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mercoledì 10 agosto 2016

Accusava Tortora, il pm sbaglia ancora ecco a chi ha rovinato l'esistenza

Un altro errore del pm di Enzo Tortora, a chi ha rovinato la vita


di Claudia Osmetti



Finire in carcere per un errore, un'interpretazione sbagliata, una svista. È successo a Francesco Raiola, 35 anni, ex caporale maggiore dell' Esercito. A metterlo nei guai sono delle mozzarelle: cinque anni fa le promette a un collega che con lui presta servizio nella caserma di Barletta, in Puglia. Al telefono ci scherza su («Ti porto due chili di roba»), non immagina che chi lo sta intercettando è poco incline all'ironia. Poi la storia si ripete: Raiola si mette in testa di comprare per un commilitone un televisore di ultima generazione, uno di quelli con «l'ingresso Mediaset per vedere le partite». Pensa di farlo nella sua città d'origine, Scafati (Salerno), così può far risparmiare all'amico qualche euro. «Allora non preoccuparti, te la porto io». La tv, ovvio. Ne parla al telefono e i carabinieri che lo intercettano pensano a un «linguaggio in codice».

Risultato: il 20 settembre del 2011 Raiola finisce in manette. Le sue sono le mozzarelle più care di sempre, gli costano quattro giorni in isolamento, 21 in prigione (nel carcere casertano di Santa Maria Capua Vetere), cinque mesi agli arresti domiciliari e la divisa. Già, perché tra scartoffie, avvocati e accuse gratuite, Raiola è addirittura costretto anche a lasciare l'Esercito. Lui, tra l' altro, quello scudetto tricolore sul braccio se l'era sudato: due missioni in Kosovo, una in Afghanistan, pilota di mezzi corazzati, esperienza di livello, una passione talmente forte che per tre volte rinvia la data delle nozze visto che lo chiamano in servizio. Solo ora che la sua innocenza è venuta a galla può sperare nel reintegro, ma deve aspettare l'autunno prossimo.

Nel frattempo gli viene diagnosticato un melanoma, fortunatamente non ci sono metastasi, ma il calvario giudiziario si aggrava. Raiola non fa altro che sgolarsi, per cinque anni, nel ripetere che lui non c'entra nulla: è un errore, un'interpretazione sbagliata, una svista. Niente da fare: finisce nell' operazione «Alieno», una maxi inchiesta che si gioca tra le province di Salerno e Napoli, 73 indagati in tutto, misure cautelari, arresti, e processi. «Un tritacarne che non finiva mai», racconta il militare sulle pagine del quotidiano Il Dubbio, e deve essere andata proprio così.

A gestire l'indagine è la procura di Torre Annunziata: gip e pm non hanno dubbi. L'avvocato di Raiola fa un'istanza per incompetenza territoriale e il procedimento finisce nel palazzo di giustizia di Nocera Inferiore. E arriva l'assoluzione da tutte le accuse. Il caporale non ha mai fatto traffico di sostanze stupefacenti: le partite che prometteva al collega grazie alla pay-tv erano proprio gare di calcio. L'errore giudiziario, insomma, c'è. Se ne sono accorti anche al tribunale di Nocera (che ha sentenziato un risarcimento di 41mila euro) e il senatore Giuseppe Esposito (che, su questo ennesimo caso di «giustizia» all'italiana, ha aperto un'interrogazione parlamentare). E dire che a guidare la procura di Torre Annunziata in quegli anni c'era Diego Marmo: il pm che definì Enzo Tortora un «cinico mercante di morte» e condusse l'indagine contro il presentatore televisivo. Intendiamoci: Marmo fino al 2013 ha diretto l'ufficio in questione e non si è occupato, direttamente, della questione Raiola. Nel 1983, invece, era tra quelli convinti che il volto di Portobello fosse un pericoloso spacciatore: l'elemento d'accusa più forte che aveva in mano era l'agendina di un malavitoso su cui era scritto «Tortona». Marmo e gli altri magistrati lessero «Tortora». Una consonante diversa. Un errore, un'interpretazione sbagliata, una svista.

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