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domenica 5 ottobre 2014

Tfr anticipato, Squinzi contro Renzi: "Sarà un vantaggio solo per il Fisco Chiuderanno tante piccole imprese"

Tfr, Squinzi contro Renzi: "Ne beneficia solo il Fisco. Spariranno 12 miliardi delle piccole imprese"




Tornano ad allontanarsi le strade di Confindustria e Governo. Dopo un lungo corteggiamento, gli industriali voltano le spalle a Matteo Renzi tutto d’un colpo. La goccia che ha fatto traboccare il vaso pare sia stata la notizia apparsa sul 'Corriere della sera', secondo cui il Governo intenderebbe far uscire dall’associazione degli industriali Enel, Eni, Poste e Finmeccanica. Se a questo carico da novanta che per viale dell’Astronomia vale 25 milioni, si aggiungono l’intervento su Tfr e la nuova modifica al job act, oltre al possibile aumento dell’Iva, era logico aspettarsi da Giorgio Squinzi un attacco al Governo. Che oggi è puntualmente arrivato dal palco napoletano del Forum della piccola industria, la categoria più colpita dall’intervento sul trattamento di fine rapporto. «Per quel poco che si è capito finora dall’annuncio di un intervento sul Tfr, l’unico reale beneficiario di questa operazione sarebbe il Fisco - ha detto Squinzi nel suo intervento alla Città della Scienza - l’ipotesi sul tfr fa sparire con un solo colpo di penna circa 10-12 miliardi per le imprese italiane, se questa è la strada che s’intende seguire la risposta è semplice. Ce l’ho già oggi: è no».

Questione fiscale - A poco sono quindi servite le parole del viceministro Carlo Calenda, che dallo stesso palco poco prima di Squinzi aveva rassicurato gli mprenditori che se si toccavano le risorse delle imprese non se ne faceva nulla. L’unica soluzione possibile in tal senso sarebbe usare i fondi della Bce per pagare il Tfr, ma qui era stato già ieri il leader della piccola impresa, Alberto Baban ad opporre un ancora più marcato rifiuto. In realtà però Squinzi le parole più dure al Governo le ha riservate su altri temi. «A chi governa il coraggio non difetta. È una gran dote che apprezzo» ma «il coraggio più utile e degno di fiducia, è quello in grado di stimare il pericolo da affrontare» ha detto il fondatore della Mapei. Squinzi poi ha anche chiarito come anche questo Governo, non mantenga le promesse: «Siamo in zona Cesarini per mettere mano seriamente alla questione fiscale. La delega che pareva essere avviata su un buon cammino si è persa. Approvata a marzo, sulla Gazzetta Ufficiale non è ancora approdato uno, dico un decreto attuativo». Il rischio è che non si faccia nulla anche sul fronte lavoro. Qui Squinzi è stato ancora più chiaro: «I passi fin qui fatti sono assai apprezzabili, per determinazione e coraggio. Non è stato facile, ne siamo consapevoli, ma non regaliamo l’ultimo miglio alla paura». «Non è una legge a creare occupazione. Sappiamo però che una legge malfatta i posti di lavoro può distruggerli» ha proseguito Squinzi ricordando che «la ragionevolezza consiglierebbe dunque di andare in una direzione che renda più facile creare il lavoro e meno costoso quello stabile e di qualità» aggiunge, «se si decide di cambiare come i tempi della crisi ci sollecitano, facciamo davvero, senza mediazioni che tolgano coraggio e senso al provvedimento». Un Governo quindi che sia ancora più deciso del solito, anche perché «non c’è da vincere solo la battaglia sul reintrego o meno, c’è un intera filiera della conservazione da battere, che è molto ben organizzata. Ed è efficiente». «La vera riforma è culturale, ed è convincere la parte del Paese che pensa solo a rivendicare diritti ormai inesigibili» ha aggiunto.

Europa ibrida - Senza contare che poi anche l’Europa sembra aver perso presa ed autorevolezza: «La corda del cieco e ostinato rigore è stata tirata troppo a lungo e così dall’Europa della convergenza si rischia di cadere in quella delle decisioni unilaterali». «La scelta francese apre un potenziale conflitto non solo con i rigoristi - ha aggiunto Squinzi riferendosi al mancato rispetto del patto di stabilità annunciato da Parigi - ma anche con i Paesi che hanno dovuto bere l’amara medicina del rigore e del commissariamento». Un’amarezza inedita verso Bruxelles, che travolge Squinzi: «Oggi facciamo fatica a sentirci europei. Anche un europeista convinto come me comincia a covare dubbi non sull’Europa, ma si come è stata costruita la casa europea finora - ha concluso - oggi abbiamo l’euro e poco altro, troppo poco».

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