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martedì 10 giugno 2014

Giampaolo Pansa: dopo l'Expo, il Mose. A mali estremi... legalizzare le mazzette

Giampaolo Pansa: dopo l'Expo, il Mose. A mali estremi... legalizzare le mazzette

di Giampaolo Pansa


Un vecchio adagio inglese ci regala un buon frammento di schiettezza. Chiede di immaginare una stanza nella quale sta appeso un cartello che dice: «Vietato fumare». Se sotto quel cartello due signori si accendono la sigaretta, vengono subito multati. Ma se a fumare sono in venti, è il cartello che deve essere tolto. Forse in Italia dovremmo fare la stessa scelta per le leggi contro la corruzione. Potevano servire quando le persone beccate a intascare o dare tangenti erano poche. Ma oggi a che cosa servono quelle norme? A niente, come ci spiegano la grande abbuffata attorno al Mose di Venezia e, pochi giorni prima, quella dell’Expo 2015 a Milano. In tutte le democrazie un minimo di corruzione è accettabile e quasi fatale. Se a comandare sono i partiti politici e non un dittatore, nero o rosso che sia. Del resto come potrebbero mantenere le loro strutture, diventate anno dopo anno sempre più gigantesche e voraci? Nella prima Tangentopoli, iniziata nel febbraio 1992 con l’arresto del socialista Mario Chiesa, un altro socialista, il leader del Psi, Bettino Craxi, il 3 luglio di quell’anno pronunciò alla Camera dei deputati un discorso di grande franchezza. Disse: «Tutti i partiti ricorrono a un finanziamento irregolare o illegale. Chi lo nega è uno spergiuro».

Gli altri politici lo negarono. I più ferrei nel respingere la verità persino banale esposta da Craxi furono gli eredi del Pci. Le Botteghe oscure si erano sempre mantenute a forza di tangenti vecchie e nuove. In un Bestiario di questo maggio ho ricordato la mazzetta colossale, oltre dodici milioni di dollari, versata dall’Eni al Partitone rosso per favorire la fornitura di gas metano dall’Unione sovietica. Come persona, Enrico Berlinguer aveva di certo le mani pulite, ma la sua parrocchia no. Mi illudo che nel 2014 nessun figlioccio del Pci osi negarlo.

Se tutto l’arco costituzionale, ossia l’intero schieramento politico con l’unica eccezione del Movimento sociale, si fosse trovato d’accordo con la sacrosanta denuncia di Craxi, forse qualcosa sarebbe cambiata nel rapporto sempre più malato tra i partiti e la corruzione. In realtà, accadde tutto il contrario. Il leader socialista venne bollato come l’unico tangentaro della politica italiana. Dopo il luglio 1992, ebbe inizio una caccia all’uomo che non gli risparmiò nulla. A cominciare dalla tempesta di monetine che una sera lo accolse mentre usciva dall’Hotel Raphael. Una scena ripugnante, da repubblica sudamericana, che i giornalisti italiani, compreso me, accettarono come un evento normale.

a quel giorno sono trascorsi ventidue anni, ma in Italia la corruzione politica non si è attenuata, anzi è diventata un mostro che nessuno riesce a contenere e meno che mai a sconfiggere. Di conseguenza, anche la reazione dell’italiano senza potere si sta rivelando sempre più rabbiosa. Il nostro è un paese in crisi profonda, manca il lavoro e per molti diminuiscono le risorse per campare in modo decente. L’ira senza prospettive è un pericolo che può sfociare in esiti drammatici. E anche in questo caso ci soccorre il confronto con il 1992-1993.

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