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sabato 4 luglio 2015

PERICOLO GUERRA NUCLEARE Obama minaccia Putin e la Cina

"Minacce da Russia a Cina". L'America è pronta alla guerra


di Glauco Maggi


Siamo sempre i più forti ma il nostro vantaggio è seriamente minacciato. I pericoli hanno nome e cognome, dall'Iran all'Isis, e le accuse a Mosca di barare sugli accordi sono di particolare durezza, certo non tali da calmare i venti di guerra. L' annuale rapporto del Pentagono sulla Strategia Militare Nazionale è un severo allarme sui crescenti pericoli per la sicurezza americana e mondiale.

Nell'introduzione, il chairman dello Staff Congiunto dei Capi dell' Esercito, generale Martin Dempsey, avverte che «stiamo fronteggiando multiple sfide simultanee alla nostra sicurezza da tradizionali attori statali e da networks transregionali di gruppi sub-statali. Ed è probabile che avremo da affrontare campagne prolungate piuttosto che conflitti risolvibili velocemente». La tecnologia dà agli avversari nel mondo globalizzato gli strumenti tecnici militari per contrastare i vantaggi che gli Usa hanno avuto nel passato, e ciò richiede «una maggiore agilità, innovazione e integrazione», e «rafforza la necessità per l' esercito Usa di restare impegnato sul piano mondiale per definire il quadro della sicurezza e preservare la rete di alleanze», avverte Dempsey. Nel documento non si parla di budget, ma suona pressante il suggerimento delle gerarchie militari di non andare troppo oltre nei tagli in uomini e mezzi, la politica tradizionalmente cara ai democratici e che Obama ha imposto per propugnare il welfare domestico durante gli anni di ristrettezze post-crisi.

«Gli Usa restano la nazione più forte del mondo, e godiamo di vantaggi unici in tecnologia, energia, alleanze, partnership e demografia, ma questi vantaggi continuano ad essere minacciati», avvisa il Pentagono. Sul banco degli accusati ci sono Russia, Iran, Nord Corea e le Veo (violent extremist organizations), ossia Isis e Talebani. La strategia esposta per contrastarli, a parole, è perfetta: «Dissuadere, contestare e sconfiggere gli Stati» nemici, e «disgregare e degradare le organizzazioni estremiste». Mosca è accusata di aver stracciato di fatto «numerosi accordi con le sue azioni militari», un non velato riferimento non solo alla invasione della Crimea ma anche alle violazioni del Trattato sulle Forze Nucleari di Raggio Intermedio, a cui Obama ha risposto qualche mese fa con i piani di difese missilistiche in Polonia.

Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha reagito duramente: «L' ostilità verso la Russia è la testimonianza di un approccio di sfida privo di obbiettività» che non aiuta a «orientare le nostre relazioni bilaterali verso la normalizzazione». L' Iran e la Corea del Nord sono nel mirino di Washington perché vogliono dotarsi di armi nucleari. Mentre la dittatura stalinista già ne possiede e punta ad arricchire l' arsenale, è stridente che il Pentagono citi Teheran come un pericolo, proprio nei giorni in cui Obama, attraverso il segretario di stato John Kerry, sta accettando di annacquare i termini dell' intesa con l' Ayatollah.

Di fatto, per dare via libera all' armamento atomico del regime islamico, pur di vantarsi di essere il firmatario di un accordo storico. Sulla Cina, che di recente ha saccheggiato i file di milioni di dipendenti del governo federale Usa in una cyber-guerra non dichiarata con l' America, il testo è timido: gli Usa non indicano Pechino come un rivale, ma piuttosto come un partner nel mantenere l' ordine internazionale, anche se di recente i cinesi hanno espanso la presenza militare nel Pacifico, erodendo il peso americano e minacciando le altre potenze regionali, dal Giappone al Vietnam. Il Pentagono, in conclusione, «non crede che alcuna delle nazioni citate persegua un conflitto militare diretto con l' America, ma ciascuna di esse pone serie preoccupazioni per la sicurezza». E sempre il generale Martin Dempsey avverte che c' è «una bassa ma crescente» probabilità che gli Usa possano combattere un conflitto con una maggiore potenza.

FORZA ITALIA? SI DISINTEGRA Un altro addio dopo Fitto e Verdini

Tripla scissione in Forza Italia: dopo Fitto e Verdini, i campani




Fittiani, verdiniani, infine campani: in Forza Italia è ormai pronta una tripla scissione.  Se a San Lorenzo in Lucina, sede del partito di Silvio Berlusconi gli uffici, riporta il Tempo, si riempiono di scatoloni dopo che la tesoriera Maria Rosaria Rossi ha "sfrattato" i verdiniani Abrignani e D'Alessando (il prossimo potrebbe essere proprio Denis Verdini), in via del Gesù Raffaele Fitto è pronto a inaugurare il 16 luglio la sede di Conservatori e riformisti. Contestualmente ci sarà il debutto del suo movimento alla Camera. Al momento può contare su Maurizio Bianconi, Cosimo Latronico, Pietro Laffranco, Antonio Marotta, Giuseppina Castelli, Daniele Capezzone che, si dice, diventerà capogruppo. Inoltre Fitto avrà l'appoggio, si mormora, di due ex grillini che attualmente sono nel gruppo Misto. Ovviamente ci sono i pugliesi: Altieri, Distaso, Fucci, Ciracì, Chiarelli, Marti e Rocco Palese (questi ultimi due ancora indecisi).

In questi giorni, poi, Denis Verdini e i suoi stanno pensando al nome del gruppo che in caso di rottura si chiamerà Centro per le riforme. Conti alla mano, ci sarebbero i numeri per costituire un gruppo al Senato ma non alla Camera, dove potrebbero aderire al Misto. Proprio qui stanno per convogliare i "campani" Giovanni Mottola e Francesco Nitto Palma, da tempo in rotta con Berlusconi per la gestione del partito in Campania. 

venerdì 3 luglio 2015

"La Severino vale soltanto per il Cav" De Luca salvo, la rabbia di Forza Italia

Legge Severino, Vincenzo De Luca reintegrato. La protesta di Forza Italia: "Vale solo contro Berlusconi"




A suonare la prima carica della protesta forzista sulla sentenza del Tar Campania che ha reintegrato il governatore Vincenzo De Luca ci pensa il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta, con un tweet: "Decisione di Tribunale Napoli riabilita Berlusconi, ma caso De Luca resta aperto. Sinistra giustizialista chieda scusa a Cav. Severino da cambiare!".

Renato Brunetta ✔@renatobrunetta
Decisione Trib. Napoli riabilita Berlusconi, ma caso De Luca resta aperto. Sinistra giustizialista chieda scusa a Cav. Severino da cambiare!
13:00 - 2 Lug 2015

A stretto giro incalza Elvira Savino: "Non chiamatela legge Severino, ma con il suo vero nome: legge anti-Berlusconi. Ormai - dice la parlamentare - è chiaro a tutti che è una legge applicata retroattivamente, che è servita solo per estromettere vergognosamente il presidente Berlusconi dal Senato". Ancora su Twitter, segue l'ex governatore del Lazio, Renata Polverini: "La legge Severino si applica solo a Berlusconi? Dopo la sentenza De Luca il dubbio è legittimo".

Renata Polverini @renatapolverini
La #LeggeSeverino si applica solo a #Berlusconi? Dopo la sentenza #DeLuca il dubbio é legittimo @forza_italia

Con la sentenza dei giudici amministrativi campani, De Luca potrà formare la sua giunta e governare senza altri ostacoli. Stesso percorso seguito in precedenza anche dal sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. Al coro della protesta si aggiunge quindi anche Maria Stella Gelmini che definisce la Severino: "una legge contra personam, visto che dopo il caso Berlusconi non è stata più applicata". Ora i parlamentari forzisti promettono battaglia in aula, l'obiettivo è mettere alle strette il governo per rivedere la norma: "È chiaro perché il governo non ritiene utile una revisione della legge Severino. Per la semplice ragione che essa viene interpretata per gli amici e applicata ai nemici. Con buona pace dello stato di diritto, ferito mortalmente con l'espulsione di Berlusconi dal Senato e messo in quarantena con le sentenze favorevoli per De Luca e De Magistris".

Cambiare la legge - Evita i giri di parole Altero Matteoli che non vede altra via per risanare il "torto" subito dall'ex premier: "Se la nostra è una democrazia credibile - ha detto l'ex ministro - non è possibile né accettare che la volontà popolare venga rispettata a seconda delle circostanze e delle persone elette. Al di là delle decisioni giudiziarie - mette in chiaro Matteoli - è urgente modificare una legge, la Severino, che all'atto pratico si è rivelata sproporzionata e sbagliata. Di questo - conclude il senatore azzurro - deve farsene carico la politica, in primis, la maggioranza".

L'ultima umiliazione a Berlusconi: i giudici ora gli pignorano i mobili

Forza Italia, pignorati mobili della sede nazionale. L'ultimatum di Maria Rosaria Rossi ai dirigenti: "Chi non paga perde il posto"




Da quando Forza Italia ha spostato la sua sede nazionale in piazza San Lorenzo in Lucina, nel pieno centro di Roma, chi ha dovuto badare alle casse del partito non ha mia dormito sonni tranquilli. E non fa eccezione l'ultimo tesoriere, la fedelissima di Silvio Berlusconi, Maria Rosaria Rossi, che si è vista arrivare i camion del recupero crediti, incaricati di portare via diversi mobili perché - da tempo - non era stata saldata una fattura a un fornitore di circa 8 mila euro. Questo si è rivolto al Tribunale e ha ottenuto il pignoramento di beni equivalente.

La reazione - Berlusconi dal giugno 2014 ha deciso di non versare più un euro per la gestione del suo partito; è stato poi drasticamente ridotto il finanziamento pubblico e così la Rossi è passata alle minacce di tutti i dirigenti azzurri. Riuniti senatori e deputati più in vista oggi 2 luglio, il tesoriere forzista ha messo in chiaro che tutti i tesserati che non risulteranno in regola con i versamenti al partito, saranno esonerati da ogni incarico. In tanti non pagano e la Rossi ha tutte le intenzioni di recuperare tutto il possibile: "Per i miracoli mi sto attrezzando" ha detto a Repubblica

I camion - Contattata dal quotidiano di Ezio Maruo a proposito del pignoramento dei mobili, la Rossi ha risposto: "Può essere che non sia l'ultimo, perché abbiamo 6 milioni di euro di debiti pregressi. Parliamo comunque di cifre modeste in questo caso. E comunque di mobili e tv ce ne sono altri...".

Senato, addio maggioranza Documento-bomba del Pd: in 25 mandano Renzi a casa

Riforme costituzionali, il documento dei 25 del Pd: "Senato, si deve cambiare". Così Matteo Renzi non ha i numeri




Matteo Renzi non ha più la maggioranza al Senato. È quanto emerge da un documento, firmato da 25 senatori democratici, che si mettono di traverso sulle riforme costituzionali. Quello che non digeriscono - da tempo - è il nuovo Senato: il folto gruppo di democrat rilancia il Senato elettivo. Vogliono, insomma, che i cittadini possano continuare a dire la loro. Vogliono stravolgere la riforma di Renzi, che prevede un Senato eletto direttamente dai Consigli regionali. Nel mirino non solo l'elettività, ma anche le competenze: i 25 vogliono un aumento dei poteri legislativi. Il papello è stato consegnato a Renzi da Vannino Chiti, Maria Grazia Gatti e Miguel Gotor.

Brunetta gode - Subito dopo la notizia, ha preso a cannoneggiare Renato Brunetta: "Riforme di Renzi nel caos. Dopo il documento dei 25 della minoranza Pd del Senato, e con il nostro voto contrario, Renzi non ha i voti per approvare la riforma costituzionale del bicameralismo paritario". Così il capogruppo di Forza Italia alla Camera parlando con i giornalisti a Montecitorio. Brunetta ha poi rincarato: "Non ha i voti a meno che non cambi. Cambi sulla base delle nostre indicazioni: vale a dire elettività dei senatori ed altro. Se ne può parlare. Ma bisogna cambiare anche l'Italicum - ricorda -, con il premio di maggioranza alla coalizione, fin dal primo turno, e non alla lista". La riforma elettorale, per inciso, nel caso in cui il Senato restasse elettivo, dovrebbe essere cambiata ben più in profondità, poiché ideata soltanto per la Camera.

Minoranza Pd - Sul documento dei 25, il piddino Roberto Speranza spiega: "Va nella direzione giusta. L'Italicum determinerà purtroppo una camera dominata dal partito vincente e composta prevalentemente da parlamentari nominati. Dinanzi a tale sistema elettorale è necessario un Senato delle autonomie che abbia anche selezionati ma autorevoli poteri di garanzia e di controllo pienamente investito dalla diretta volontà popolare". Così il deputato Pd, che aggiunte: "Il Paese non deve perdere la straordinaria opportunità di completare il percorso di riforme avviato. Il superamento del bicameralismo perfetto è un obiettivo condiviso da realizzare al più presto ma senza creare squilibri istituzionali. Auspico che il documento dei 25 possa creare nuove e positive condizioni di dialogo tra le forze politiche e dentro il Pd".

L'iter - Ma più che occasione di dialogo, il documento dei 25 potrebbe essere la bomba in grado di far saltare la maggioranza del premier. Per Renzi, dalle regionali in poi, questo è il momento più duro della legislatura: l'incidente in grado di disarcionarlo potrebbe essere dietro l'angolo (e, come detto, se i 25 Pd non votassero la riforma andrebbe pesantemente sotto al voto a Palazzo Madama). L'iter delle riforme costituzionali in Senato, ufficialmente, parte martedì 7 luglio (si tratta della terza lettura del ddl). La presidente della Commissione Affari costituzionali, Anna Finocchiaro, terrà la relazione illustrativa del testo licenziato dalla Camera il 1' marzo; si riunirà quindi un ufficio di presidenza che deciderà chi sarà il relatore o i relatori (in prima lettura furono Finocchiaro e Roberto Calderoli) e il calendari dell'esame del ddl.

"Ho vinto 10 milioni al Gratta e vinci" Si licenzia. Poi il dramma: scopre che...

Gratta e Vinci, pensa di aver vinto 10 milioni ma sono 10mila euro: si licenzia, poi la beffa




Una giornata orribile, mercoledì primo luglio, per una signora di 60anni: per qualche ora ha pregustato la gioia di aver vinto al 'Gratta e Vinci' ben 10 milioni di euro. La donna, della provincia di Venezia, precisamente di Mirano, appena ha visto il biglietto fortunato ha iniziato ad abbracciare tutti, urlando di gioia e coinvolgendo tutta la tabaccheria. Soldi, viaggi, acquisti, isole deserte, crociere. Ecco tutto quello che in un baleno è passato nella testa della fortunella. La voce della vincita record poi si è diffusa in tutto il paese e le zone limitrofe.

Basta lavorare - L'entusiasmo è stato così contagioso per tutti questi soldi inaspettati che dopo aver consegnato l'Iban al gestore dell'esercizio commerciale, non ci ha pensato due volte a correre sul suo posto di lavoro. Ma mica per dare la notizia ai suoi colleghi e datori, no, semplicemente per licenziarsi. "Al supermercato non ci vado più a lavorare", diceva in giro. Peccato che il risveglio è stato molto brusco. Anzi, davvero drammatico. Niente vincita milionaria: l'importo del trionfo era stato letto in maniera sbagliata. Qualche zero in meno ha cambiato radicalmente le aspettative future della 60enne. 10 mila euro invece che 10 milioni. La bottiglia comunque, una volta passata l'amarezza, è stata stappata ma il lavoro al supermercato non l'ha più lasciato.

Italia seppellita dal colosso del rating Cosa ci accadrà dopo il default greco

Grexit, Standard & Poor's: all'Italia costerebbe 11 miliardi di oneri sul debito pubblico in un anno




Quanto potrebbe costare l'uscita dall'euro della Grecia? Una risposta - inquietante - arriva dal colosso del rating Standard & Poor's: 11 miliardi di maggiori oneri sul debito pubblico in un anno. Si tratta del peggiore aumento tra quelli che attenderebbero i paesi di Eurolandia, dove complessivamente Grexit potrebbe costare 30 miliardi tra il 2015 e il 2016. E di questi 30 miliardi, dunque, l'Italia ne pagherebbe più di un terzo. Se alla cifra si sommano i 60 miliardi circa con cui il Belpaese è esposto verso Atene si arriva vicini alla cifra-monstre di 100 miliardi di euro. Un disastro, insomma, anche se il premier, Matteo Renzi, afferma che "l'Italia non avrebbe problemi economici particolari".

Le stime - Di ben altro avviso S&P, secondo cui "gli effetti sulle economie dell'Eurozona si faranno sentire principalmente attraverso rendimenti più alti" da pagare sui titoli di Stato (da cui, appunto, deriverebbero gli oneri pari a 11 miliardi di euro per l'Italia). Infatti, essendo la Grecia "una economia piccola e tradizionalmente più chiusa" di altri Paesi dell'Eurozona, "gli effetti diretti sugli scambi commerciali sarebbero limitati", sottolinea il colosso del rating. E ancora, per S&P, "il principale effetto sull'Eurozona, e specialmente sui Paesi periferici, si materializzerebbe attraverso i mercati dei capitali". E ancora: "L'impatto più significativo di un addio all'euro di Atene consisterebbe nella reintroduzione di un premio legato al rischio valutario, in quanto l'appartenenza all'Eurozona non è più percepita come irrevocabile".

I bond nel mirino - Nel dettaglio, il colosso del rating si attende "un picco iniziale nei rendimenti dei bond sovrani, specialmente per quelle economie percepite dai mercati come fiscalmente più vulnerabili", come l'Italia, appunto. "Il premio - prosegue S&P - è destinato a essere permanente anche se il quantitative easing della Bce farà da tetto ai rendimenti". S&P stima il maggior costo del rifinanziamento dei debiti pubblici dell'Eurozona, come detto, in 30 miliardi: "L'aumento sarà distribuito in modo irregolare, con l'Italia che affronterà l'aumento più grande in assoluto, pari a 11 miliardi".