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lunedì 16 febbraio 2015

Marò, tre anni di vergogna italiana E dal governo tutto tace

I marò tre anni di vergogna E dal governo tutto tace


di Chiara Giannini 


Tre anni, ovvero millenovantacinque giorni stretti nella morsa di un incubo che pare interminabile. Avvolti da questa cappa di silenzio imposto dall’ennesimo governo che dice «lasciateci lavorare», ma che poi, di fatto, non fa niente per arrivare alla definitiva risoluzione di una vicenda ormai assurda. Paradossale fino in fondo, perché non si possono scontare tre anni di reclusione senza processo - di più, senza neanche un ben definito capo d’accusa. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono vittime dello Stato, prima che dell’ingiustizia indiana. Solo per aver avuto la sfortuna, quel 15 febbraio del 2012, di trovarsi a bordo della Enrica Lexie, il mercantile sul quale erano operativi assieme ad altri quattro fucilieri del San Marco che componevano il team antipirateria. I pirati arrivarono, come capita di frequente nelle acque dell’Oceano Indiano. Qualche colpo di avvertimento partì dalla nave, gli aggressori fuggirono. Ore dopo la Guardia costiera indiana li richiamò in porto a Kochi: «Hanno ucciso due pescatori del St Antony», questa l’accusa. Peccato che quel barchino, dalla Lexie, non lo avessero mai visto, e che in un andirivieni di versioni fornite e poi ritrattate, l’armatore Freddy Bosco corresse più e più volte quanto dichiarato inizialmente. Ovvero che l’incidente era avvenuto in un orario completamente diverso da quello poi riportato da tutti: dall’Imo (International marittime organization), dalla Marina militare, dall’armatore della nave italiana, dagli stessi marò.

Così Max e Salvo, come tutti sono ormai abituati a chiamarli, da tre lunghi anni vivono da prigionieri in mano straniera. Vero, Latorre ora è a Taranto, e però in attesa di capire se ad aprile, una volta scaduto il permesso concesso dall’India per motivi di salute, dovrà far rientro a New Delhi. Girone vive invece là, all’interno dell’ambasciata italiana. Entrambi di fatto abbandonati dalla politica, ma certo non dai cittadini comuni, dalle associazioni combattentistiche e d’arma e da molti esponenti del mondo militare. Resta il fatto che tre ministri della Difesa e cinque degli Esteri non sono riusciti a riportarli a casa. Non c’è riuscito l’inviato speciale Staffan de Mistura, non c’è riuscita l’Europa, non gli ambasciatori. Solo qualche brillante generale è stato capace di trattare per farli rientrare a votare, a febbraio 2013. Ma i giochi politici che portarono anche alle dimissioni dell’ex ministro Giulio Terzi completarono il quadro dell’incapacità diplomatica dell’Italia e i due marò dovettero far rientro a New Delhi.

Girone, da allora, non ha più messo piede sul suolo patrio, Latorre solo per curarsi dopo l’ictus che lo ha colpito a fine agosto, ma vive una vita in attesa. «Che cosa volete che dica? Mi auguro che tutto questo finisca presto - spiega a Libero Paola Moschetti, compagna di Massimiliano -. E incredibile, sono passati tre anni, oraentriamo nel quarto: per noi familiari è sempre più dura. Più che altro è quest’aria di incertezza. È un’ingiustizia che continua, il silenzio non aiuta». Prende fiato, poi prosegue: «Massimiliano migliora lentamente, sta seguendo le terapie all’ospedale militare. Abbiamo preso un cane, un piccolo carlino che ha un mese e che abbiamo chiamato Napoleone. Perché? Perché Giuseppina Bonaparte aveva proprio un carlino, l’unico che sapesse tener testa alll’imperatore, che riusciva a spodestarlo dalla sua sedia e mandarlo fuori dalla stanza. Ci ha fatto simpatia, Max lo adora». Mentre all’Inddia il nostro governo ha dimostrato di non sapere tener davvero testa. «Tre anni di sofferenza, vergogna, dolore e malattia - aggiunge Marco Cicala, del Cocer Interforze - che due cittadini italiani e due servitori dello Stato si trovano ad affrontare solo per aver servito il proprio Paese. Ma non sono soli, tutte le donne e gli uomini in uniforme sono con loro». Concetto ribadito da Terzi, da Elio Vito (Fi), Ignazio Larussa (Fdl), così come dal Gianluca Pini (Lega Nord), che parla di «tre anni di fallimenti di governi che meriterebbero di finire a processo per alto tradimento». Certamente quello dei marò, visto che dopo tanto tempo ancora non si vede la fine.

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