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mercoledì 22 giugno 2016

Chiara E Virginia, Le Due Ragazze Che Ribaltano Il Vero Potere

Chiara E Virginia, Le Due Ragazze Che Ribaltano tutto


di Franco Bechis


Virginia Raggi e Chiara Appendino 

Chissà se un giorno dovranno addirittura ringraziare Mario Monti per la loro clamorosa vittoria a Torino e Milano nel giugno 2016. E’ l’ultima delle cose che farebbero naturalmente Chiara Appendino e Virginia Raggi. Eppure un pizzico di quella vittoria aveva quel vento alle spalle. Anzi, più che vento, vera e propria tempesta. Perché se non ci fosse stato Monti a rendere inviso agli italiani qualsiasi volto o respiro del potere vero che da decenni regge l’Italia. Quello delle banche, della grande industria, della finanza che ispirarono quel governo e diventarono perciò assai indigeste a gran parte degli italiani.

Francesco Gaetano Caltagirone
Non sarà la prima delle spiegazioni del successo del Movimento 5 stelle, ma quella possibilità di cambiare la mappa del potere in Italia ha sicuramente pesato nell’urna. Perchè fin qui una volta votavi a sinistra, l’altra volta votavi a destra, ma di quel potere non cambiava nulla. Il re di Roma restava Francesco Gaetano Caltagirone, e con lui la sfilza di grandi costruttori che sostanzialente scrivevano il piano regolatore della città e dettavano legge sul suo sviluppo a seconda naturalmente dei legittimi interessi propri. A Torino il sindaco era sempre alleato della Fiat ora guidata da John Elkan, e un peso non indifferente avevano le banche, o le fondazioni bancarie come quella Compagnia di San Paolo che oggi è presieduta da Francesco Profumo, cui la Appendino ha come prima scelta chiesto le dimissioni.

Jhon Elkan
La novità di queste elezioni è che fin dal primo giorno Chiara e Virginia non hanno cercato di strizzare l’occhio a quei poteri, di tranquillizzarli, di dire “ora facciamo finta, e  poi…”. Le due sono state apertamente avversate sia dai diretti protagonisti che dai loro giornali, che non hanno risparmiato proprio nulla in queste settimane. Eppure fin dal primo giorno dopo le elezioni, hanno fatto capire che il vento è decisamente cambiato, che quei poteri saranno del tutto marginali nel modo di governare Roma e Torino, che quel che è accaduto per decenni non sarà più. Io credo che questo sia uno dei motivi di quel plebiscito che entrambe hanno ottenuto: la possibilità di cambiare davvero. Naturalmente non l’unico motivo, anzi. Ce ne sono molti altri. E vorrei cominciare con una piccola storia.

Francesco Rutelli Sindaco
Alla fine degli Novanta Roma sembrò cambiare volto. Il centro che cadeva a pezzi tornò a brillare dei suoi colori naturali, le vie dissestate furono riaggiustate e diventarono percorribili anche in bici o motorino senza la certezza di finire in ospedale con le ossa rotte dopo pochi metri. Sindaco era Francesco Rutelli, che ebbe un colpo di fortuna di quelli che capitano ogni millennio: più di 3 mila miliardi di vecchie lire grazie ai finanziamenti per la preparazione del grande Giubileo dell’anno Duemila. Furono spesi anche per rendere un po’ più vivibili altri quartieri. Ad esempio dalle parti dello stadio fu recuperato l’intero parco naturale di Monte Mario, polmone verde da anni vittima di incendi dolosi per costringere il comune a consentirne l’edificabilità.

All’inizio di quell’oasi fu costruito un meraviglioso giardinetto per bambini: altalene, scivoli, piccole giostre, le panchine per chi li accompagnava. Il quartiere era felice, furono tagliati i nastri di rito, il sindaco ottenne articoli di giornali entusiasti. Passati sei, forse nove mesi, il parco giochi era già deserto. I bimbi venivano tenuti alla larga, perché sulla ghiaia spuntavano ora qua e ora là le siringhe dei tossici, che l’avevano eletto a loro rifugio notturno. Sui giochi per l’infanzia scritte in vernice con insulti e incubi dei nuovi frequentatori. L’altalena non aveva più le catene ed era inutilizzabile. La giostrina sfondata. Sulle panchine non ci si poteva più sedere: gli assi erano stati divelti e lì a pezzi con i chiodi sporgenti testimoniavano altri pericolosi usi in quelle notti di terrore al parco.

Virginia Raggi
E’ una piccola storia, e ce ne sono migliaia simili raccontabili a Roma negli anni a seguire: nella foresta alle pendici di quello stesso parco naturale si sono nascoste colonie clandestine di rom, che di tanto in tanto provocano incendi, bruciando gomme rubate proprio a pochi passi dal palazzo di Giustizia della capitale. Ma è guardando a storie così che capirete perché Virginia Raggi ha doppiato Roberto Giachetti umiliando lui e il Pd nella capitale al ballottaggio di domenica. I sindaci di Roma per anni erano in prima fila a tagliare nastri, si beavano dei successi sulla stampa compiacente, e se ne fregavano di quel che accadeva da quel giorno in poi. Tutti intenti alla operazione straordinaria, mai una volta che si occupassero della sola cosa che conta nella vita di chi abita le città: la manutenzione ordinaria. Facevi appena tempo ad imparare il nome del tuo sindaco, e lo vedevi già in pista per palazzo Chigi o per la guida nazionale del suo schieramento. Tu cittadino eri solo il trampolino di lancio per il suo successo. E’ accaduto così con Rutelli, così con Walter Veltroni, così con Gianni Alemanno, e se non gli avessero strappato bruscamente assai prima del tempo le forbici taglia-nastro di mano, sarebbe stato così anche con Ignazio Marino. Dopo anni trascorsi così, chi può essere sorpreso se nell’urna i cittadini di Roma, di Torino, di molte città si sono detti: “basta fare da scendiletto per le carriere altrui. Ne proviamo qualcuno che forse starà dietro più che a se stesso e alla propria carriera, alle buche da ricoprire, ai giardinetti da tenere puliti, ai rom a cui non fare bruciare i parchi e rubare i fili di rame che portano la luce?”.

Appendino e Raggi
Ogni urna di domenica porta con sé la storia personale di quella città. Ma il vento che ha accompagnato l’indubbio successo del Movimento 5 stelle spira su tutta Italia: è il solo caso nazionale che emerge dalle urne domenicale. Non si può dire che ci siano indicazioni politiche chiare per il centrodestra: è fallita rumorosamente l’idea del “tutti insieme appassionatamente” mandata in scena a Milano, che era fortino della coalizione, nonostante gli apprezzamenti personali ricevuti da Stefano Parisi. E’ fallita meno rumorosamente, ma pur sempre fallita, l’idea opposta dell’identità in primo piano con Giorgia Meloni a Roma e Lucia Borgonzoni a Bologna. Anche sul fronte Pd il voto nei comuni non offre una indicazione nazionale chiara. Le due vittorie di rilievo sono avvenute a Bologna, dove Virginio Merola ha voluto prendere le distanze su molti temi (dal referendum al job act) dalla linea ufficiale del partito di Matteo Renzi, e a Milano dove Beppe Sala è stato sì scelto all’inizio dal premier, ma ha messo in campo la vecchia formula ulivista di Romano Prodi, con il “tutti dentro, dai no-expo al commissario Expo 2015”. I due successi non danno alcuna indicazione politica di rilievo nazionale.

Virginia Raggi a Sky
Sventolano invece sull’intero territorio nazionale le bandiere del Movimento 5 stelle. Fa sorridere i vecchi marpioni della politica la richiesta di “onestà, onestà”. Ma è sentita da tutti i cittadini, che non hanno ancora fatto il callo alle ruberie di decenni. Si dirà che a Roma era scontato, con Mafia Capitale. E si è sottovalutato che a Torino fosse andata in scena la stessa musica: è la capitale della rimborsopoli politica, la fucina delle firme false alle elezioni, il teatro di tante piccole inchieste che pizzicavano sugli appalti ora il funzionario comunale ora il dirigente di città metropolitana o regione. Qualche settimana fa procura e Finanza hanno sgominato una vasta rete torinese della ‘ndrangheta. E fra le teste di maiale mozzate, le bombe incendiarie per chi non pagava il pizzo, è spuntata una intercettazione del boss: “Siamo i padroni di Torino…”. Che differenza c’è con le telefonate fra Salvatore Buzzi e Massimo Carminati?

Quelle ruberie e furfanterie sono patrimonio comune di molte amministrazioni italiane, nessuna ne ha l’esclusiva. E il desiderio di “onestà” non è affatto ridicolo o poco importante. Si vota pensando alle piccole cose che incidono ogni giorno sulla tua vita, e la cambiano in meglio o in peggio. Le buche, i giardinetti per i bambini, la sicurezza, le ruberie che tolgono anche a te. Ma anche e non affatto ultime le tasche. I torinesi stanno pagando ancora le Olimpiadi invernali del 2006, e i debiti che si sono caricate sulle spalle. I romani devono ancora regolare i debiti per qualche esproprio di terreno delle Olimpiadi 1960 e dei Mondiali di calcio 1990. Grazie a quei due fardelli Roma mette le tasse locali più alte di Italia, con una aliquota speciale per l’occasione. Torino ha dovuto tenerle al livello massimo ordinario. Dovrebbero pagare ed essere felici di farlo? Premiare pure chi li ha ridotti in quello Stato?

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