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martedì 3 febbraio 2015

Colle, scheletri nell'armadio: quelle indagini dimenticate sul fratello

Mattarella, il fratello e quelle indagini dimenticate

di Tommaso Montesano 



Con la schiena dritta». Eccola la formula più usata, dai sostenitori della sua candidatura al Quirinale, per descrivere Sergio Mattarella. «Un politico per bene», twittava il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Un ex popolare con un rigore morale, a leggere i ritratti comparsi sui giornali, La Repubblica in primis, da fare invidia a Oscar Luigi Scalfaro. 

Nelle biografie ufficiali e non, Sergio Mattarella risulta avere un solo fratello: Pier Santi, l’ex presidente della Regione Sicilia assassinato a Palermo da Cosa Nostra il 6 gennaio 1980. In realtà il neo presidente della  Repubblica  di fratello ne ha anche un altro. Si chiama Antonino ed è balzato agli onori delle cronache alla fine degli anni Novanta nell’ambito di un’inchiesta della procura di Venezia per riciclaggio di denaro sporco e associazione mafiosa. Procedimento poi archiviato nel 1996 per mancanza di prove.

Le cronache dell’epoca consentono di ricostruire la vicenda. Secondo l’allora sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Roma, Andrea De Gasperis, citato dal Giornale di Sicilia del 18 ottobre 1999, Antonino Mattarella, insieme al commercialista trapanese «Giuseppe Ruggirello, avrebbe convogliato nella perla del Cadore (Cortina d’Ampezzo, ndr) un’ingente massa di soldi sporchi, riconvertendo in multiproprietà alcuni grandi alberghi».  Tra gli indagati ci furono anche Enrico Nicoletti, il «cassiere» della banda della Magliana, Riccardo Lo Faro, legale rappresentante della «Cortina Sport», proprietaria di una delle strutture acquisite (l’hotel Mirage), e un imprenditore di Frosinone, Mario Chiappisi. Indagine chiusa per mancanza di prove sulla presunta provenienza illecita del denaro.

A macchiare l’immagine di Sergio, invece, c’è la confessione di aver accettato, alla vigilia delle Politiche del 1992, un contributo elettorale di tre milioni di lire - sotto forma di buoni benzina - dall’imprenditore agrigentino Filippo Salamone, noto in Sicilia per essere vicino a Cosa Nostra.  Il padre di Pier Santi e Sergio, Bernardo, è stato pure lui in politica. Deputato per cinque legislature, oltre che uno dei leader della Dc siciliana nel Dopoguerra. Un ruolo di primo piano, alla guida della corrente morotea dell’isola, che emerge anche dalla relazione di minoranza che nel 1976 depositò in Parlamento l’allora deputato comunista Pio La Torre, assassinato a Palermo il 30 aprile 1982 per mano di Cosa Nostra.

Dal nonno al nipote. Il figlio di Sergio, Bernardo Giorgio, docente di Diritto amministrativo (all’università di Siena e alla Luiss di Roma), è capo dell’ufficio legislativo della Funzione pubblica al ministero della Pubblica amministrazione guidato da Marianna Madia. Quella Madia che è stata fidanzata con Giulio Napolitano, il figlio dell’ex presidente Giorgio. Forse è anche in nome di questi legami che ieri Napolitano senior ha fatto per la prima volta il suo ingresso nell’Aula di Montecitorio nella nuova veste di senatore a vita. L’ex capo dello Stato non ha nascosto di tifare per l’elezione di Mattarella: "È persona di assoluta lealtà, correttezza, coerenza democratica, alta sensibilità costituzionale". Un endorsement in piena regola che testimonia l’attivismo di Napolitano per l’ascesa del giudice costituzionale - nominato alla Consulta dal Parlamento proprio sotto la sua presidenza - al Colle. «Io lo conosco bene, da quando era deputato», ripete il presidente emerito in Transatlantico prima di lasciare il Parlamento.

Mattarellum? Mai... Ecco cosa fece il presidente per farsi eleggere

Mattarellum? Mai per Mattarella, che per sé scelse il salvagente del Porcellum





C’è un solo uomo politico che corse in tutte e tre le competizioni elettorali che in Italia si sono tenute con il Mattarellum, e tutte e tre le volte peferì essere candidato con la stessa tecnica e logica del Porcellum. Quel politico si chiama Sergio Mattarella, l’uomo che scrisse quella legge maggioritaria di cui mai provò l’ebrezza. Si candidò infatti sia nel 1994, che nel 1996 e nel 2001, ma non osò chiedere agli elettori di votarlo in competizione con altri. In tutti e tre i casi fu paracadutato dal leader del suo partito in quella quota proporzionale in circoscrizioni dove la sua elezione sarebbe stata garantita. Accadde in Sicilia 1 nel 1994 e nel 1996, e in Trentino nel 2001 dove Mattarella fu paracadutato fra mille proteste dei dirigenti locali del suo partito, scandalizzati per l’imposizione da Roma di un candidato siciliano nel profondo Nord Est. In pratica il nuovo presidente della Repubblica non ha mai provato la sua legge, ed è stato eletto sempre con la logica del Porcellum (il leader del tuo partito ti catapulta in un posto dove vieni eletto automaticamente senza essere scelto dai tuoi cittadini). Dribblate le insidie del Mattarellum, Mattarella ha provato poi direttamente il Porcellum, con cui è stato eletto anche nel 2006 nominato in lista e imposto agli elettori dai dirigenti della Margherita. Certo che la riconoscenza non è di questo mondo. Dopo averne aprofittato ben 4 elezioni, ed essere stato in Parlamento da “nominato” per ben 14 anni, una volta arrivato alla Consulta lo stesso Mattarella ha bocciato la filosofia dei “nominati”, spalancando la porta all’Italicum di Matteo Renzi che li nomina di nuovo

Polizze online, occhio alle fregature: attenzione a questi quattro "dettagli"

Assicurazioni online, occhio alle fregature: i quattro consigli per risparmiare senza rischi





Polizze online, ci sarà più trasparenza. L'Ivass, l'Autorità per le assicurazioni, ha infatti "bacchettato" alcuni siti che propongono confronti tra polizze (Comprameglio.it, Facile.it, Segugio.it, 6Sicuro.it e Supermoney.it) dandogli tempo fino al 31 gennaio per eliminare quelle che vengono considerate "falle", informazioni che andavano a scapito dei consumatori. Avremo quindi maggiore chiarezza e completezza di informazioni. Sul quotidiano La Stampa, una serie di consigli per utilizzare al meglio questi siti per evitare di avere poi brutte sorprese.

Franchigie - La prima cosa a cui stare attenti è quella delle franchigie che non sono dichiarate esplicitamente: in pratica alcune compagnie, non tutte, hanno introdotto delle franchigie (per esempio sull'assistenza stradale) che consentono di tagliare il prezzo finale della polizza. Il consumatore, quindi, sarà portato a scegliere quel prodotto perché meno caro con il rischio però di ritrovarsi con una copertura solo parziale.

Assistenza stradale - Molte compagnie assicurative offrono gratuitamente questo servizio. E' un servizio che di sicuro attira più clienti solo che non sempre viene detto loro chiaramente che c'è una franchigia e che il prezzo della polizza sale. 

La rivalsa - La polizza è  meno cara se il proprietario dell'auto permette alla compagnia aerea di rivalersi su di lui in determinati casi (per esempio giuda in stato di ebbrezza o incidente causato da minori alla guida la compagnia anticiperà i costi dei danni ma poi chiederà indietro i soldi e l'assicurato dovrà pagare). Se  non viene prevista la rivalsa, la polizza costerà ovviamente molto meno.

Morte o invalidità - Un altro elemento da considerare è quello che riguarda le somme spettanti in caso di morte o di invalidità permanente dell'assicurato. Questa somma si può innalzare pagando un po' di più: ma questa scelta fa salire il premio finale e quindi può fare scendere l'appeal della compagnia da un punto di vista economico. Sono tutte informazioni che il consumatore, nella scelta della polizza via web, deve considerare. Per eviatare di trovarsi poi "scoperto" in caso di incidente.  

lunedì 2 febbraio 2015

Ncd esplode, ecco chi lo lascia Renzi sfotte: "Leccatevi le ferite" Intanto la profezia di Salvini su Alfano si sta avverando....

Ncd, Barbara Saltamartini lascia, critiche ad Alfano. E Matteo Renzi sfotte Angelino: "Leccati le ferite"





"Oggi, dopo aver incontrato il presidente di Ncd, Angelino Alfano, ho deciso di lasciare il partito". Il Nuovo centrodestra perde i pezzi: dopo le dimissioni da capogruppo di Maurizio Sacconi e mezzo partito in rivolta con il segretario per il pasticcio sul voto per il Quirinale, arriva l'addio anche di Barbara Saltamartini. "Una scelta difficile e sofferta, ma coerente con gli obiettivi che mi ero posta quando ho contribuito alla fondazione del Nuovo Centrodestra. Una scelta - prosegue Saltamartini - maturata dopo l'ennesimo strappo compiuto dal premier Renzi che, sia chiaro non sulla scelta del nome del Presidente Mattarella, ma nel metodo ha imposto agli alleati una decisione presa solo con il Partito Democratico e che Ncd ha avvallato alla quarta votazione, chiudendo così il dialogo aperto con altre forze di centrodestra". Era stato lo stesso Matteo Renzi, in mattinata, a ironizzare sul travaglio di Ncd dopo l'elezione del presidente Sergio Mattarella: "Io penso che oggi ci sia da rimettersi a lavorare con calma. Chi deve leccarsi le ferite lo faccia", aveva spiegato il premier. 

Fuga verso Forza Italia e Lega - Più che leccare le ferite, Alfano è chiamato ora a un durissimo lavoro di ricucitura, perché come detto il partito è spaccato: in difficoltà sul fronte sondaggi, incerto politicamente nella linea da tenere dentro al Parlamento (fuori o dentro il governo?) e soprattutto su cosa fare fuori, nelle piazze e forse alle urne. Con Forza Italia? Con Forza Italia e la Lega Nord? Da soli? E se qualcuno sussurra che Sacconi potrebbe tornare all'ovile forzista o nel progetto che verrà, sulla Saltamartini è girata voce di un possibile approdo alla Lega, magari in ottica centro-sud. "Con Alfano - racconta la stessa deputata - ci siamo confrontati sul piano politico su quanto fatto dalla nascita del nostro progetto, e dunque sulle successive sfide che il partito intende portare avanti. Restano inalterati i buoni rapporti personali, ma oggi la linea politica espressa dal presidente Alfano non rispecchia più il progetto che avevamo presentato agli italiani". Secondo la Saltamartini, l'obiettivo mancato era "costruire una aggregazione di centrodestra in grado di poter rappresentare i milioni di elettori che non votarono il Pdl alle ultime elezioni politiche del 2013 e garantire, con il governo Letta, la stabilità necessaria per poter superare la grave crisi economica che l'Italia stava attraversando, sono stati i presupposti per la nascita del nuovo partito nei quali mi sono ritrovata. Con l'avvento di Matteo Renzi - sottolinea - tutto è cambiato". 

Alfano in discussione - Saltamartini rappresenta quella parte di Ncd, minoritaria, che contesta la linea scelta da Alfano. Per ora, però, di processi al segretario nonché ministro degli Interni non se ne fanno. Alfano "non mi sembra che sia assolutamente in discussione. Noi dobbiamo continuare ancora a essere più forti e più chiari sul ruolo che l'area popolare vuole e deve assumere nei prossimi giorni e mesi", ha commentato Maurizio Lupi, ministro delle Infrastrutture. Non è un caso, però, che i più tranquilli dentro Ncd siano quelli che hanno un posto nel governo. Tra gli altri, all'opposto, cresce l'insofferenza. E la voglia di ritrovare un posto al sole in qualche altro schieramento. E in vista delle prossime elezioni regionali, Campania in testa, c'è chi come Nunzia De Girolamo chiede alleanze chiare e un confronto immediato con Renzi: "Non possiamo fare gli alleati a comando".


La profezia di Salvini su Alfano

No alle alleanze con il Ncd alle elezioni regionali. E' l'aut aut dichiarato dal segretario della Lega Nord Matteo Salvini, che il partito guidato da Angelino Alfano non lo vuole proprio sentire nominare. "Penso che Ncd sparirà di qui a breve - ha detto al  GrRai - perché ha preferito le poltrone alla coerenza. Per quanto riguarda Forza Italia quando avranno finito di litigare e di fare da stampella a Renzi ne riparleremo". Anche sull'eventuale adesione alla Lega di esponenti fuoriusciti del Nuovo centro destra, Salvini non è per niente accomodante: "Non siamo un tram per garantire poltrone ai riciclati. Valuteremo caso per caso", taglia corto il leader leghista.

Silvio Berlusconi ritorna libero dall'otto marzo Mediaset, il giudice: "Si è comportato bene..."

Silvio Berlusconi, concesso lo sconto di 45 giorni





Il giudice del Tribunale di Sorveglianza di Milano Beatrice Crosti ha concesso la liberazione anticipata, di 45 giorni, a Silvio Berlusconi nell’ambito dell’affidamento in prova ai servizi sociali di un anno che sta scontando per la condanna definitiva per il caso Mediaset. Nei giorni scorsi, la Procura aveva espresso parere contrario alla liberazione anticipata. L'ex premier, quindi, terminerà l'affidamento in prova ai servizi sociali che sta svolgendo presso la struttura "Sacra Famiglia" di Cesano Boscone, l’8 marzo prossimo. Lo riferiscono fonti legali. Berlusconi chiude così il capitolo giudiziario relativo al processo Mediaset che si era concluso con una condanna definitiva per frode fiscale a 4 anni di carcere, di cui 3 indultati.  Una decisione che arriva il giorno dopo la telefonata che il nuovo capo dello Stato Sergio Mattarella ha fatto a Silvio Berlusconi e che molti commentatori hanno letto come un modo per ricominciare a ricostruire quel Patto del Nazareno che la scelta per il Colle aveva fatto traballare. Certo è che domani Berlusconi sarà al Colle per il giuramento del nuovo Presidente della Repubblica. 

La motivazione -  Silvio Berlusconi si è comportato in modo corretto dopo le dichiarazioni contro i giudici pronunciate al processo napoletano in cui è imputato Valter Lavitola. È questa in sostanza la motivazione alla base del provvedimento firmato dal giudice di Sorveglianza Beatrice Crosti.

Cosa cambia - Berlusconi recupererà tutti i suoi diritti - fatta eccezione dell’eleggibilità, impedita dalla legge Severino - già a marzo: in particolare, l’ex premier potrebbe tornare a spostarsi liberamente su tutto il territorio nazionale e senza limiti di orario. Ma la battaglia di Berlusconi non è finita: resta la pronuncia della Corte Europea sui suoi due ricorsi presentati contro la legge Severino. Una pronuncia da cui l’ex premier vuol riottenere in toto l’agibilità politica visto che, secondo quanto sostenuto dai suoi avvocati nel ricorso, nel suo caso sarebbe stato violato il principio giuridico della non retroattività. Se il ricorso a Straburgo non dovesse dare gli esiti sperati, resterebbe la carta della riabilitazione che l’ex premier potrebbe chiedere tre anni dopo aver finito di scontare la pena (teoricamente nella primavera del 2018.

Il commento - "La liberazione anticipata di Berlusconi dai servizi sociali sulla ingiusta sentenza Mediaset, è la seconda buona notizia della giornata dopo l’invito del Presidente Mattarella alla cerimonia di insediamento al Quirinale". Così Michaela Biancofiore, parlamentare di FI, in una nota pubblicata pochi minuti dopo la notizia della liberazione anticipata del Cav, commenta la decisione del giudice di Milano . "In attesa del pronunciamento della CEDU che lo riabiliterà giuridicamente decretando la sua completa e conosciuta innocenza, il Presidente Berlusconi ora riparta dalle regole e dalla democrazia per scegliere la squadra che lo accompagnerà nel recupero del consenso degli italiani che è a portata di mano. Anticipazione del congresso al 2015 e stop a nominati che non sono mai stati eletti da nessuno, non conoscono quanti sacrifici costi il consenso e dunque che non hanno legittimazione né popolare né all’interno del partito e dei gruppi parlamentari. Non è un caso che Renzi e Salvini siano emersi rispettivamente dalle primarie e da un congresso. Noi il leader lo abbiamo ora serve una squadra di gente affamata di cambiamento che lo supporti".

Claudio Martelli, ex ministro della Giustizia senza filtri: "Sergio Mattarella non è un santo e vi dico perché...."

Claudio Martelli: "Sergio Mattarella non è un santo e vi dico perché...."





Durissimo il giudizio di Claudio Martelli sul nuovo presidente della Repubblica. Martelli era ministro della giustizia nel governo Andreotti. "Mattarella non è tra i morti che hanno combattuto la mafia a viso aperto e non può essere paragonato a chi è caduto mentre era in guerra con le cosche". Un comportamento "intollerabile, chi lo manifesta non è degno di ricoprire l' ufficio di ministro della Giustizia", fu la replica della vedova Mattarella. Una polemica vecchia, su cui in un'intervista al Fatto Quotidiano interviene Martelli: "Intervenni dopo a pochi giorni dall' omicidio Lima, perché nella Dc si stava facendo spazio questa sorta di accostamento poco giudizioso tra la morte di Salvo Lima e le altre vittime della mafia. Non vi fu nessuna aggressione alla memoria di Piersanti né alla famiglia. Mi concentrai su una distinzione netta tra Piersanti Mattarella e La Torre. Il primo aveva combattuto la mafia contrastando il sistema di potere all' interno del suo partito, Lima, Gioia, Ciancimino, e per questo forse fu ucciso. La Torre, no, la sua fu una battaglia dura, netta, contro Cosa nostra e i suoi legami politici". Il giornalista del Fatto  ricorda come Martelli "tirò in ballo la figura di Mattarella padre, Bernardo, definendolo il leader politico che traghettò la mafia siciliana dal separatismo, alla Dc, e Sergio Mattarella definitì il suo livello come miserabile".

Il giudizio critico - La replica di Martelli è immediata: "Non mi sono mai inventato accuse nei confronti di Bernardo Mattarella. Le cose che dissi all' epoca le presi dalla relazione di minoranza presentata dal Pci in Antimafia e firmata da Pio La Torre". Ma il giudizio dell'ex ministro della Giustizia su Mattarella, è ancora dopo tanti anni tranchant: " È un uomo che merita rispetto. Quella foto del 6 gennaio 1980 è l' immagine di un dolore indicibile, instancabile, che non passa mai. È una sorta di battesimo, una vocazione originaria. Ma la santificazione no, non mi piace. Aspettiamo. Sergio Mattarella è stato un uomo di partito, di corrente, di polemiche aspre. È stato l' uomo che all' indomani del ribaltone che defenestra Romano Prodi diventa il vicepresidente del Consiglio con D' Alema. E anche quelle dimissioni dal governo sulla legge Mammì, aspetterei a leggerle come una scelta ideale, diciamo che furono ordini di corrente ai quali Mattarella e altri ministri ubbidirono.

Il pronostico - Quando il giornalista Enrico Fierro gli chiede che cosa succederà con Mattarella Presidente della Repubblica, lui risponde: "Leggo tante cose, c' è chi lo vuole capace di resistere a Renzi, chi invece lo vede legatissimo al premier. Renzi è stato abile, si è coperto a sinistra con Vendola e ha costruito una maggioranza preventiva sul nome di Mattarella stringendo Alfano in un angolo. C' è una forte tendenza al partito unico, un grande partito di centro che assorbe la sinistra, ne contiene un' ala. Così si chiude la strada ad ogni alternativa e si costringe la destra ad estremizzarsi"

La cupa profezia di Pansa su Renzi: così Mattarella riuscirà a fregarlo...

Giampaolo Pansa: Sergio Mattarella? Tenace, insistente, lungimirante: stupirà tutti, anche Renzi

di Giampaolo Pansa 



Ho conosciuto Sergio Mattarella in un momento cruciale per la Democrazia cristiana e per l’area di Ciriaco De Mita, la sua corrente. I demitiani erano la tribù bianca che poteva vantare una quantità di tipi umani che non tutti i clan della Balena avevano. De Mita svettava sull’intera parrocchia. E ti catturava come pochi sapevano fare. Mi diceva sempre: «Pansa, tu non capisci i miei ragionamenti. Ma se non mi comprendi, come puoi pretendere di intervistarmi?». Clemente Mastella, il suo addetto stampa, m’incoraggiava: «Ciriaco fa così perché ti stima». Riccardo Misasi, il capo della segreteria, amava De Mita e lo riteneva il nuovo Giulio Cesare della politica italiana. Quanto a Mattarella era tutta un’altra storia.

Il mio ricordo ha una data precisa: l’inizio del febbraio 1989. Il giorno 17, a Roma, si sarebbe aperto il diciottesimo congresso nazionale della Dc e tutti davano per conclusa l’era di De Mita, durata sette anni. La fine veniva annunciata da una tempesta di voci. Ciriaco è cotto. È fritto. È finito. Deve sloggiare da piazza del Gesù. Lui e i suoi. Gli avellinesi e anche gli altri: i colonnelli, i capitani, i furieri. Che grandinate sulle tende demitiane! Roba da far saltare i nervi a un rinoceronte di marmo. Però i nervi non saltavano. Non a tutti, perlomeno. A Sergio Mattarella certamente no.

Andai a trovarlo a Palazzo Chigi, dove ancora sedeva De Mita, nel suo ufficio di ministro per i rapporti con il Parlamento. In quel momento aveva 48 anni e un volto assai più giovane sotto i capelli già bianchi. Un signore pacato, tenace, senza ansie da potere né sbandamenti faziosi. Il politico sul quale De Mita aveva investito di più, ma che non si era annullato in Ciriaco. Un suo amico mi aveva detto. «Nel lavoro di partito, Sergio è tenacissimo e insistente, come la goccia che cade».

Gli chiesi se gli piacesse l’immagine della goccia. Lui sorrise: «Non so dirle se sono così. Però Aldo Moro aveva già spiegato l’importanza dei piccoli passi. Elogiava il lavoro che sembra fatto di niente. Non dico che i piccoli passi, quelli che si vedono poco, siano i più importanti. Ma di certo lo sono quanto i grandi movimenti che suscitano clamore».

Se rileggo gli appunti che presi nel nostro lungo colloquio, rimango ancora stupito dalla schiettezza di Mattarella nel descrivermi i partiti e la Casta politica di allora. Eravamo nell’Ottantanove e mancavano appena tre anni all’inizio del ciclone di Mani pulite. Ma i guai tremendi del partitismo, a cominciare da quello democristiano, erano ben chiari nell'esperienza di Sergio e lui non arretrò nel ricordarmeli.

Esordì: «Bisogna cominciare dallo stato del tesseramento. È molto gonfiato e questo rende dubbia la legittimità della rappresentanza nel partito, il Chi rappresenta Chi e in virtù di che cosa. E c’è di peggio. I tanti padroni delle tessere in sede locale paralizzano la vita della Dc. I leader nazionali sono prigionieri di questi concessionari del marchio democristiano. Ne nasce un rapporto inverso a quello normale: non comandano i vertici del partito, bensì i gruppi periferici che sono i veri padroni dei vertici nazionali».

«C’è poi un secondo male» continuò Mattarella. «Non è soltanto della Dc, anche se noi democristiani ce ne stiamo accorgendo prima di altri. Il reclutamento dei dirigenti in periferia avviene per linee sempre più interne. I partiti pescano i loro quadri soltanto fra i professionisti della politica già all’opera nelle correnti, nelle sub-correnti o nelle istituzioni. Questo rende i partiti asfittici e sempre più distanti dal loro retroterra sociale. Infine i quadri selezionati in questo modo risultano mediocri».

Conclusione? Sergio Mattarella, seguitando a parlare senza enfasi, si dimostrò profetico: «Anche la Dc si trova in questa trappola molto rischiosa. Dobbiamo riuscire a rompere il sistema che le ho descritto, inserendo nei partiti energie nuove, raccolte dentro la società civile. Oppure i partiti moriranno. Non abbia il timore di attribuirmi questa previsione nera».

Proposi a Mattarella di spiegarmi meglio quello che intendeva. La Goccia che cade non esitò: «In pochissimi anni i partiti italiani diventeranno dei corpi sempre più separati dalla società. E sempre meno qualificati. Nella periferia della Democrazia cristiana sta già accadendo. Il virus è molto esteso. E rischia di intaccare in modo irreparabile i piani alti del partito. La nostra area avverte sino in fondo questo pericolo. E De Mita sì è impegnato molto per renderlo evidente e combatterlo».

«Il nodo del congresso che sta per aprirsi sta proprio qui: è la continuità rispetto a questo impegno. Se invece il nuovo assetto della Dc risulterà soltanto il frutto di un equilibrio fra le correnti, ci sarà meno sensibilità per questi problemi. E si farà prepotente la tentazione di ritornare al partito malato che nel 1981 sembrava in coma irreversibile e che De Mita ereditò l’anno successivo».

Domandai alla Goccia che cade degli errori compiuti da De Mita nell’incarico di segretario. Lui non si sottrasse alla domanda: «Forse l’errore primario fu il tentativo, riuscito soltanto in parte, di governare la Dc nelle grandi città con i commissari, nominati dalla segreteria politica. In realtà erano dei coordinatori con funzioni di stimoli per il futuro. L’intuizione era giusta. Poi l’affanno quotidiano ha un po’ impacciato le soluzioni. È il vizio illuministico dei gesti forti. L’esperienza ci ha insegnato che è meglio la semina lenta, il lavoro che sembra fatto di niente, per usare l’immagine di Moro».

A quel punto Mattarella mi offrì un'altra previsione: «In tutto l’Occidente è in corso un processo che spinge i veri centri di decisione a trasferirsi fuori dalla politica. Esiste davvero il pericolo che i partiti diventino una sovrastruttura che galleggia su altri centri di potere né palesi né responsabili. La politica, invece, deve essere un punto alto di mediazione nell'interesse generale. Se la politica non è in grado di essere questo, le istituzioni muoiono. E prevale chi ha più forza economica o più forza di pressione, che è poi la stessa cosa».

Così parlava Sergio Mattarella nell’Ottantanove. Dimostrava di sapere con certezza che un’epoca stava finendo. E talvolta attraverso eccessi più grotteschi che tragici. Ne incontrai un campione mentre stavo uscendo da Palazzo Chigi. Era l’ombra imponente del socialista Gianni De Michelis, ancora per poco vicepresidente del Consiglio nel governo De Mita. Mi regalò un salutone cordiale, poi cominciò a sparare a raffica contro Ciriaco, Bettino Craxi, i sottocapi del Psi e la loro debolezza nei confronti del leader del Garofano.

Ce l’aveva soprattutto con Giuliano Amato: «Voi di Repubblica non capite un cazzo. Siete bambini ignoranti e pompate tanto Giuliano. È uno di quelli che dicono sempre di sì a Bettino. Nel vertice del Psi c'è uno solo ad avere il temperamento giusto per tenere testa a Craxi. E sai chi è?».

Gli risposi: «Scommetto che sei tu, Gianni». E quel meraviglioso peso massimo, sempre pieno di femmine audaci e chiamato Avanzo di balera per la sua passione di frequentare i night, scuotendo vezzoso la chioma strillò con un sogghigno: «Come hai fatto a indovinarlo?».

Qualche settimana dopo, De Mita perse la segreteria della Dc e in maggio si dimise da capo del governo. Rimasero vive, ancorché nascoste, le gocce che cadono senza mai fermarsi. Ventisei anni dopo una di queste entra al Quirinale.