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lunedì 16 febbraio 2015

Forza Italia, un "big" torna in campo: "Stiamo sparendo. Ora ci penso io..."/L'intervista

Antonio Martino: "Forza Italia si sta dissolvendo. Ma a risollevarla ci penso io"

Intervista a cura di Giancarlo Perna 



«Forza Italia è in dissolvimento. Appena smaltiti i postumi dell’influenza, mi impegnerò nel dibattito del partito per rimediare a una situazione di totale friabilità». È la prima cosa che mi dice Antonio Martino dopo i convenevoli. L’influenza cui si riferisce l’ex ministro, tessera numero due di Fi, essendo Silvio Berlusconi la numero uno, è di quelle che avrebbero atterrato un bufalo. Una settimana a letto, febbre a trentanove e spossatezza prossima al deliquio. «Ora tiro le cuoia, mi dicevo pensando ai miei settantadue anni mentre ero scosso da brividi», racconta di buonumore Martino, tornato in forma seppure con la raccomandazione medica di riguardarsi ancora per qualche giorno. Ha fatto uno strappo per venire nel suo ufficio di parlamentare di fronte a Montecitorio e sottoporsi all’intervista.

Dietro il vestito scuro con panciotto si intravedono le bretelle, ha il distintivo di Fi sul bavero della giacca e, seduto allo scrittoio, rappresenta a pennello la schiatta dei Martino, ministri degli Esteri da due generazioni. Lo fu il padre, Gaetano, negli anni ’50. Lo è stato lui, nel 1994, col primo governo Berlusconi. Esperienza che lo gratificò lasciandogli una maniacale cura dei dettagli, tra i quali spicca il rito della barba per il quale usa pennelli venuti apposta da Londra e un sofisticato rasoio con lama che surclassa quelle dell’Isis. Ancora di più gli piacque essere ministro della Difesa, sempre col Cav, tra il 2001 e il 2006. Dopo di allora la vita del professor Martino - già esimio docente di Economia alla Sapienza e alla Luiss - ha preso un andamento più quieto, conforme al suo carattere. Ora però, la sensazione di avere perso tempo con l’influenza in un momento critico per Fi, gli ha dato un fervore inusitato. «Sto pensando, caro dottore, di avere una colpa emendare: non ho mai fatto attività politica nel partito. Ho lavorato per me, secondo la mia indole individualista. Ma oggi Fi è in tale stato, senza una vera classe dirigente, da spingermi da subito a occuparmene».

«Che intende fare?», chiedo. «Inizierò da “Rivolta l’Italia”, movimento di cui sono cofondatore con Giuseppe Moles (giovane ex deputato, da un ventennio braccio destro di Martino, ndr), la cui finalità è quella di aggregare le anime liberali, ripeto liberali, di Fi. Nascemmo nel 1994 con l’obiettivo di diventare un partito liberale di massa. Abbiamo invece dirazzato, diventando altro. Mi batterò per tornare alle origini». «Mi compiaccio per l’attivismo», dico. «Si è ringalluzzito perché nelle settimane scorse il suo nome è stato fatto per il Quirinale?». «Mi ha fatto piacere. Ma non sono mancate ombre», replica. «Che ombre?», domando. «Silvio si è comportato malissimo. Quando ha proposto ai grandi elettori di Fi di votare il mio nome per il Colle c’è stato un applauso fragoroso. Poi però, uscito dalla riunione, ha cominciato a fare una gran pubblicità per Giuliano Amato, il suo vero candidato». «Si è sentito preso in giro?», domando. «Mi aveva appena proposto e già mi accantonava per un uomo di tutt’altra storia politica. Per di più, era recidivo. Una decina di anni fa, quando ero ministro della Difesa, gli Usa puntavano su di me come segretario generale Nato. Quando l’ambasciatore americano lo disse a Silvio, che allora era premier, lui replicò: «Perché non Amato?».

L’ambasciatore rispose: «Non ci siamo capiti. Noi non vogliamo un italiano. Vogliamo Antonio Martino». Declinai poi io stesso perché avevo da fare alla Difesa. Però...». «Ora che so il retroscena capisco la sua reazione di fronte al giornalista che le chiese quale sarebbe stata la sua prima mossa in caso di elezione al Quirinale. “Mi dimetterò”, fu la sua replica, sgarbata e non da lei. La verità è che era offeso?», chiedo. Martino si appoggia allo schienale e dice: «Sdrammatizzavo. Un modo per dire che non mi struggevo per andare al Quirinale. Sette anni sul Colle, come dice mia moglie Carol (americana, ndr), sono peggio di una condanna a morte. La battuta, “mi dimetterò”, non è nemmeno mia. Fu un autorevole deputato yankee, Buckley, che alla domanda: “Se fosse eletto sindaco di New York, che farebbe?”, rispose: “Chiederei di ricontrollare le schede”». Martino ride e io gli faccio compagnia.

Così, siamo finiti a Mattarella, cattocomunista, antiliberale, nemico del Cav.

«Un piccolo capolavoro di masochismo. Mattarella è garbato ma non vedo perché farlo presidente. Se si eleggessero tutte le persone garbate, sarebbe un mondo invivibile: non avremmo che cafoni in giro».

Solo adesso il Cav ha capito che Renzi è una lenza? 

«Dubito che ne avesse davvero fiducia. Altri lo hanno indotto ad accordarsi con Renzi per attenuare il danno che lo strapotere del Pd poteva arrecare a lui e alle sue imprese».

Le aziende sono il tallone di Achille del Cav. 

«Da quando lo hanno condannato, Silvio è stato preso dal terrore irrazionale di essere diventato povero. Un tempo regalava cravatte di Marinella. Oggi ha cambiato fornitore per risparmiare».

Lei come ha preso la rottura del patto del Nazareno?

«Era basato su due riforme sbagliate: l’Italicum e l’abolizione del Senato. Con l’Italicum, Renzi si farà un partito unico di centro, tipo Dc, circondato da una congerie di partitini. Con il nuovo Senato saranno rafforzate le Regioni che sono l’organo più corrotto dell’Amministrazione pubblica».

Ora, come niente fosse, il Cav ripudia tutto ciò che ha fatto con Renzi. 

«Non è il suo primo ripensamento. Fece voltafaccia anche ai tempi della Commissione per le riforme di D’Alema negli anni ’90».

Riconoscere gli errori non è nelle sue corde. 

«Per farlo dovrebbe avere la fiducia in se stesso che invece a Silvio manca. Paradossale per un uomo che ha fatto tanto come lui. La prova è che, oltre a circondarsi di complimentatori, vanta di continuo i propri successi».

L’amicizia che ha per lui non le fa velo.

«L’amicizia è senza veli».

Un leader tentennante e perdente è ancora un leader?

«Chi è incerto sulla linea da seguire, non è più un leader».

È il caso del Cav? 

«Non lo so. Con lui nulla è mai scontato. Certo, è imprigionato in una cerchia di persone che non valgono niente, a parte Dudù. Eliminati, invece, chi gli voleva bene: la segreteria Marinella, Valentino Valentini, il portavoce, Paolo Bonaiuti».

E col Nazareno ha perso metà elettorato.

«Senza contare tutti i nostri che non vanno più a votare».

Che motivo ha oggi un liberale per tifare Cav?

«Pochi. Ma, con l’antiliberalismo degli altri partiti, Fi resta ancora il luogo più ospitale per noi».

Il Cav è vero liberale? 

«Istintivamente, sì. Gli manca qualche lettura. Ha però due convinzioni profonde: è anticomunista e filoamericano. Entrambe essenziali, ma non sufficienti per dirsi liberali».

L’ha mai preso per il bavero per ricondurlo sulla retta via?

«Sarebbe inutile. Riesce ad ammansire chiunque. Fa il sorriso giusto, trova il giusto argomento. Alla fine molli».

Più il Cav declina, più si pensa stia in politica per le aziende, anche per la continua presenza di Fedele Confalonieri.

«Non l’ho mai pensato, neanche quando entrò in politica. Confalonieri c’è, perché è un cervello di prima classe. Sarebbe stato un ottimo uomo di governo».

Riallearsi con Angelino Alfano?

«Controproducente. L’elettore di Fi è rancoroso. Ha cacciato Gianfranco Fini senza appello. Allearsi con Alfano può diventare un autogol».

Matteo Salvini?

«Mi sembra un esagitato estremista. Inoltre, come alleato di Marine Le Pen non è l’ideale per uno che vota Fi. Sull’Ue però dice cose sensate, abbandono dell’euro a parte».

Renzi è la nostra ultima speranza?

«È una preoccupazione. Ha vitalità, eloquio e capacità di persuasione. Non ha però la stoffa del riformista solutore di problemi. Con una spesa dello Stato abnorme e le aziende tassate al 65 per cento contro il 41 della media Ue, non si rilancia l’economia».

Ha ancora voglia di fare politica?

«Mi basta mezzora alla Camera per perdere ogni voglia. C’è una costante, puntuale come gli acciacchi in vecchiaia: ogni legislatura è peggiore della precedente».

Se lascia che fa?

«Ho più musica che non ho potuto ascoltare e libri che non ho letto degli anni che mi restano da vivere».

Rivoluzione Mattarella al Quirinale: chi ha scelto per la poltrona più pesante

Quirinale, la rivoluzione di Sergio Mattarella: i nomi dei suoi uomini (e le riconferme)





Al Quirinale va in scena la rivoluzione firmata da Sergio Mattarella: tra lunedì e martedì il presidente della Repubblica completerà la sua squadra. Fari puntati su quella che è considerata la casella più importante e delicata, ossia quella di segretario generale attualmente ricoperta da Donato Marra. Secondo Il Messaggero, esclusi ribaltoni (improbabili) dell'ultimissima ora, il ruolo verrà ricoperto da Ugo Zampetti. Si tratta di un grande esperto di procedure parlamentari, per 15 anni segretario generale della Camera. Zampetti, dunque, dovrebbe bruciare la concorrenza di Alessandro Pajno, nonostante l'antica amicizia che lega quest'ultimo a Mattarella.

Altri rumors - Ci sono poi gli altri incarichi in via definizione. L'obiettivo dell'inquilino del Colle è il contenimento dei costi. Squadra snella, dunque. E ove possibile anche un ricambio generazionale, una volontà già dimostrata con la scelta del portavoce: Giovanni Grasso, 52 anni, giornalista parlamentare di Avvenire, starà al fianco di "Sergiuzzo" (al suo attivo anche una biografia su Piersanti Mattarella, il fratello del presidente ucciso dalla mafia). Nella stretta cerchia di Mattarella, inoltre, anche Simone Guerrini, ex segretario dei giovani Dc all'epoca in cui l'attuale inquilino del Colle fu ministro della Difesa, nel 1998. La poltrona di consigliere per i problemi dell'informazione è stata invece assegnata a Gianfranco Astori, altro fedelissimo di Mattarella e suo portavoce ai tempi dell'incarico alla Difesa, nonché ex direttore dell'agenzia Asca e più volte deputato dc e sottosegretario di governo.

Chi invece resta - C'è infine chi, al Quirinale, della squadra di Giorgio Napolitano verrà riconfermato. Tra questi Antonio Zanardi Landi, che dovrebbe restare nel ruolo di consigliere diplomatico. E ancora Giulio Cazzella come consigliere per gli Affari interni e per i rapporti con le autonomie. Non è neppure escluso che resti a tempo anche Rolando Mosca Moschini, attuale consigliere militare e del Consiglio supremo di difesa. Infine un "niet": nonostante le precedenti indiscrezioni, al Colle non dovrebbe arrivare il generale Giampaolo Di Paola, poiché già in pensione, e dunque non potrebbe essere richiamato.

Brunetta-show: lite in tv, poi fa strike Così massacra Casini, Monti e Fitto

Brunetta, show da Maria Latella: "Pier Ferdinando Casini chi?"





Un crescendo rossiniano. Un Renato Brunetta "forza nove", quello andato in scena nell'intervista concessa su Sky a Maria Latella. Si parte dal rituale bisticcio con la conduttrice. Si parla del complotto del rating e dell'inchiesta di Trani, e il capogruppo di Forza Italia attacca: "Perché non ne parlate? Perché non ne parla mai? Mi faccia una domanda". E Latella: "Se permette, qui, le domande le faccio io". Poi si parla di attualità politica, e Brunetta ne ha per tutti. Si parte da Raffaele Fitto: "Se sarà costretto a lasciare Forza Italia? Penso che tutti siano fondamentali in questa fase. Fitto è una grandissima risorsa per Forza Italia. Predicava attendismo nei confronti di Renzi, poi sulle riforme è stato superato dagli eventi". Poi si passa a Mario Monti, che ci ha lasciato dietro di sé solo "macerie", ma il meglio Renato lo dà quando si parla di Pier Ferdinando Casini. "Potrebbe tornare in Forza Italia?, chiede Latella. E Brunetta: "Casini chi? Chi? Non lo conosco. Non conosco questo Casini, guardi". C'è poi spazio per Denis Verdini, definito "la prima vittima di Renzi". Argomenta Brunetta: "Si era speso per il superamento della guerra civile strisciante e Renzi lo ha buttato via". Infine una battuta sul Patto del Nazareno, che "era alla base del riconoscimento reciproco anche nel fare le riforme costituzionali. È stato un anno duro e difficile di Nazareno e questo aveva come punto fondamentale l’elezione condivisa del presidente della Repubblica, Renzi ha stracciato questo patto per tenere insieme il suo partito".

Ombre a Sanremo, Ron guida la protesta: "Festival truccato, annullati dei voti a..."

Festival di Sanremo, Ron guida la protesta: "Il televoto era truccato"





Dopo quelle sul televoto, altre - gravi - ombre sul Festival di Sanremo. Ombre delle quali si fa portavoce niente meno che Ron. Ma procediamo con ordine. Quello che è successo potrebbe ricalcare ciò che avvenne parecchi anni fa con Elio e le storie tese, che nel 1996, con La terra dei cachi, si sussurra fossero stati "defraudati" dalla vittoria, poi andata a Red Ronnie e Tosca. Ma, si diceva: ombre sul Festival. Infatti a poche ore dalla vittoria de Il Volo è giallo sui trionfatori. Anzi, è giallo su Nek. E non solo per quello strano errore della classifica (era comparso al nono posto, poi è arrivato secondo), ma soprattutto perché su Twitter corre il sospetto. C'è stata infatti una pioggia di tweet di protesta di persone il cui voto via sms per Nek - a televoto ancora aperto - non è stato accettato. Una pioggia di tweet zelantemente rilanciati da Red Ronnie, che come detto si è dunque fatto paladino della protesta. I tweet avevano già iniziato ad arrivare verso la fine dell'ultima puntata di Sanremo, e alcune persone segnalavano come anche dei voti in favore de Il Volo venissero rifiutati. Un caso sul quale dovrà fornire qualche spiegazione Nando Pagnoncelli, presidente Ipsos, la società che ha gestito i meccanismi di voto. Per inciso, l'annuncio della vittoria de Il Volo, è stata accolta da sonori fischi all'Ariston e dal disappunto in sala stampa.

Le spiegazioni - E qualche spiegazione, poi, nella conferenza stampa è arrivata. A parlare è stato Giancarlo Leone, il direttore di Rai1, che ha spigato: "Quest’anno il televoto è stato molto più massiccio degli altri anni. Ieri sera ci sono stati 700.000 voti  in tre ore e poi lo stesso numero di voti in 20 minuti e questo avrebbero ingenerato i problemi. Una sorta di imbuto e alcuni voti sarebbero andati in tilt". Questa la replica a chi gli chiedeva conto dei voti "rifiutati". Quindi anche una spiegazione all'errore sulla classifica in cui per qualche istante si è visto Nek al nono posto: "Voglio chiarire che i dati Ipsos sono giunti in maniera corretta. L’errore nella visualizzazione della classifica dei 16 finalisti è stato generato da un conflitto di numeri sul computer tra codici dei cantanti e posizioni in classifica

domenica 15 febbraio 2015

L'orrida profezia dell'uomo che ci ha portato nell'euro Prodi senza vergogna: "Cosa succederà all'Italia..."

Romano Prodi al quotidiano tedesco Bild: "La Grecia non pagherà mai i debiti e può uscire dall'euro"





La Grecia non pagherà i suoi debiti e se rimarrà nell'euro solo il tempo potrà dirlo. A dirlo è l'uomo che ha trascinato l'Italia nell'euro e si è bevuto i conti farlocchi della Grecia. Ora il bronzeo professor Romano Prodi ci regala preziose lezioni su quanto il continente stia inguaiato in un'intervista al quotidiano tedesco Bild.

Eurofregati - La mazzata beffarda arriva già alla seconda risposta, quando il giornale tedesco chiede se in cambio di denaro fresco per la Grecia ci devono essere condizionalità? "Le condizionalità devono mantenersi in un quadro realistico - risponde l'ex presidente della Commissione Ue - Tutti sanno che la Grecia non pagherà mai i suoi debiti". La via da seguire per il Professore è fare come per la Germania dopo la Seconda guerra mondiale: "Non si può certo paragonare direttamente la Germania e la Grecia - chiarisce - Fu però molto saggio dal punto di vista politico tagtliare gran parte del debito della Germania nella conferenza di Londr del 1953. Grazie a questo la Germania ha otenuto la possibilità di crescere". Prodi quindi immagina si possa trovare un compomesso tra i creditori internazionali e la Grecia per esempio prorogando le scadenze o abbassando i tassi di interesse. Ma lui stesso crede che questa soluzione sia solo "un certotto" e quindi ci vuole "una decisione definitiva".

Senza rimorsi - Non ammette errori l'allora capo della commissione europea, la colpa era del sistema che non prevedeva controlli sui bilanci, né prima né dopo l'ingresso nella moneta unica. Tutta colpa, dice Prodi: "Di Italia, Germania e Francia". Ed è sempre colpa della Germania secondo Prodi se l'eurozona è stata travolta dalla crisi del 2010: per motivi elettorali, i tedeschi della Cdu non hanno permesso di "adottare misure che sarebbero costate solo tra 30 e 40 miliardi di euro".

Fuori la Grecia - Quel che deciderà di fare Alexis Tsipras nei confronti dell'eurogruppo rimane un'incognita: "Tutto si può immaginare - si sbilancia Prodi - Ma se la Grecia uscisse, il mondo avrebbe davanti ai suoi occhi la certezza che l'euro potrebbe fallire in ogni momento".

"I parlamentari M5s si dimettano tutti": la follia di Grillo per far cadere Renzi

M5s, Beppe Grillo: "Dimissioni di massa per far cadere il governo di Matteo Renzi"





L'ultimo delirio pentastellato. Certo, il fine è pur nobile - bloccare le confuse riforme costituzionali di Matteo Renzi portate avanti a colpi di maggioranza - ma la strada proposta dal grande leader Beppe Grillo è quasi comica. Sul blog spiega: "Se anche in uno solo dei due rami del Parlamento (ad esempi al Senato) si raggiungesse la metà più uno dei dimissionari (tenendo conto solo di quelli elettivi e non dei senatori a vita) sarebbe pressoché automatico lo scioglimento di quella Camera e, a ricaduta, dell'altra". Dunque Grillo minaccia le dimissioni di massa come extrema-ratio per far cadere il governo Renzi, invocando prima e sempre sul suo blog un intervento del presidente Sergio Mattarella.

Scetticismi - Nemmeno i grillini mostrano di credere all'intemerata del leader Beppe. A parlare è Roberto Fico, membro del direttorio pentastellato, che spiega: "Noi siamo sempre pronti a dimetterci se possiamo far cadere un Parlamento che non rappresenta più nessuno, ma questi sono più sogni che realtà". E ancora: "In questo Paese è fuorviante parlare di opposizione, poiché dopo quasi due anni di Parlamento abbiamo constatato che oggettivamente l'unica opposizione vera è quella del M5s". Comunque, anche tra i pentastellati, c'è chi crede a Beppe. Per esempio il deputato Alfonso Bonafede, che rilancia l'appello alle altre opposizioni: "Noi siamo pronti a dimetterci. Certo, questo ha un senso se tutte le opposizioni lo fanno. Quindi chiedo alle altre forze di opposizione di seguirci".

Il golpe di Renzi nel cuore della notte Riforme approvate nella Camera deserta

Riforme, nella notte passa il testo





Sono andati avanti con l'aula mezza vuota fino alle 2.45 del mattino. Finchè nel cuore della notte l'aula della Camera ha ultimato  l’esame degli emendamenti al disegno di legge di Riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione, approvando gli articoli del provvedimento. Il voto finale al testo è previsto a inizio marzo.

"Grazie alla tenacia dei deputati", ha scritto il premier Matteo Renzi su Twitter. "Un abbraccio a #gufi e #sorciverdi". Una replica, da bullo, al capogruppo di Forza Italia a Montecitorio, Renato Brunetta, che ieri aveva appunto minacciato il premier di fargli vedere "i sorci verdi" quando tutte le opposizioni avevano abbandonato l'aula. Giovanni Toti, di Forza Italia: «Abbiamo lasciato l'Aula tutti, anche quelli che avevano disertato l'ultima riunione dei gruppi. Chi diceva, dentro e fuori FI, che la nostra era una sterile opposizione, è stato smentito dai fatti». Aggiungendo: «Io spero davvero che cessi questo sterile dibattito, questo continuo controcanto. Bisogna smettere di delegittimare il partito».