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domenica 8 febbraio 2015

Questo è il momento d'oro dei mutui Tutti i consigli per la scelta giusta

Mutui, il momento d'oro per accenderne uno: quale scegliere per risparmiare il più possibile





Se il 2015 sarà l'anno della ripresa, tanto per parafrasare un abusatissimo adagio, lo scopriremo solo vivendo. Di sicuro, però, c'è che questo gennaio 2015 è un mese d'oro per chi volesse accendere un mutuo. Già, perché i tassi dell'indice Euribor, che determina le oscillazioni di un prestito a condizioni variabili, sono rimasti prossimi allo zero. Il costo dei mutui variabili, dunque, ha raggiunto minimi storici anche per le banche, che inoltre, per attrarre clienti dopo aver tenuto per anni serrati i rubinetti, si combattono a colpi di ribassi dello spread. Tutte le migliori offerte, dunque, oggi sono sotto al 2%, e diversi analisti non escludono che nel giro di pochi mesi si possa arrivare anche all'1,5 per cento.

I rischi nascosti - Ma come sottolinea il Corriere Economia, tassi così bassi nascondono anche qualche rischio, legato a doppio filo all'auspicato e plausibile ritorno dell'inflazione, che potrebbe sicuramente far salire il valore dell'Euribor e dunque, entro i limiti stabiliti in sede di stipula, anche il valore della rata variabile. Ma dopo anni di vacche magre c'è anche una seconda buona notizia, relativa ai mutui a tasso fisso, anch'essi scesi a livelli che in Italia non si vedevano da anni. In proporzione il costo di questi mutui è sceso ancor di più rispetto ai variabili: oggi la distanza tra le due formule è a 130 centesimi, rispetto ai 250 centesimi di un anno fa.

Parola alle cifre - In cifre, oggi è possibile accendere mutui a tasso fisso a 20 anni con un tasso di poco superiore al 3% e a 30 anni sotto al 3,5 per cento. Se al quadro si aggiunge il fatto che i valori immobiliari si stanno stabilizzando, pur non crescendo, il momento per l'acquisto di una casa appare uno dei migliori da anni a questa parte. Altre cifre le offre il portale mutuionline.it, che rileva che per prestiti ventennali da 100mila euro a tasso variabile il miglior prodotto, oggi, chiede un interesse dell'1,86%, con una rata mensile da 499 euro. Il costo per uno stesso mutuo ma a tasso fisso, invece, è di 566 euro. Una differenza di 67 euro al mese che si allarga a 80 euro  se il raffronto per un mutuo di stesso importo viene calcolato su 30 anni (rata mensile di 362 euro per il variabile, 442 per il fisso). Il maggiore esborso per il fisso può essere considareto come una polizza assicurativa contro il rischio di rialzi (crescono infatti i mutui a tasso fisso, salite al 40,9% del totale nel 2014).

Fisso o variabile? - Resta da comprendere se, davvero, può valere la pena stipulare un mutuo a tasso fisso. La risposta è affermativa se la priorità di chi lo accende è la tranquillità e la "certezza" della rata mensile. Da un punto di vista finanziario, invece, non c'è una risposta univoca. Di certo c'è che negli ultimi 20 anni, che ha scelto un tasso fisso a condizione standard non ha mai risparmiato rispetto a chi ha scelto un variabile. E' pur vero, però, che l'obiettivo del quantitative easing deciso dalla Bce di Mario Draghi è quello di far salire l'inflazione. E se il risultato sarà centrato salirà anche il costo del denaro, dunque anche l'indice Euribor e in definitiva - pur sempre entro i limiti fissati al momento della stipula - la rata di chi ha scelto un mutuo variabile.

Tfr direttamente in busta paga da marzo: ecco tutti i passi da fare per averlo

Tfr in busta paga da marzo: ecco come fare ad averlo






A partire dal primo marzo i lavoratori dipendenti dal settore privato, che lo vorranno, potranno ricevere in busta paga la Qu.I.R., ovvero la quota di del trattamento di fine rapporto maturata. Sembra infatti superata l'empasse che fino a ieri dava in forse il decreto del presidente del consiglio dei ministri (Dpcm) alla legge di Stabilità 2015 per definire le modalità di adesione da parte dei lavoratori, nonché i criteri di funzionamento del Fondo di garanzia di ultima istanza dello Stato presso l’Inps di 100 milioni iniziali per le imprese con meno di 50 dipendenti. Secondo quanto scrive il Corriere della Sera il decreto sarebbe stato inviato al Consiglio di Stato e a Palazzo Chigi sono sicuri che l’operazione Tfr in busta paga potrà partire come previsto dal primo marzo.

Come aderire - Alla dozzina di pagine del Dpcm che disciplinano gli aspetti tecnici dell'operazione è allegato il fac simile del modulo che i lavoratori, con una anzianità minima di servizio di sei mesi, dovranno utilizzare nel caso scelgano di aderire. C'è tempo per fare questa scelta fino al fino al 30 giugno 2018, ma una volta questa decisione non si non potrà tornare indietro, almeno fino alla fine della sperimentazione, fissata appunto a giugno 2018. Ovviamente, le future quote di Tfr non verranno più accantonate ai fini della liquidazione o non verranno più destinate al finanziamento del fondo pensione per chi vi aderisce.

Tempi - Una volta consegnato il modulo al datore di lavoro, il Tfr in busta paga sarà liquidato a partire dal mese successivo a quello della richiesta nelle aziende con più di 50 dipendenti e tre mesi dopo in quelle con meno di 50 dipendenti. Sono esclusi dall'operazione i lavoratori dipendenti domestici, i dipendenti del settore agricolo, di aziende sotto procedure concorsuali e fallimentari o di ristrutturazione dei debiti. Esclusi anche i dipendenti in servizio in unità produttive sotto cassa integrazione straordinaria.

Tassazione - La Qu.I.R. specifica il Corsera, sarà tassata secondo le aliquote ordinarie Irpef. Per questo, rispetto al regime fiscale agevolato del Tfr, l’operazione risulterà sconveniente per i redditi medio-alti. Secondo il Caf Acli già per redditi superiori a 28 mila euro la tassazione sarebbe penalizzante. Il Tfr in busta paga, inoltre, inciderà sulle detrazioni per lavoro dipendente o familiari a carico, ma le stesse quote di Tfr non verranno considerate nel computo del reddito complessivo per la concessione del bonus da 80 euro, né ai fini dell’imponibile previdenziale. Sono insomma diversi gli aspetti da valutare prima di un’eventuale adesione.

Alleanze, candidati, nemici interni: "Salvini, piano per cambiare la Lega"

Lega Nord verso il consiglio federale. Le mosse di Matteo Salvini per "limitare" Flavio Tosi





Federalista nelle politiche, "centralista" nell'assetto. Sarebbe questa, secondo La Stampa, la Lega Nord che sta per disegnare Matteo Salvini. Per marzo (forse l'8 a Genova) il segretario federale convocherà il terzo congresso straordinario negli ultimi quindici mesi per modificare lo statuto del Carroccio. La posta in palio è notevole: capire chi gestirà candidati e alleati alle prossime elezioni amministrative. Di fatto, l'obiettivo di Salvini secondo il quotidiano torinese sarebbe quello di togliere poteri al segretario nazionale (ossia regionale) Flavio Tosi. 

Salvini vs Tosi - Da quando è diventato capo della Liga Veneta nel 2013, sostengono gli avversari interni, il sindaco di Verona sta di fatto facendo il bello e il cattivo tempo nel Carroccio veneto, muovendosi con grande autonomia non solo su quanto di sua pertinenza (espulsioni e commissariamenti) ma anche su quanto sarebbe meglio concertare a livello federale, come appunto candidature e alleanze. Che i rapporti tra i "lombardi" e i "veneti" non siano particolarmente rosei è cosa nota, da tempo. E non riavvicina i contendenti neppure la strategia di Tosi in vista delle regionali venete (che vedranno candidato il governatore uscente Luca Zaia): il sindaco è da sempre sostenitore delle "liste civiche" che Salvini vorrebbe invece limitare alle sole liste del candidato sindaco o governatore. Inoltre, Tosi vorrebbe aprire il fronte anche alla neonata Italia Unica di Corrado Passera, chiudendo però agli altri partiti di centrodestra. Opposta, invece, la strategia del segretario federale: meno liste civiche, come detto, ma mano tesa a Forza Italia e Fratelli d'Italia, con unica esclusione di Ncd. Temi caldi così come un altro che sarà all'ordine del giorno del prossimo consiglio federale, quello che prevede l'impossibilità di ricandidarsi per chi ha già ricoperto due mandati. E Tosi e i suoi uomini sarebbero i primi a cadere sotto i colpi di questa mannaia.

sabato 7 febbraio 2015

Renzi a caccia di montiani e forzisti Belpietro: ecco di cosa ha paura

Belpietro: ecco perché Renzi ha paura e va a caccia di montiani e forzisti

di Maurizio Belpietro 



Da quando Matteo Renzi è riuscito a imporre il suo candidato al Colle non c’è più niente che lo tenga. Il nostro presidente del Consiglio viaggia a qualche metro da terra, convinto che dopo aver spianato l’opposizione interna ed esterna, presto camminerà sulle acque e moltiplicherà anche pani, pesci e occupati. Lo stato d’animo del premier - che, vale la pena di ricordarlo, appena dieci anni fa era il giovane segretario della Margherita in una provincia come quella di Firenze in cui contavi solo se eri diessino - è comprensibile. Meno comprensibile è però che non faccia nulla per nasconderlo, lasciandosi andare a uscite che paiono quelle di un bullo di provincia. L’altro ieri ai ministri dell’Udc che cercavano di salvare almeno la poltrona se non la faccia ha risposto di non avere tempo da perdere con i partitini, aggiungendo che se qualcuno deve leccarsi le ferite non è certo affar suo. Un tono sprezzante e sicuro che ieri ha replicato, ma questa volta rivolto all’ex compagno di patto Silvio Berlusconi. Dopo la fregatura del Quirinale, il Cavaliere ha riunito l’ufficio di presidenza e ha dichiarato decaduto il patto del Nazareno, precisando che Forza Italia valuterà di volta in volta se votare a favore o contro le riforme. Beh, sapete che ha risposto il presidente del Consiglio per tramite della vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani? Meglio, così: non avendo tra i piedi Berlusconi e Brunetta riusciremo a farle prima. 

Ora, si può discutere o meno se le riforme siano di buona o cattiva qualità, se siano utili o dannose per il Paese. Ciò che non è in discussione è che se a un anno di distanza questi provvedimenti non sono legge dello Stato, la colpa non è di Forza Italia, ma della minoranza del Partito democratico. Sono loro, i sinistri del Pd, ad aver rallentato la lunga marcia del Grande timoniere toscano, non certo il Cavaliere, che anzi per dodici mesi ogni volta che si è reso necessario è andato in soccorso di Renzi, facendogli trovare quei voti che mancavano, anche a prezzo di perdere i suoi. Senza di lui di sicuro l’Italicum non sarebbe arrivato in porto e se lo fosse sarebbe stato molto diverso da quello approvato, nel senso che non garantirebbe al premier di poter vincere le elezioni e per di più con la possibilità di scegliersi (lui, non gli elettori) gli uomini da mandare in Parlamento. Dicendo quel che ha detto, Renzi non solo mistifica la realtà, ma soprattutto tende a nascondere il vero problema che ha davanti, ossia che se fino ad oggi ha giocato le sue carte su più tavoli, quelli del Pd, di Forza Italia e infine perfino di Cinque Stelle e Sel, ora rischia di essere ostaggio della sinistra radicale. 

Che cosa intendiamo dire? Che se mentre, fino all’altro ieri, il premier teneva a bada la sua minoranza interna cercando e trovando sponda in Silvio Berlusconi e in Forza Italia, adesso, avendo tirato un pacco all’alleato che lo ha sostenuto dall’esterno e anche a quelli che come Ncd lo hanno fatto dall’interno, il secondo forno con cui finora il suo governo ha panificato non sarà più disponibile. Senza Berlusconi le riforme viaggeranno più spedite? Dipende, se il presidente del Consiglio si piegherà ai voleri dei dissidenti su legge elettorale, Jobs act e altro è possibile che le leggi abbiano un iter meno accidentato. Ma è anche altamente probabile che le norme varate siano assai meno efficaci di quelle che Renzi vorrebbe varare. Mandando all’inferno il Belzebù di Arcore, il presidente del Consiglio si lega ad altri diavoli e non è detto che finisca meglio che con il Cavaliere. Né si può pensare che il governo riesca a stare a galla con un altro gruppo di responsabili composto da ex Ncd, ex Cinque Stelle ed ex Forza Italia, come da un paio di giorni il premier lascia filtrare nella speranza di convincere Berlusconi a non fare un passo indietro. A parte che forse qualcuno potrebbe storcere il naso di fronte a una compravendita di parlamentari, ma pensate davvero che ci si possa fidare di gente sempre pronta ad andare in soccorso del vincitore? Rischieremmo di rivedere a sinistra quello che vedemmo nel 2010 con Scilipoti e Razzi, con i risultati che sono noti.

Dunque non è vero che ci sono tre forni, come si è scritto in questi giorni: quello di governo, quello delle riforme e quello per il Quirinale. Forse i tre forni ci sono stati, ma oggi Renzi rischia di averne uno solo ed è composto dal suo partito cui si uniscono Sel e un po’ di Cinque Stelle scappati da casa Grillo. Se rompe con il nuovo centrodestra e soprattutto con Forza Italia, il presidente del Consiglio si lega alla solita sinistra, ovvero a chi gli ha messo sin dall’inizio i bastoni fra le ruote per quanto riguarda le riforme e anche per il lavoro. Insomma, Renzi fa il bullo, ma - come ogni buon giocatore d’azzardo - sta bluffando. È vero che a Ncd e anche a Forza Italia conviene essere della partita piuttosto che esserne esclusi, ma conviene anche a Renzi, il quale poi dovrebbe governare con Vendola. Del resto, nonostante alzi i toni, l’ex Rottamatore guarda con occhio attento gli umori degli italiani. Un occhio tanto attento che per aver sottomano i sondaggi sul suo consenso, Palazzo Chigi ha appena sottoscritto un contratto da 70mila euro. E la chiamano spending review. 

Kyenge tradita dai suoi "compagni" Anche per il Pd sembra un orango

Cécilie Kyenge triste per il Pd che salva Roberto Calderoli





L'ex ministro Cécile Kyenge non si dà pace dopo che la giunta per le immunità al Senato ha deciso che Roberto Calderoli non la ha insultata. "Quando vedo la Kyenge - disse il leghista vicepresidente del Senato - non posso non pensare a un orango". La giunta ha deciso che quella frase rientra nell'insindacabilità parlamentare, Calderoli poteva dirlo e lo hanno confermato con il voto a favore i parlamentari di Lega, naturalmente, Autonomie, Ncd, Forza Italia e addirittura del Pd, proprio il partito dell'ex ministro.. "Quando vedo la Kyenge - disse il leghista vicepresidente del Senato - non posso non pensare a un orango". La giunta ha deciso che quella frase rientra nell'insindacabilità parlamentare, Calderoli poteva dirlo e lo hanno confermato con il voto a favore i parlamentari di Lega, naturalmente, Autonomie, Ncd, Forza Italia e addirittura del Pd, proprio il partito dell'ex ministro.

Dem a corrente alternata - Ed è proprio con i suoi compagni di partito che se la prende la Kyenge in un'intervista su Repubblica: "Se l'abbiano fatto con calcoli elettorali - ha detto - la troverei una cosa ancora più grave". Insomma per l'ex ministro i piddini si può anche scaricare una delle grandi battaglie di civiltà pur di raccimolare qualche voto in più in aula e dire candidamente che pure loro potrebbero pensare a un orango davanti a una foto del primo ministro nero d'Italia.

Squillo Marino, ecco la svolta osè: a Roma nasce la zona a luci rosse

A Roma la prima zona a luci rosse riservata alle prostitute





Il primo quartiere a luci rosse in Italia nascerà a Roma entro tre mesi. La sperimentazione targata giunta Marino ha individuato al quartiere Eur una strada nella quale la prostituzione sarà tollerata.

Recupero sociale - L'operazione secondo gli amministratori del IX municipio romano dicono sia a sfondo sociale. Per ora è chiaro che il progetto costerà 5mila euro al mese per pagare le unità di strada, gli operatori sociali che seguiranno le ragazze nei loro bisogni e proveranno a tutelarle dagli sfruttatori.
Lontano dagli occhi - Secondo l'huffingtonpost.it l'idea è di allontanare le prostitute dal centro abitato. La pia speranza del presidente del IX municipio, Andrea Santoro, è di frenare il fenomeno della prostituzione imponendo multe fino a 500 euro per quei clienti indisciplinati, scoperti fuori dall'area autorizzata.

Esasperati - Santoro racconta come oggi le prostitute sostino indisturbate sotto le abitazioni ogni sera e il giorno dopo: "In ogni angolo del quartiere, ritroviamo le strade piene di preservativi usati gettati per terra". Non proprio quindi una zona a luci rosse, come già presenti in altre città europee, l'idea assomiglia più a un bel recinto nelle campagne romane.

giovedì 5 febbraio 2015

Giordania, la rabbia e l'orgoglio: bombarda Mosul e lo Stato islamico

Isis, la Giordania bombarda Mosul. L'Imam del Cairo: "Terroristi da crocifiggere, tagliategli mani e piedi"





I jihadisti dello Stato islamico andrebbero crocifissi e si dovrebbero tagliare loro mani e piedi. A sostenerlo non è un ultrà cristiano inorridito dal prigioniero giordano bruciato vivo dai tagliagole dell'Is ma, al contrario, una delle principali autorità del mondo islamico. Ahmed Al Tayeb, grande imam della moschea egiziana di Al Azhar a Il Cairo e massima istituzione sunnita (la stessa fazione a cui appartengono i miliziani del Califfato di Al Baghdadi), ha lanciato un proclama attraverso l'università di Al Azhar esprimendo riguardo all'ultima terrificante esecuzione "profonda indignazione per questa azione terrorista ignobile che esige la sanzione indicata dal Corano per questi tiranni che corrompono e che fanno la guerra ad Allah e al suo messaggero. Devono essere uccisi, crocifissi e bisogna tagliare loro le mani e i piedi". Secondo Al Tayeb l'Isis è una "organizzazione terrorista satanica" mentre l'uccisione del pilota giordano è "un'azione maligna". Quindi l'appello "alla comunità internazionale perché lotti contro questa organizzazione terroristica che perpetra azioni selvagge e barbare che non soddisfano né Allah né Maometto". 

La Giordania bombarda Mosul - Il re Abdullah II di Giordania, a cui Al Tayeb ha espresso "solidarietà", ha intanto avvertito che Amman darà una "dura risposta" allo Stato islamico per l'assassinio del pilota: "Il sangue dell'eroe martire non resterà senza la severa risposta della Giordania e del suo esercito a questo atto codardo e criminale perché questa organizzazione terroristica non solo lotta contro di noi, ma anche contro l'islam e i suoi nobili valori". Secondo fonti giordane, poi confermate in serata, l'aviazione ha bombardato Mosul, la capitale irachena dello Stato islamico. La Giordania ha dunque ripreso, con maggior vigore, le operazioni militari iniziate mesi fa insieme all'alleanza internazionale guidata dagli Stati Uniti.