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lunedì 25 gennaio 2016

Renzi-papà Boschi, guerra legale? Clamoroso dopo il crac di Etruria

Renzi-papà Boschi, guerra legale? Clamoroso dopo il crac di Etruria


di Franco Bechis
@FrancoBechis



Banca Etruria in stato di insolvenza? Sì, ma esclusivamente per le decisioni prese congiuntamente nel novembre scorso dalla Banca di Italia e dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: sarebbero loro infatti, con le scelte fatte nella procedura di risoluzione, ad avere portato il patrimonio netto dell’istituto di credito da positivo come era fino alla vigilia a negativo, rendendo così obbligatoria la dichiarazione di insolvenza. Secondo quello che risulta a Libero, sarà questa la tesi difensiva scelta dal vertice della vecchia banca davanti al tribunale di Arezzo che deve decidere sullo stato di insolvenza dopo il deposito della dichiarazione dei liquidatori di Banca Etruria. Un vertice - lo ricordiamo - che era presieduto da Lorenzo Rosi ma che vedeva come vicepresidente anche Pier Luigi Boschi, padre di Maria Elena, ministro delle Riforme istituzionali e dei rapporti con il Parlamento nel governo guidato da Renzi.

Giuseppe Santoni, commissario liquidatore della banca nominato nel febbraio scorso proprio da Padoan e dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nella sua relazione (il cui contenuto, rivelato ieri dal Fatto Quotidiano, ricalca il documento sullo status dei conti di Etruria depositato il 15 marzo scorso e anticipato da Libero), chiede al tribunale di dichiarare lo stato di insolvenza. La camera di consiglio per la decisione è già stata fissata per il prossimo 8 febbraio quando probabilmente si presenterà a nome del consiglio di amministrazione il solo ex presidente Rosi (immaginabile che il vice Boschi cerchi di stare lontano dai riflettori). Ma entro il primo febbraio l’ex vertice della banca dovrà depositare le memorie difensive, cercando di replicare alle considerazioni di Santoni.

E in questi giorni sono tutti al lavoro con i loro legali. Siccome la dichiarazione dello stato di insolvenza rischia di aprire le porte a una accusa pesantissima come quella di bancarotta fraudolenta, i vecchi amministratori hanno deciso di abbandonare ogni diplomazia, difendendosi con le unghie e con i denti. Anche a costo di vedere il padre di un ministro (Boschi) schierarsi a muso duro contro un altro ministro dello stesso governo (Padoan). Più scontata invece la durezza del confronto con la Banca di Italia, che si era già colta nelle memorie difensive presentate per difendersi dai rilievi ispettivi.

Ma vediamo con quali argomenti i vecchi amministratori sostengono di non avere messo loro ko la banca, rigettando la palla delle responsabilità su Bankitalia e ministero dell’Economia. La tesi difensiva - per altro confermata dai numeri stessi della relazione dei commissari liquidatori - parte da un assunto: al momento del commissariamento l’insolvenza non esisteva, perchè la banca aveva un margine operativo ancora superiore ai 90 milioni di euro, e le svalutazioni di 622 milioni di euro di crediti effettuate (e rivelate da Libero) il giorno 11 febbraio 2015 dal consiglio di amministrazione uscente nel giorno stesso in cui avrebbero passato il testimone ai commissari erano eccessive, ma approvate dopo un lungo pressing della Banca di Italia che le aveva chieste. In quel momento - l’ultimo in cui era presente il consiglio di amministrazione regolare - il patrimonio netto era ancora positivo, anche se la banca non era in condizioni ottimali. Ancora a fine settembre - e sono sempre dati forniti dalla liquidazione - il patrimonio netto è attivo sia pure per 22 milioni, ma Etruria in quel modo non potrebbe ancora essere considerata insolvente.

L’insolvenza vera e propria arriva con l’applicazione della risoluzione. I commissari motivano la necessità iscrivendo perdite operative della banca praticamente in poco più di 40 giorni per circa 24 milioni di euro, registrando giusto per un pelo la negatività del patrimonio netto (di 1,1 milione). Con la risoluzione poi Banca Etruria viene espropriata di tutto l’attivo a favore della new bank, e con lo stesso atto si procede a una nuova svalutazione dei crediti che si somma a quella di 622 milioni di euro già operata a febbraio. Con una prima misura vengono svalutati crediti per ulteriori 416 milioni di euro, poi fanno una seconda svalutazione «prudenziale» di 140 milioni. Alla fine i crediti di Banca Etruria sono svalutati quasi al 94 per cento, che è una somma abnorme. Quindi la risoluzione opera 556 milioni di euro di svalutazione di crediti, a cui si aggiungono i 622 milioni di febbraio che di fatto erano stati imposti da quelli che poi sarebbero divenuti organi della risoluzione. In tutto un miliardo e 178 milioni.

A cui si aggiungono 22 milioni di euro di debito con la new bank per le obbligazioni subordinate che sono state curiosamente trasferite lì (quindi non tutte sono state azzerate). Così certo la banca diventa insolvente. Ma i vecchi amministratori sarebbero responsabili se davvero quella cifra fosse di impossibile realizzo. Riassumo in parole povere la tesi difensiva: anche ammesso che ci sia stato qualche credito concesso senza ottenere le dovute garanzie ad amici e amici degli amici; ammesso - ed è vero - che la crisi economica abbia impedito anche a clientela tradizionale di onorare i suoi impegni di restituzione del dovuto, che le garanzie fornite si siano svalutate con la caduta dei mercati, per arrivare al 93-94% di svalutazione dei crediti bisognerebbe che tutta la zona dove operava Etruria fosse stata bombardata a tappeto. Bisognerebbe trovarsi in un territorio in cui ogni impresa è fallita, e nemmeno un capannone è restato in piedi. E non è così. Ma con quell’operazione la fotografia di Banca Etruria al 28 dicembre è certamente quella dell’insolvenza. Il problema è chi l’ha generata. E la risposta di Rosi, papà Boschi & c, è una sola: il governo nella persona del ministero dell’Economia, insieme alla Banca d’Italia. Prepariamoci a vedere dei bei fuochi di artificio.

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