambio con le persone. Cosa difficile in regime di alta sicurezza».

Quindi?

«Lo faceva dalla finestra: promuoveva le letture in cambio di caramelle».

Oggi è il suo compleanno, ha permessi speciali?

«Nessuno. Non può nemmeno telefonare, nessuno di noi potrà sentirlo. Non vengono autorizzate telefonate e questo non si capisce non tanto nei confronti di Marcello Dell’Utri, ma come regola generale. La telefonata, tra l’altro, è anche a carico del detenuto. Vorrei sapere: è questa la logica rieducativa?».

In effetti…

«Può essere questa la logica rieducativa che segue la nostra Costituzione? Oltre alla punizione e alla mancanza della libertà c’è anche l’isolamento rispetto alla famiglia. Indipendentemente dal reato commesso: qual è la logica?».

Ecco, ma a chi lo chiede?

«Alla politica».

E chi, in politica, se ne occupa di fatto?

«L’unico che si è occupato dei diritti dei detenuti è stato Marco Pannella con il Partito Radicale. Spero che adesso, dopo la sua morte, ci sia qualche altra anima pia che dia seguito. Una delle colonne portanti di un Paese dovrebbe essere la giustizia e non mi sembra che la giustizia in Italia sia all’altezza di un Stato civile e democratico. Mi auguro che qualche forza politica, indipendentemente dalla quantità di voti che può raccogliere, porti avanti questo discorso di civiltà e dignità dell’uomo. E non farlo vuol dire anche gravare sui soldi dei cittadini italiani».

In che senso?

«Quando una persona non viene rieducata, significa che tiene come unico datore di lavoro il crimine, dal primo giorno in cui entra fino alla morte. Entrano delinquenti ed escono peggio. E sa anche chi vorrei ringraziare?».

Mi dica, Signora…

«Michele Santoro. E vorrei anche fargli i complimenti, sinceri e sentiti».

Addirittura. Per cosa?

«Sì. Perché ha presentato a Venezia un documentario sul problema della criminalità napoletana. Un lavoro davvero ben fatto: chapeau. Come cittadina italiana, lo ringrazio. E vorrei fargli una richiesta».

Dica pure…

«Quella di continuare a cercare di sensibilizzare l’opinione pubblica su due questioni».

Quali?

«L’opinione pubblica dovrebbe cambiare mentalità: quando uno finisce in carcere non bisogna chiudere e buttare la chiave. La pena dovrebbe essere rieducativa. E per farlo bisognerebbe organizzare dei dibattiti per le persone. Chiederei a Santoro di fare degli incontri in televisione sulla questione. E sa anche a chi lo chiederei?».

A chi?

«Alla Rai. Che dovrebbe fare servizio pubblico e questo sarebbe un buon modo per farlo».

Quanti anni compie suo marito?

«Oggi, 75».

Quanti ancora deve scontarne?

«Due e mezzo, circa».

Cosa gli augura per questo 75esimo compleanno?

«Intanto ringrazio voi per avermi dato questa opportunità. Un augurio? Quello di continuare con la stessa forza perché arriveranno tempi migliori e noi tutti siamo qui ad aspettarlo».

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