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mercoledì 10 dicembre 2014

Manovra e Jobs Act, effetto devastante: ecco quanti posti di lavoro si perderanno

Manovra Renzi, gli effetti devastanti sul lavoro: 300.000 posti in meno




La legge di stabilità 2015, appena approvata dalla Camera e ora al vaglio del Senato, rischia di creare un grosso danno alla già critica situazione occupazionale del nostro Paese. È quello che denunciano i consulenti del lavoro nel parere della Fondazione Studi, ribadendo anche la necessità di revisione delle regole sugli sgravi contenute nella nuova norma. "Sono a rischio oltre 300mila posti di lavoro nei prossimi tre anni -stimano i consulenti del lavoro- visto che la manovra finanziaria contiene la soppressione di una norma che potrebbe rivelarsi fatale soprattutto per gli artigiani di tutt’Italia e per tutti gli imprenditori delle regioni del Sud. Gli sgravi previsti per le assunzioni a tempo indeterminato, nelle previsioni della legge di stabilità (art. 12), andrebbero a sostituire quelli previsti dalla legge 407/90".

Sgravio contributivo - Una sostituzione dannosa, per i consulenti, che ricordano come con la legge 407/90 siano stati avviati «in questi 24 anni alcuni milioni di rapporti di lavoro, particolarmente dagli artigiani su tutto il territorio e dai datori di lavoro del Mezzogiorno per i quali vige lo sgravio contributivo del 100%». "Ove non dovesse essere introdotta nell’ordinamento una norma che consenta di ottenere un impatto economico-sociale identico -si legge nel parere della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro- si avrebbero immediate ripercussioni sui già pessimi livelli occupazionali. Lo sgravio contributivo per i neoassunti (3 anni di esenzione dai versamenti Inps), infatti, è molto meno vantaggioso delle previsioni della legge 407/90 che fino a oggi, con varie modifiche, ha regolato le assunzioni agevolate e che sarà abolita con la legge di stabilità". Attualmente tramite la legge 407/90 vengono avviati al lavoro circa 130 mila lavoratori all’anno, nonostante il periodo di grave crisi. "In sostanza è al momento -osservano i consulenti del lavoro- l’unico, o quasi, strumento normativo utilizzato che produce occupati. La perdita secca del prossimo triennio, in assenza di identici vantaggi contributivi, sarebbe dunque di oltre 300 mila unità".

Grossi affari per le aziende - Non solo. Il combinato disposto tra il nuovo contratto previsto dal Jobs Act e l’incentivo all’assunzione, inserito nella legge di stabilità, potrebbe creare un meccanismo perverso per il quale le aziende avrebbero un vantaggio economico a licenziare prima che scatti la stabilizzazione programmata dal contratto a tutele crescenti. A suonare l’allarme è uno studio della Uil, secondo cui un’azienda che nel 2015 assume un lavoratore, e lo licenzia a fine anno, potrà beneficiare di un ’saldo' positivo di circa 4.392 euro medi che schizzerebbero a 13.190 euro se venisse invece licenziato dopo 3 anni. Esattamente il contrario, cioè, di quell’operazione di ’stimolo' all’occupazione stabile sbandierata con il Jobs Act. Tutto si gioca, dice il sindacato, sulla differenza tra la decontribuzione per le nuove assunzioni, di cui beneficia l’azienda, e le nuove regole sull’indennizzo che spetta al lavoratore in caso di licenziamento e che, stando alle ultime indiscrezioni circa la riscrittura dell’articolo 18, si aggirerebbe su una mensilità e mezza. Stando alla simulazione messa a punto dal segretario confederale Guglielmo Loy presentata ai quadri Uil di Rieti in vista dello sciopero generale del 12 dicembre, infatti, per uno stipendio medio di 22 mila euro lordi/anno (1.692 euro lordi/mese), la decontribuzione sgraverebbe l’azienda di circa 6.390 euro. Se il lavoratore venisse licenziato a fine anno l’indennizzo, e perciò il costo per l’azienda, si aggirerebbe intorno ai 2.538 euro lordi: il ’saldo' per l’impresa dunque sarebbe positivo per 4.390 euro.

Licenziamenti vantaggiosi - Un vantaggio che aumenterebbe, stima ancora la Uil, se il lavoratore, sempre assunto il 1 gennaio 2015, venisse invece licenziato nel terzo anno: i benefici fiscali per l’azienda, su un reddito di 22 mila euro, ammonterebbero a circa 20.790 euro mentre il costo dell’indennizzo sarebbe di 7.600 euro lordi, con un ’vantaggio' per l’impresa di 13.190 euro. "La scelta del Governo non ci sembra proprio geniale: si tolgono diritti ai lavoratori mentre si premiano tutte le imprese, anche quelle che licenziano o che non investono, e il risultato è un economia stagnante e un tasso di disoccupazione sempre alto", spiega ancora Loy, che punta il dito contro "l’aiuto indiscriminato alle imprese" da parte del governo che invece ha scelto "di penalizzare il lavoro dipendente". Il Parlamento, aggiunge, "è ancora in tempo per correggere la legge di stabilità che non opera come ’stimolo' ad assumere maggiormente ma, semplicemente, sgrava le imprese da costi senza assicurare che si raggiunga l’obiettivo principale: creare nuova e buona occupazione", conclude Loy.

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