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venerdì 27 febbraio 2015

Conti correnti, azioni, oro: guida per evitare guai col Fisco

Svizzera, conti correnti, azioni, oro. Così ci si mette in regola





Ora che il governo Renzi ha siglato l'accordo con la Svizzera sul segreto bancario, bissato da quello con l'altro paradiso fiscale europeo Liechtenstein, cosa cambia per gli italiani che hanno un conto corrente o un deposito a Lugano o a Vaduz? Ecco la guida stilata da La Stampa sulle nuove regole fiscali.

1) Se il conto è regolare e i depositi e i relativi interessi sono sempre stati dichiarati al Fisco italiano non cambia nulla e non c'è niente da temere. Un conto si dice regolare quando ogni anno si dichiarano i capitali posseduti all'estero e gli interessi che producono, al pari degli gli immobili e i relativi redditi che questi producono, compilando il quadro RW della dichiarazione annuale. Prima l'obbligo scattava col superamento delle soglia dei 10mila euro, con l'introduzione della nuova legge la soglia è stata alzata a 15 mila euro.

2) I conti non in regola non sono più protetti dal segreto bancario e in qualsiasi momento l'Agenzia delle entrate potrà richiedere informazioni sui titolari dei conti. Dal 2018, poi, lo scambio di informazioni con la Svizzera sarà automatico.

3) Chi è in possesso di un conto illegale e vuole mettersi in regola può aderire alla voluntary disclosure entro il 30 settembre prossimo compilando l'apposito modulo. In questo modo potrà regolarizzare denaro, immobili, quote di partecipazione in società estero-vestite e lingotti d'oro. Farlo non è conveniente come lo scudo fiscale di una volta ma assicura un forte sconto sulle sanzioni amministrative accessorie, evita quelle penali e circoscrive l'accertamento agli ultimi 5 anni. Le imposte sul capitale detenuto illegalmente all'estero come sugli interessi che ha prodotto vanno però pagate per intero.

4) Chi non si mette in regola rischia sanzioni amministrative salatissime (fino al 300% del capitale) e il nuovo reato di autoriciclaggio (da 2 a 8 anni di reclusione). In ogni caso, da mesi ormai, le banche svizzere non accettano più capitali illeciti e pretendono che vengano sanati quelli già depositati.

5) Un evasore ormai non ha più molte alternative per "salvare" i propri capitali. Anche le principali piazze offshore come Montecarlo, Lussemburgo, Liechtenstein e Singapore, hanno firmato o stanno firmando accordi simili a quelli della Svizzera. Restano pochissimi paradisi fiscali: Dubai, Panama e qualche Paese caraibico.

6) Aprire un conto in Svizzera o in altri Paesi stranieri è ancora possibile a patto però di seguire e rispettare le regole dettate dal Fisco. Si può fare attraverso le filiali italiane (e non online), rispettando le regole di trasparenza italiane. E se fino a ieri chi voleva godere del segreto bancario doveva recarsi personalmente nella banca Svizzera per aprire un conto anche cifrato, ora l'anonimato non varrà più, e oltre al documento di identità occorrerà presentare la documentazione che attesta la produzione del reddito e giustifica l'apertura di un conto all'estero e nel caso si tratti di capitali che si è chiesto di sanare occorre produrre la documentazione che attesta l'avvio delle procedure di voluntary disclosure.

7) I cosiddetti frontalieri, sia italiani che svizzeri (finora non compresi negli accordi), saranno assoggettati a imposizione sia nello Stato in cui esercitano l'attività, sia nello Stato di residenza. La quota spettante allo Stato del luogo di lavoro ammonterà al massimo al 70% del totale dell'imposta normalmente prelevabile alla fonte. Il Paese di residenza dei lavoratori applicherà l'imposta sul reddito delle persone fisiche tenendo conto delle imposte già prelevate nell'altro Stato ed eliminando l'eventuale doppia imposizione. Il carico fiscale totale dei frontalieri italiani rimarrà inizialmente invariato e successivamente, con molta gradualità, sarà portato al livello di quello degli altri contribuenti.

Grande Italia in Europa League: 5 su 5 agli ottavi Toro super a Bilbao, impresa Roma col Feyenoord

Europa League, Feyenoord-Roma sospesa per 10 minuti: i tifosi olandesi lanciano oggetti in campo, banana contro Gervinho





L'Italia del pallone ritrova l'orgoglio perduto in Europa League: cinque squadre su cinque arrivano agli ottavi, con un paio di imprese da ricordare. La Fiorentina batte 2-0 il Tottenham (Mario Gomez e Salah), l'Inter (Guarin) e il Napoli (De Guzman) superano 1-0 Celtic e Trabzonspor. Ma soprattutto, il Torino vince 3-2 a Bilbao contro l'Athletic, prima squadra italiana a riuscirci nella storia, e scrive una pagina epica nel libro granata: Quagliarella su rigore, Maxi Lopez e Darmian nella ripresa ribaltano il 2-2 dell'andata e dimostrano che il cuore, a volte, riesce ancora a fare la differenza. Ma è a Rotterdam che va in scena il riscatto italiano: una settimana dopo i disastri degli ultrà olandesi nella Capitale, la Roma vince 2-1 contro il Feyenoord e fa emergere ancora una volta l'inciviltà dei tifosi di casa.

Banana contro Gervinho - A Rotterdam l'ordine pubblico viene garantito in città (con i tifosi romanisti controllati a vista e perquisiti), ma dentro allo stadio De Kuip succede di tutto. Sugli spalti il gol di Ljajic e poi l'espulsione dell'attaccante del Feyenoord Te Vrede scatenano la reazione dei supporter biancorossi, tra i quali sicuramente c'era anche qualcuno di quelli che una settimana fa hanno sfasciato il centro della Capitale. Al 10' del secondo tempo del ritorno dei sedicesimi di finale di Europa League (con la Roma in vantaggio 1-0 e per il momento qualificata, dopo l'1-1 dell'Olimpico) succede di tutto: l'arbitro Clément estrae il rosso al giocatore di casa e dagli spalti parte un fittissimo lancio di oggetti per protesta. Insulti e grida dopo che già nel primo tempo erano volati insulti razzisti e anche una banana gigante di quelle gonfiabili contro l'attaccante ivoriano Gervinho. Gesto razzista o semplice "inciviltà" tra le tante? Difficile capirlo, ma nel dubbio arbitro e delegati Uefa hanno deciso di sospendere la gara per far placare gli animi. Quando si riprende, le emozioni non mancano: al 12' pareggia Manu, al 15' è proprio Gervinho a firmare il definitivo 2-1 che rende vano l'1-1 strappato dal Feyenoord all'Olimpico. 

giovedì 26 febbraio 2015

Fitto vuole fare causa a Berlusconi e al cerchio magico di Forza Italia

Tra Fitto e Forza Italia anche la grana dei soldi





Casse sempre più vuote in Forza Italia. Da cinque mesi, riferiscono fonti parlamentari azzurre, non viene pagato l’affitto dell’immobile di piazza San Lorenzo in Lucina a Roma e la scorsa settimana sono arrivati sei decreti ingiuntivi da parte di aziende che non hanno ricevuto i pagamenti su forniture di beni e servizi. Oltre ai 46 dipendenti messi in cassa integrazione, pendono poi sul partito le cause di alcuni ex dipendenti del Pdl che hanno impugnato il licenziamento.

Ma la grana soldi è anche il nuovo fronte che si apre tra il partito e Raffaele Fitto. Il commissario di FI in Puglia, Luigi Vitali, nei giorni scorsi ha avvertito che chi non ha versato i contributi non può aspirare alla candidatura. Ma la risposta dei fedelissimi dell’europarlamentare arriverà a breve. Probabilmente sotto forma di lettera indirizzata alla tesoriera Maria Rosaria Rossi, con la richiesta di avere l’elenco di tutti coloro che alle politiche e alle Europee sono stati candidati nonostante non abbiano versato le somme spettanti al partito.
"Lo scontro - viene riferito - ora si sposterà nelle Aule dei tribunali giudiziari".

Nel 2013 il partito decise di chiudere i rubinetti alle sedi regionali, di non inviare più i fondi per l’affitto. Da qui la decisione dei parlamentari pugliesi di non versare gli 800 euro e di pagare direttamente i dipendenti, pur versando i 25 mila euro per la candidatura. Ora l’accusa del commissario è che c’è un ammanco di 50 mila euro sul bilancio regionale; "non esiste, e adesso chiederemo di vedere il biancio nazionale del partito", è la risposta dei cosiddetti frondisti. I frondisiì pensano ad una iniziativa ancor più forte, visto che si sta ragionando sull’ipotesi di dar vita, attraverso il ricorso degli iscritti, ad una ’class action’ per capire come sono stati gestiti in questi anni i finanziamenti nelle casse di FI. "Sarà guerra anche legale", è l’avvertimento.

L'intervista di Giacomo Amadori L'impresario sputtana le star di sinistra "Chi voleva i soldi in nero"

"Da Beppe Grillo a Jennifer Lopez: tutti pagati in nero e si dicono di sinistra", un impresario racconta le pretese delle star

Intervista a cura di Giacomo Amadori 


Gino Paoli 

Lello Liguori, ottantenne impresario di lungo corso, è stato definito il Grande Gatsby della Riviera ligure. Ha gestito locali da Sanremo a Santa Margherita ed è stato anche il re delle notti milanesi. Ha conosciuto la malavita meneghina molto da vicino e uno dei boss dell’epoca, Angelo Epaminonda, detto il Tebano, lo ha accusato di tutto: «Omicidio, associazione a delinquere, spaccio internazionale di droga», ha ricordato Liguori. Hanno persino tentato di ucciderlo, ma l’ha sempre sfangata. «Ho pagato cara l’amicizia con Bettino Craxi. Sono stato interrogato da undici magistrati, coinvolto in 11 processi e assolto 11 volte» ha dichiarato qualche anno fa al Secolo I. E per difendere Craxi ha litigato anche con Beppe Grillo: «Lo detesto perché va in giro a fare il politico, a sputtanare tutti quanti, ma quando veniva da me, carte alla mano, si faceva dare 70 milioni: dieci in assegno e 60 in nero», ha detto nella stessa intervista al quotidiano genovese. Dichiarazioni che sono state riprese con enfasi dai media solo nel 2014 e Grillo, fuori tempo massimo, ha minacciato querele.

Signor Liguori, ma il leader del Movimento5stelle, alla fine, l’ha denunciata per davvero? 

«No, mai, anche perché ho documenti e testimoni. Nei giorni scorsi sono stato contattato dai difensori di Luca Barbareschi. Grillo lo ha querelato perché in televisione ha fatto una dichiarazione sui pagamenti in nero. Sono dovuto andare dal comandante dei carabinieri a confermare che Grillo con me ha evaso più di 300 milioni di lire. È venuto almeno 20 volte nei miei locali. Inizialmente prendeva 70 milioni di cachet: 10 in assegno e 60 in nero. Questo lo ha fatto quattro volte al Covo e una volta allo Studio 54 di Milano, che era mio. Poi ha lavorato altre volte a 20-30 milioni. Comunque sempre con la stessa prassi. Quando è venuto a Milano io avevo con me una persona testimone del pagamento: è andato lui alla cassa a prendere i soldi».

E i documenti?

«Ci sono le mie dichiarazioni alla Siae in cui dicevo quante persone c’erano nel locale. Quello è un documento».

Ha mai ingaggiato Gino Paoli?

«Una decina di volte».

E con lui come veniva retribuito? In modo regolare?

«(Breve pausa) Non ricordo. Paoli è un amico e non ricordo. Riguardo a Grillo mi è stato chiesto da più parti, da destra e da sinistra, di asfaltarlo. Naturalmente sotto elezioni tutti speravano in una débâcle di Grillo. E io ho detto: si può fare. Mi sono messo lì tre giorni e ho parlato con tutti i giornali».

Politica a parte, glielo richiedo: lo stesso sistema di pagamento veniva utilizzato con Gino Paoli?

«Guardi, con tutti. Io ho portato in Italia 300 artisti americani, ho lavorato con spagnoli, francesi, greci e i compensi sono sempre stati versati in quel modo. Se lei li vuole è così, altrimenti non vengono».

Dunque non l’ha stupita che Paoli sia accusato di evasione fiscale?

«Io ho una figlia a Lugano e vedo quelli che stanno riportando indietro i soldi».

Ma il cantautore genovese veniva pagato in nero sì o no?

«Io l’ho ospitato tante volte con Ornella Vanoni, ma anche insieme con Grillo. Perciò lo chieda a Grillo (ride)».

Per loro stessa modalità di remunerazione: me lo può confermare?

«Era la stessa per tutti. Io adesso sto trattando per l’Expo. Hanno preso Andrea Bocelli non da me, da un inglese. Volevano un’altra star. Abbiamo tentato di affiancargli Angelina Jolie, ma Bocelli non ha voluto perché oscurava un po’ il suo nome. Allora abbiamo deciso di puntare su Jennifer Lopez. Ma con gli intermediari è la solita storia: costa 1,8 milioni, però bisogna dargliene "normali" (ufficiali ndr) 1,2. Tanto per dire. Non lo riporti, però, perché non abbiamo ancora firmato i contratti e faremmo brutta figura con la Lopez».

Ritorniamo alla coppia Grillo-Paoli. Mi può ribadire che facevano “nero” insieme?

«Ma sì. Guardi che se lo chiede a Grillo, lo ammette. Tanto dice che è tutto finito in prescrizione. In effetti sono cose di tanti anni fa».

E secondo lei anche Gino Paoli confermerebbe?

«(Liguori cambia all’improvviso registro) Gino Paoli non ricordo neanche... mi sembra di averlo pagato regolarmente. Anche perché il mio direttore, che è mio cognato, ha suonato per vent’anni con Paoli. Era capo orchestra. È stato lui a fare i contratti, non io».

Dunque con l’autore del “Cielo in una stanza” avete fatto tutto a regola d’arte?

«Mah. Io penso. Non sono in grado di dire né sì, né no».

Però quando è venuto con Grillo, l’accordo l’hanno fatto con lei?

«Naturalmente, li ho messi insieme io».

E in quell’occasione stesso pagamento per entrambi?
«Non so, perché Grillo è andato via prima. Paoli si è fermato sino a tardi con mio cognato che aveva accesso alla cassa».

Mi sembra di capire che lei sia troppo amico di Gino Paoli...

«È così».

Ci sono altri personaggi con cui ha avuto brutte esperienze?

«Io ho una causa con Teo Teocoli. Nel 1999 doveva fare una serata per la Confindustria, ma rinunciò per motivi di salute. Ho dovuto sostituirlo a mezzanotte con Giorgio Faletti che ho trovato all’ultimo momento vicino a Portofino; eppure Teocoli ha incassato diversi milioni dalla Confindustria. L’ho scoperto recentemente. Grazie a una vecchia fattura ho visto che in quell’occasione c’erano 1.100 persone per un conto totale di 94-95 milioni. A me ne hanno dati solo 72, perché avevano scalato il cachet di Teocoli. (Il 22 febbraio ndr) il suo avvocato mi ha mandato una lettera in cui diceva che se io avessi divulgato questa notizia mi avrebbero querelato. Io naturalmente sono andato subito a sporgere denuncia per appropriazione indebita e furto».

Altri personaggi con cui ha trattato?

«Io ho lavorato con Ornella Vanoni, Patty Pravo, Vasco Rossi, Claudio Baglioni e sono stati tutti pagati regolarmente. Senza nero».

In ogni caso, con tutto quello che guadagnano gli artisti, non le sembra un po’ scorretto che alcuni cerchino di evadere le tasse?

«E gli sportivi allora? Guardi Valentino Rossi. Mi sembra che abbiano trovato conti all’estero un po’ a tutti. Non dovete andare a toccare il nostro mondo. Compresi noi dei locali notturni. Sono stato al Covo 37 anni e avevo 40 locali contemporaneamente, tra Italia ed estero. Ovviamente, proprio per colmare i disavanzi causati dai pagamenti in “nero” delle “attrazioni”, quando si poteva, cercavamo di fare qualche biglietto in meno per la Siae».

Beh, sta dicendo che eravate costretti a costituire fondi neri per i compensi fuori busta degli artisti. Adesso sembra che abbiano trovato il tesoretto svizzero di Gino Paoli...

«Che è della sinistra estrema...».

Si definisce ancora "comunista".

«Appunto».

Eppure sembra abbia accantonato due milioni Oltralpe... Il suo guaio è che non è riuscito a riportarli indietro. 

«Gli do un consiglio: si deve mettere d’accordo con l’Agenzia delle entrate, pagare il 5 per cento e farli rientrare. Così sta più tranquillo».

Forse adesso è troppo tardi. La procura l’ha già indagato per evasione fiscale. In un’intercettazione avrebbe detto di aver ricevuto pagamenti in nero da parte degli organizzatori delle feste dell’Unità. Lo stesso trattamento di riguardo che gli ha riservato lei.

«Io non ho detto di averlo pagato in nero. Anche perché a volte, con i miei locali, guadagnavo un miliardo a sera e non potevo certo controllare tutti i conti. Ma adesso lasciamo perdere l’argomento perché io nel mondo dello spettacolo ci lavoro ancora».

"Siamo laureati, meritiamo di più" In Fiat 20 neoassunti mollano il posto

Alla Fiat di Melfi in 20 hanno rinunciato al lavoro: troppa fatica in catena di montaggio





C'è una scena epica accaduta allo stabilimento Fiat di Melfi che vale simbolicamente più di mille Jobs act. Un ingegnere neoassunto, tra i 300 appena imbarcati da Sergio Marchionne dopo il successo di Jeep Renegade e Fiat 500X, stava lavorando alla catena di montaggio. Poi il raptus: ha preso il paraurti che aveva in mano e lo ha scaraventato per terra. Basta, stop, quel lavoro non era proprio fatto per lui e non è stato il solo a gettare letteralmente la spugna.

Ingegneri ribelli - Mentre a Melfi si preparano ad accogliere altri 700 nuovi arrivi, dopo i primi 300, circa 20 giovani entrati in azienda come operai, scrive Repubblica, hanno abbandonato. "Sociologicamente - dice Roberto Di Maulo del sindacato Fismic - è una percentuale significativa", dal Lingotto minimizzano: "Non sono certo grandissimi numeri, appena si è diffusa la notizia delle nuove assunzioni a Melfi siamo stati sommersi dalle domande di lavoro. Ne sono arrivate decine di migliaia".

Incomprensione - Il problema sta tutto nei requisiti richiesti ai candidati: meno di 30 anni, diploma con voto minimo 85/100 o laurea. E sono proprio i secondi casi ad aver ceduto prima di tutti, per lo più laureati in ingegneria che non si aspettavano di finire a sporcarsi le mani nella catena di montaggio: "Ma nelle fabbriche moderne - spiega Fedinando Uliano della Fim - la distinzione tra colletti bianchi impegnati negli uffici e tute blu addette alla produzione è ormai superata". C'è chi dà la colpa ai ritmi di lavoro più serrati, richiesti dalla Fca e accettati dai sindacati per stringere i denti e tenere in piedi la baracca. Sta di fatto che gli ingegneri non se l'aspettavano quindi di fare gli operai, ma questo gruppo aveva un futuro di carriera e "diventare in futuro un team leader" secondo Uliano. I laureati forse si aspettavano di entrare da subito come impiegati, un misunderstanding avrebbe detto Marchionne. Con la disoccupazione giovanile al 40%, l'ultimo problema per l'azienda sarà trovare sostituti.

Più gravi le condanne per corruzione Ecco di quanto vengono aumentate

Aumentata a 10 anni la condanna per il reato di corruzione





Passa in commissione Giustizia del Senato l’emendamento del Governo che alza la pena della corruzione fino a 6 anni nel minimo e 10 nel massimo, ma l’inasprimento rafforza, spinta da più parti - a cominciare da Forza Italia - l’ipotesi che in questo modo si debba rivedere il sistema complessivo delle pene del ddl anticorruzione all’esame del Senato. Al punto che si potrebbe rendere necessario un  correttivo per coordinare, modulandolo, il sistema sanzionatorio contenuto nel provvedimento. Intanto il Governo non ha ancora presentato l’annunciato emendamento sul falso in bilancio e Forza Italia, in commissione, ha reagito chiedendo di approfondire tutti gli articoli, emendamento per emendamento, al testo. Il Governo aveva confermato, nei giorni scorsi, con il viceministro Costa, la volontà di presentare la propria proposta per l’Aula, ma in commissione è scoppiata la protesta. Ieri era stato il presidente della stessa, Francesco Nitto Palma ad annunciare in ufficio di presidenza, secondo quanto è stato riferito, invece, che ci sarebbe al ministero della Giustizia un testo pronto che sarebbe stato portato davanti ai commissari fra ieri e oggi. Ma al momento non è stato depositato. Intanto è saltata la seduta notturna che sembrava prevista al termine dei lavori d’Aula iniziati questo pomeriggio e la commissione si è aggiornata a martedì.

Sindaci dem all'ultimo delirio: arriva la tassa sui menu e gli zerbini

La tassa delirio del Comune di Bologna su zerbini, menù dei ristoranti e cartelli degli orari





La fantasia al potere partorisce grandi colpi di genio quando i sindaci dem la applicano per tassare esseri viventi e oggetti inanimati in nome del bilancio. A Bologna è nata la Delirium tax, come l'ha chiamata in prima pagina il quotidiano Italia Oggi. Il sindaco Pd Virginio Merola ha deciso che qualsiasi forma di pubblicità deve essere tassato. Nel ventaglio di bersagli capita davvero di tutto e soprattutto sfuggire alla morsa degli esattori comunali è praticamente impossibile. Il delirio è destinato a non fermarsi a Bologna, dove certo non si sono inventati niente, ma l'inedito sta nell'applicazione della gabella che sta piacendo a diversi sindaci pronti a portare la genialata anche nei proprio comuni.

Lo zerbino - La Delirium tax bolognese si applica, ad esempio, sui menu dei ristoranti esposti all'esterno dei locali. Una bella fregatura considerando che i ristoratori sono obbligati ad esporre piatti e relativi prezzi fuori dal proprio locale, se non vogliono rischiare il multone. I gabellieri del comune di Bologna, racconta Italia Oggi, sono arrivati a far rientrare nella tassa delirante anche il cartello "Qui si fa lista nozze" in un negozio di oggettistica, la proprietaria ha dovuto sborsare 500 euro. Colpito anche un cartello con le offerte del mese di un ottico e udite udite anche quello con gli orari di apertura: "Era esposto in vetrina" si sono giustificati gli zelanti funzionari. Si arriva anche al tragicomico delirio per le 52 euro pagate da un tabaccaio che ha esposto la scritta "Self service 24 ore su 24". Tassato anche lo zerbino di un gioielliere con le sue iniziali, l'adesivo con le carte di credito accettate in un ristorante e un barista si è visto arrivare una cartella da 3000 euro per aver esposto un adesivo con i nomi delle ditte dei suoi gelati.

Meglio fuggire - I commercianti bolognesi ora hanno un diavolo per capello. Il sindaco ha preferito mandare il suo vice per incontrare i rivoltosi che hanno strappato solo uno sforzato: "Siamo pronti a migliorarla". Commercianti e artigiani di Bologna saranno contenti di lavorare nella seconda città con la pressione fiscale più alta d'Italia. La Cna ha stimato che una piccola impresa commerciale bolognese arriva a pagare fino al 74,2% del proprio reddito per soddisfare la voracità del fisco. In piena crisi economica, dal 2011 al 2014 la pressione fiscale sui piccoli esercizi bolognesiu è cresciuta del 9,6%. C'è anche chi ha rinunciato a organizzare la Sensation white night, una specie di flash mob in cui ci si ritrova a centinaia per cenare all'aperto vestiti di bianco: le tasse da pagare sono aumentate rispetto lo scorso anno e stavolta sarebbero state insostenibili.