Visualizzazioni totali

martedì 10 febbraio 2015

Panico tra i furbetti del lavoro: spuntano gli 007 anti-assenteisti

I datori di lavoro si difendono: chiamano gli investigatori privati per incastrare gli assenteisti






In questo periodo di crisi, nessuna azienda può permettersi di pagare uno stipendio a chi non lavora, o fa finta di lavorare. Un concetto che a prima lettura sembra brutale, che non viene però dai politici o dai ministeri, bensì dai liberi professionisti. La soluzione che i privati stanno da tempo adottando è l'utilizzo di investigatori privati, in quanto dicono di sentirsi "abbandonati dallo Stato".

Sorvegliare i sospettati - Le indagini sugli "infedeli, come riporta il Giornale, partono dall'analisi dei cellulari e dei profili social network, metodi quindi inizialmente molto semplici che già permettono di smascherare i furbetti. Marzio Ferraro, ceo dell'agenzia Phersej, afferma che il 40% delle indagini aziendali si concentra sull'assenteismo dei dipendenti. L'obbiettivo è trovare prove documentali che possono essere utilizzate per il giudizio dell'azienda, che provvederà al licenziamento o meno del dipendente. La stessa Cassazione ha ribadito che è legittimo licenziare un dipendente che, in malattia svolge attività non compatibili con la patologia stessa.

Dati interessanti - Il 90% dei casi di sospettato assenteismo, viene confermato dopo le indagini. I mandati per il controllo dell'assenteismo nel 2014 sono cresciuti del 7%. Nel settore pubblico, secondo i dati che arrivano dal ministero, le assenze sono calate del 5%; anche se, dal conteggio, rimane fuori la scuola pubblica, un settore ad alta densità. Il dato più interessante riguarda la differenza di rilascio di certificati medici dal 2011 al 2013: l'aumento del dato nell'amministrazione pubblica è del 27%, mentre per il privato solo del 1%. Per non parlare dei puniti, che solo solo 1 su 15 mila furbetti.

Popstar, divi di Hollywood e 3 big italiani Chi ha conti in Svizzera: i nomi dei vip

Lista Falciani, i settemila italiani con conti in Svizzera





Un'inchiesta esplosiva sulla lista Falciani, l'elenco dei centomila clienti che hanno depositato denaro  in Svizzera, nei forzieri della filiale elvetica della britannica Hsbc. Tra questi ci sono settemila italiani. L'elenco è nelle mani dell'Espresso e di altri 44 giornali in tutto in mondo E' stata svelata dall'International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), il network di giornalismo investigativo con sede a Washington. Dall'inchiesta è venuto fuori un dossier di oltre 100mila clienti di più di 200 paesi con 81mila conti censiti dall'Iban tra il 1998 e il 2007.  Si è scoperto così che settemila italiani, nel 2007 custodivano circa sei miliardi e mezzo di euro. Tra questi due Valentino: lo stilista e Valentino Rossi, poi ci sarebbe, stando alle prime indiscrezioni, anche Flavio Briatore. Al di là dei nomi dei clienti vip, emergono i rapporti "imbarazzanti" della filiale svizzera della banca privata inglese: mercanti d'armi, esportatori di diamanti di contrabbando, narcotrafficanti, sospetti finanziatori dei terroristi di Al Qaeda, tutti accomunati da un gigantesco sistema di evasione fiscale di massa. 

I nomi degli italiani - In particolare, "Valentino aveva negli anni '06-'07 oltre 100 milioni di euro sui conti della Hsbc; per l'ex patron del Billionaire, 73 milioni in nove diversi conti; mentre il Dottor Rossi aveva 23 milioni". Nota importante: la presenza di alcuni nomi nell'inchiesta, precisa il consorzio Icij, non significa automaticamente che abbiano commesso reati, o che non abbiano regolarizzato la loro posizione con i rispettivi governi. Il legale di Briatore, Philippe Oukra, ha spiegato: "Quelle cifre risalgono a più di 10 anni fa con la conseguenza che il signor Briatore non è in grado di confermare o negare i dettagli delle vostre asserzioni. Il signor Briatore può confermare che lui e alcune sue compagnie - alcune delle quali erano guidate dalla Svizzera - hanno tenuto alcuni conti bancari in Svizzera, in modo perfettamente legale e rispettando tutte le leggi e regolamenti fiscali". Sui cinque conti ancora aperti nel 2008 il legale ha risposto che "il signor Briatore non farà ulteriori commenti".

Da Hollywood alle case reali - Per quanto riguarda gli altri nomi ci sono il re del Marocco Moahmmed VI e quello di Giordania Abdallah, ma anche la modella Elle Macpherson, cantanti come Tina Turner e Phil Collins, il pilota di Formula 1 Fernando Alonso, gli attori John Malcovich, Joan Collins e Gad Elmaleh, la famiglia del potentissimo banchiere spagnolo del Banco Santander Emilio Botìn, morto nel 2014. 

L'inchiesta - L'inchiesta nasce da Hervé Falciani, l'impiegato informatico alla Hsbc di Ginevra che tra il 2006 e il 2008 ha ricopiato su cd-rom i dati di tantissimi clienti dalla banca consegnandoli alla Francia. Nel 2010 a sua volta Parigi ha "girato" la lista ad altri paesi. La Svizzera ha chiesto l'estradizione di Falciani che dovrebbe essere processato nel paese elvetico con l'accusa di spionaggio economico, sottrazione di dati e violazione del segreto bancario.

domenica 8 febbraio 2015

Bechis: da Mediaset ai bilanci, la verità sui ricatti a Berlusconi

Bechis: tv e bilanci, la verità dei ricatti a Berlusconi

di Franco Bechis 



Che sia più politica che sostanza, si capisce dai toni. Dopo avere lanciato il sasso all’indomani della rottura del patto del Nazareno, con quei due pugni allo stomaco di Forza Italia (stangata su tasse Mediaset e nuova legge sul falso in bilancio), il Pd ieri ha iniziato a nascondere la mano. Con un sasso nel pugno e un fiore stretto nell'altra mano è sceso in campo direttamente Matteo Renzi, che nella sua e-news ha fatto sfoggio di entrambi gli atteggiamenti. Forza Italia si rimangia il Nazareno? «Buon appetito», ha scritto Renzi in versione pugile: «Noi non abbiamo cambiato idea. Ho sempre detto che voglio fare accordi con tutti e che non ci facciamo ricattare da nessuno. Perché i numeri ci sono anche senza di loro». Poi ha allargato il sorriso e teso la mano: «Spero che dentro Forza Italia prevalgano il buon senso e la ragionevolezza. Se ciò non dovesse accadere noi continueremo a rispettare Berlusconi e il suo partito come rispettiamo tutti i partiti che ottengono i voti dei nostri concittadini: il nostro obiettivo non è parlar male dei nostri avversari, ma lavorare bene per l’Italia». 

La linea del capo del governo è soprattutto questa seconda, e il pugno gli serve semplicemente per non farsi trascinare dentro vicende e regolamenti dei conti tutti interni a Forza Italia. Secondo l’interpretazione che si coglie sia nella cerchia più stretta del premier, sia con qualche sarcasmo all’interno di Forza Italia, il patto del Nazareno non sarebbe archiviato. Ma i segnali politici lanciati nelle ultime ore hanno lo scopo di dare un altro messaggio a Berlusconi: «Se ti interessa riprendere il filo del dialogo, lo si fa con chi lo ha tessuto fino ad oggi: Dennis Verdini e Gianni Letta. Altrimenti ognuno per la sua strada, e auguri». Non è questione di scortesia la scelta degli ambasciatori di Renzi - in primis il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti - di rifiutare ogni contatto con altri possibili ambasciatori che si sono fatti avanti nelle ultime 24 ore, come Maria Rosaria Rossi e Giovanni Toti. I due chiamano al telefonino, lasciano messaggi in segreteria telefonica, contattano anche gli uffici. Lotti non si fa trovare e non richiama nemmeno. Fra gli azzurri il gesto viene interpretato maliziosamente come un atto di amore nei confronti di Verdini, che all’interno del suo partito viene accusato di essere fin troppo testa di ponte del premier. Ma al di là delle simpatie personali, il governo cerca soprattutto di non entrare anche solo dando filo ora a questo o a quel dirigente, in una confusa guerra satrapica interna al partito di Berlusconi.

Si tratta però di puri messaggi politici, e lo erano anche gli «avvertimenti» arrivati dall’esecutivo giovedì: né sulla tassa Mediaset, né sul falso in bilancio c’è qualcosa più di un annuncio. L’emendamento proposto al “milleproroghe” infatti contiene solo un principio generale, che può fare oscillare i costi amministrativi delle frequenze digitali sia per Rai che per Mediaset da un euro a 50 milioni. Il quantum però verrebbe deciso - sempre che l’emendamento venga approvato - da un successivo decreto del ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi. Ieri il renziano Michele Anzaldi che aveva soffiato il giorno prima sul fuoco della norma-vendetta su Mediaset, ha gettato acqua sul fuoco (come si deve fare quando i messaggi sono solo politici), sostenendo che oggi Mediaset paga 13 milioni l’anno e che al massimo rischierebbe di doverne pagare qualcuno in più: 17,5 milioni. E usando la chiave politica gli ha replicato Augusto Minzolini: «Non importa che siano 5,10 o 50 i milioni in più da pagare. Quelli interessano Mediaset, non noi. Ma se il governo doveva intervenire sulla materia in un senso o nell’altro avrebbe fatto bene a farlo in un altro momento, non certo all’indomani della rottura del cosiddetto Patto del Nazareno. È una questione di stile e galateo politico». Anche il Mattinale di Renato Brunetta ha usato quella chiave: più della sostanza, la forma politica che avrebbe per Renzi il senso di dare questo messaggio: «Chi resiste, chi non accetta la regola fiorentina della sottomissione, sappia che ne pagherà le conseguenze». 

Però nelle stesse ore all’Economia si stavano svolgendo riunioni tecniche sul famoso decreto fiscale che contiene quella depenalizzazione per evasori e frodatori fiscali fino al 3 per cento dell’imponibile. Tutte le proposte di modifica della norma sono state cassate dai vertici del ministero, su imput del ministro Pier Carlo Padoan (e probabilmente dello stesso Renzi). Anche quello è un segnale politico, ed è di apertura verso Berlusconi. Di lui e del Nazareno Renzi ha bisogno, soprattutto in vista del Consiglio dei ministri del prossimo 20 febbraio. Quel giorno oltre al decreto fiscale approderà in consiglio un nuovo capitolo del jobs act, quello sulle formule contrattuali. E inevitabilmente tornerà a spaccarsi il Pd, con il premier che avrà necessità di una mano sia da parte di Angelino Alfano che da Forza Italia. Il Nazareno è magari congelato, più propriamente addormentato. Ma pronto ad essere risvegliato. 

Occhio, i Comuni sono in crisi nera Per far soldi ci massacrano di multe

Multe a raffica per sanare i conti dei Comuni: nel 2015 già si è arrivati al 20% in più





Riparte l’offensiva dei comuni sulle multe. Gli incassi stimati per il 2015, dopo una leggera flessione causa crisi, tornano a salire: in media l’incremento supera il 20% della cifra indicata per il 2014. È quanto emerge da un’indagine dell’Adnkronos sui bilanci dei comuni italiani. A pesare sulla contabilità delle amministrazioni resta il problema dell’evasione, con punte fino al 50% e incassi effettivi in media inferiori del 30% rispetto alle voci stimate. E ovunque, nelle grandi città e nei comuni più piccoli, la reazione è all’insegna di una strategia aggressiva: più autovelox, perché gli strumenti per il controllo automatico della velocità garantiscono un rapido incremento dei verbali, e più vigili in strada nelle ore di punta per il traffico. A Roma, si pianifica un inasprimento dei controlli, con il 20% degli incassi delle multe già ’impegnati' per il potenziamento delle attività di accertamento delle violazioni. A Milano, gli autovelox arriveranno a fruttare fino a 480mila euro al giorno. Nei comuni più piccoli, scendono i numeri assoluti ma sale, in proporzione, l’incidenza delle multe. A Bolzano sono stimati incassi pari a 38 euro a carico di ognuno dei 105.713 residenti. Nel 2014, incrementi record a Bergamo, 2.000 multe in più sul 2013; a Subiaco (Rm), il picco di incremento del gettito: +50% sull’anno precedente. Il governo, peraltro, si mostra consapevole del problema. Tanto che il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Maurizio Lupi è intervenuto più volte per ribadire che "non è tollerabile che si utilizzi la leva delle contravvenzioni per ripianare buchi di bilancio". Il ministro ha anche stigmatizzato la tendenza delle Amministrazioni comunali a gonfiare le spese di notifica per compensare lo sconto del 30%, previsto dalla legge per chi paga entro pochi giorni.

Questo è il momento d'oro dei mutui Tutti i consigli per la scelta giusta

Mutui, il momento d'oro per accenderne uno: quale scegliere per risparmiare il più possibile





Se il 2015 sarà l'anno della ripresa, tanto per parafrasare un abusatissimo adagio, lo scopriremo solo vivendo. Di sicuro, però, c'è che questo gennaio 2015 è un mese d'oro per chi volesse accendere un mutuo. Già, perché i tassi dell'indice Euribor, che determina le oscillazioni di un prestito a condizioni variabili, sono rimasti prossimi allo zero. Il costo dei mutui variabili, dunque, ha raggiunto minimi storici anche per le banche, che inoltre, per attrarre clienti dopo aver tenuto per anni serrati i rubinetti, si combattono a colpi di ribassi dello spread. Tutte le migliori offerte, dunque, oggi sono sotto al 2%, e diversi analisti non escludono che nel giro di pochi mesi si possa arrivare anche all'1,5 per cento.

I rischi nascosti - Ma come sottolinea il Corriere Economia, tassi così bassi nascondono anche qualche rischio, legato a doppio filo all'auspicato e plausibile ritorno dell'inflazione, che potrebbe sicuramente far salire il valore dell'Euribor e dunque, entro i limiti stabiliti in sede di stipula, anche il valore della rata variabile. Ma dopo anni di vacche magre c'è anche una seconda buona notizia, relativa ai mutui a tasso fisso, anch'essi scesi a livelli che in Italia non si vedevano da anni. In proporzione il costo di questi mutui è sceso ancor di più rispetto ai variabili: oggi la distanza tra le due formule è a 130 centesimi, rispetto ai 250 centesimi di un anno fa.

Parola alle cifre - In cifre, oggi è possibile accendere mutui a tasso fisso a 20 anni con un tasso di poco superiore al 3% e a 30 anni sotto al 3,5 per cento. Se al quadro si aggiunge il fatto che i valori immobiliari si stanno stabilizzando, pur non crescendo, il momento per l'acquisto di una casa appare uno dei migliori da anni a questa parte. Altre cifre le offre il portale mutuionline.it, che rileva che per prestiti ventennali da 100mila euro a tasso variabile il miglior prodotto, oggi, chiede un interesse dell'1,86%, con una rata mensile da 499 euro. Il costo per uno stesso mutuo ma a tasso fisso, invece, è di 566 euro. Una differenza di 67 euro al mese che si allarga a 80 euro  se il raffronto per un mutuo di stesso importo viene calcolato su 30 anni (rata mensile di 362 euro per il variabile, 442 per il fisso). Il maggiore esborso per il fisso può essere considareto come una polizza assicurativa contro il rischio di rialzi (crescono infatti i mutui a tasso fisso, salite al 40,9% del totale nel 2014).

Fisso o variabile? - Resta da comprendere se, davvero, può valere la pena stipulare un mutuo a tasso fisso. La risposta è affermativa se la priorità di chi lo accende è la tranquillità e la "certezza" della rata mensile. Da un punto di vista finanziario, invece, non c'è una risposta univoca. Di certo c'è che negli ultimi 20 anni, che ha scelto un tasso fisso a condizione standard non ha mai risparmiato rispetto a chi ha scelto un variabile. E' pur vero, però, che l'obiettivo del quantitative easing deciso dalla Bce di Mario Draghi è quello di far salire l'inflazione. E se il risultato sarà centrato salirà anche il costo del denaro, dunque anche l'indice Euribor e in definitiva - pur sempre entro i limiti fissati al momento della stipula - la rata di chi ha scelto un mutuo variabile.

Tfr direttamente in busta paga da marzo: ecco tutti i passi da fare per averlo

Tfr in busta paga da marzo: ecco come fare ad averlo






A partire dal primo marzo i lavoratori dipendenti dal settore privato, che lo vorranno, potranno ricevere in busta paga la Qu.I.R., ovvero la quota di del trattamento di fine rapporto maturata. Sembra infatti superata l'empasse che fino a ieri dava in forse il decreto del presidente del consiglio dei ministri (Dpcm) alla legge di Stabilità 2015 per definire le modalità di adesione da parte dei lavoratori, nonché i criteri di funzionamento del Fondo di garanzia di ultima istanza dello Stato presso l’Inps di 100 milioni iniziali per le imprese con meno di 50 dipendenti. Secondo quanto scrive il Corriere della Sera il decreto sarebbe stato inviato al Consiglio di Stato e a Palazzo Chigi sono sicuri che l’operazione Tfr in busta paga potrà partire come previsto dal primo marzo.

Come aderire - Alla dozzina di pagine del Dpcm che disciplinano gli aspetti tecnici dell'operazione è allegato il fac simile del modulo che i lavoratori, con una anzianità minima di servizio di sei mesi, dovranno utilizzare nel caso scelgano di aderire. C'è tempo per fare questa scelta fino al fino al 30 giugno 2018, ma una volta questa decisione non si non potrà tornare indietro, almeno fino alla fine della sperimentazione, fissata appunto a giugno 2018. Ovviamente, le future quote di Tfr non verranno più accantonate ai fini della liquidazione o non verranno più destinate al finanziamento del fondo pensione per chi vi aderisce.

Tempi - Una volta consegnato il modulo al datore di lavoro, il Tfr in busta paga sarà liquidato a partire dal mese successivo a quello della richiesta nelle aziende con più di 50 dipendenti e tre mesi dopo in quelle con meno di 50 dipendenti. Sono esclusi dall'operazione i lavoratori dipendenti domestici, i dipendenti del settore agricolo, di aziende sotto procedure concorsuali e fallimentari o di ristrutturazione dei debiti. Esclusi anche i dipendenti in servizio in unità produttive sotto cassa integrazione straordinaria.

Tassazione - La Qu.I.R. specifica il Corsera, sarà tassata secondo le aliquote ordinarie Irpef. Per questo, rispetto al regime fiscale agevolato del Tfr, l’operazione risulterà sconveniente per i redditi medio-alti. Secondo il Caf Acli già per redditi superiori a 28 mila euro la tassazione sarebbe penalizzante. Il Tfr in busta paga, inoltre, inciderà sulle detrazioni per lavoro dipendente o familiari a carico, ma le stesse quote di Tfr non verranno considerate nel computo del reddito complessivo per la concessione del bonus da 80 euro, né ai fini dell’imponibile previdenziale. Sono insomma diversi gli aspetti da valutare prima di un’eventuale adesione.

Alleanze, candidati, nemici interni: "Salvini, piano per cambiare la Lega"

Lega Nord verso il consiglio federale. Le mosse di Matteo Salvini per "limitare" Flavio Tosi





Federalista nelle politiche, "centralista" nell'assetto. Sarebbe questa, secondo La Stampa, la Lega Nord che sta per disegnare Matteo Salvini. Per marzo (forse l'8 a Genova) il segretario federale convocherà il terzo congresso straordinario negli ultimi quindici mesi per modificare lo statuto del Carroccio. La posta in palio è notevole: capire chi gestirà candidati e alleati alle prossime elezioni amministrative. Di fatto, l'obiettivo di Salvini secondo il quotidiano torinese sarebbe quello di togliere poteri al segretario nazionale (ossia regionale) Flavio Tosi. 

Salvini vs Tosi - Da quando è diventato capo della Liga Veneta nel 2013, sostengono gli avversari interni, il sindaco di Verona sta di fatto facendo il bello e il cattivo tempo nel Carroccio veneto, muovendosi con grande autonomia non solo su quanto di sua pertinenza (espulsioni e commissariamenti) ma anche su quanto sarebbe meglio concertare a livello federale, come appunto candidature e alleanze. Che i rapporti tra i "lombardi" e i "veneti" non siano particolarmente rosei è cosa nota, da tempo. E non riavvicina i contendenti neppure la strategia di Tosi in vista delle regionali venete (che vedranno candidato il governatore uscente Luca Zaia): il sindaco è da sempre sostenitore delle "liste civiche" che Salvini vorrebbe invece limitare alle sole liste del candidato sindaco o governatore. Inoltre, Tosi vorrebbe aprire il fronte anche alla neonata Italia Unica di Corrado Passera, chiudendo però agli altri partiti di centrodestra. Opposta, invece, la strategia del segretario federale: meno liste civiche, come detto, ma mano tesa a Forza Italia e Fratelli d'Italia, con unica esclusione di Ncd. Temi caldi così come un altro che sarà all'ordine del giorno del prossimo consiglio federale, quello che prevede l'impossibilità di ricandidarsi per chi ha già ricoperto due mandati. E Tosi e i suoi uomini sarebbero i primi a cadere sotto i colpi di questa mannaia.