Visualizzazioni totali

martedì 24 febbraio 2015

Come ti fregano l'automobile: al ladro oggi basta un cellulare...

Furto d'auto, se oggi basta un cellulare: gli attacchi hacker al volante





Chiavi passpartout, cacciaviti, grimaldelli di ogni genere sono ormai attrezzi superati per i ladri di automobili. I professionisti del furto d'auto stanno diventando sempre più nerd e smanettoni informatici, e tengono il passo con l'evoluzione tecnologica che sta portando nelle automobili una montagna di componenti elettroniche connesse ad internet.

Ladri nerd - Dallo sterzo ai freni, passando per il posizionamento gps del veicolo, i pezzi di auto gestibili con app per smartphone sono sempre di più. Un processo inevitabile che porta con sé indubbi vantaggi economici, ma anche qualche grosso timore. Di buono c'è che nel caso in cui qualcosa non funzioni, sempre più spesso è la casa produttrice a poter intervenire con un aggiornamento del software, con buona pace dei meccanici truffaldini. È successo, per esempio, alla Bmw pochi giorni fa. Peccato però, scrive il Corriere della sera, che la casa tedesca sia dovuta intervenire dopo la denuncia dell'Adac, l'automobil club tedesco, che aveva scovato una falla nel Connected Drive. Questo buco dava la possibilità di aprire le porte di due milioni di automobili, come Mini e Rolls Royce, usando semplicemente uno smartphone. Senza tralasciare il canale più datato, ma sempre efficace, del navigatore Gps: solo a Genova ci sono stati 120 furti in una sola settimana, a essere bucati dai ladri "hacker" sono state soprattutto le Volksvagen.

L'allarme - Il terrore degli esperti è che i ladri smanettoni arrivino a prendere il controllo dei veicoli mentre sono in movimento, con la scena surreale che pur premendo il freno, l'auto continui a camminare andando incontro al ladro. Le case produttrici assicurano che questo scenario non si dovrebbe verificare, perché i componenti che governano le parti più delicate dell'auto non sono accessibili da internet. Dalla casa madre però sì e uno studio statunitense sottolinea che anche i grandi marchi: "Non sono adeguati a proteggere i conducenti contro hacker che potrebbero essere in grado di prendere il controllo del veicolo".

Ora spunta la maxi-tassa sul cellulare: ecco perché dovrai pagare oltre 100 euro

Ddl concorrenza, cambio operatore di telefonia: "Una stangata fino a 100 euro"





Un'amarissima sorpresa nascosta nel decreto concorrenza varato dal governo Renzi: cambiare operatore di telefonia - sia fissa che mobile - diventerà oneroso. Molto oneroso. Insomma, prima di passare da un marchio all'altro per godere di offerte più convenienti, ora, ci si dovrà pensare a lungo. Già, perché nel testo approvato venerdì 20 febbraio nel corso del Consiglio dei ministri si spiega: "Nel caso di risoluzione anticipata (...) l'eventuale penale deve essere equa e proporzionata al valore del contratto e alla durata residua della promozione offerta". In soldoni torna la penale che la legge Bersani aveva eliminato lasciando esclusivamente i costi tecnici dovuti alla eventuale disattivazione. Nel dettaglio, la legge Bersani recita: "I contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto o di trasferire le utenze presso un altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate da costi dell’operatore”.

I calcoli - Secondo le novità introdotte da Renzi, dunque, l'utente che cambierà operatore dovrà pagare una penale alla società con la quale disdice il contratto. L'importo verrà determinato dai restanti mesi e da quanto era stato pattuito in sede di stipula. Una stima del salasso la effettua il responsabile dei rapporti istituzionali per Altroconsumo, Marco Pierani, che spiega al Corriere dalla Sera: "Così facendo l'operatore può far pesare sulla fine anticipata del contratto, che non può essere superiore a 24 mesi, l'investimento in marketing per promuovere l'offerta". Insomma, se il decreto varato dal CdM venisse poi approvato, aggiunge, "si rischierà di andare oltre al centinaio di euro (di penale, ndr). Un doppio passo indietro, considerando che aspettavamo addirittura un limite concreto all'entità dei costi di disattivazione". Secondo Pierani, per quel che riguarda la telefonia mobile "il ritorno delle penali - riprende - rischia di peggiorare la situazione", a fronte dei costi comunque applicati per la chiusura dei rapporti. A questi costi potrebbero essere aggiunti le rate restanti dei telefonini compresi nell'accordo. La tassa reintrodotta da Renzi potrebbe riguardare una platea molto ampia: si pensi infatti che per circa il 20% delle Sim sul mercato il contratto stipulato cessa anzitempo. Stando all'ultimo dato trimestrale diffuso da Agcom, a fine settembe le linee trasferite hanno superato i 74 milioni di euro.

Pansa, la pagella a Renzi: bocciato l'uomo degli insulti e delle minacce

Giampaolo Pansa: "Da Matteo Renzi solo chiacchiere. E su chi non si inchina piovono insulti e minacce"


di Giampaolo Pansa 



«Perché non ti piace Matteo Renzi?» mi domanda un amico. Provo a spiegarglielo nel giorno del primo compleanno del suo governo. Per cominciare non mi piace la subdola cattiveria usata nel cacciare Enrico Letta da Palazzo Chigi e prendere il suo posto. In quel momento Renzi era il segretario del Partito democratico. Dunque il cortese Letta era il premier che il Fiorentino avrebbe dovuto sostenere e aiutare. Invece il gelido Matteo mise in scena un inganno vomitevole. Scrisse a Letta: «Enrico stai sereno». Poi arraffò il suo posto di capo del governo.

So di raccontare una congiura di palazzo che i lettori di Libero conoscono. Ma ho voluto farlo perché illustra bene il lato più sgradevole del premier: la voglia sfrenata di potere e l’asprezza nel mettere fuori gioco chiunque tenti di sbarrargli il passo. Non sono nato ieri e ho imparato che la politica, come diceva il socialista Rino Formica, «è sangue e merda». Ma nessuno mi obbliga ad accettare uno dei due sistemi. Renzi, invece, ci sguazza in quel pantano. L’unica speranza è che preferisca la cacca al sangue.

In questo primo anno dell’Era Renziana, ci siamo resi conto che bisogna guardarsi dalle virtù del Fiorentino. Ho conosciuto e descritto molti leader politici di sinistra, di destra e di centro. Nessuno era uno stinco di santo. Era meglio stargli alla larga, non essere compiacenti, non accettare né chiedere favori. Ma il Fiorentino li supera tutti, dimostrandosi la carogna più carognesca della repubblica post-1945.

Chi lo conosce bene è in grado di descriverlo senza incertezze. Renzi ha un pessimo carattere, è vendicativo, ringhioso, per niente conciliante, sempre con il pugnale in mano per ferirti, una chiacchiera da rifilarci, una minaccia da presentare, uno sgarbo per impaurirci. La minaccia è nascosta, ma non fallisce mai il bersaglio. Diventa odiosa quando si fonda su una concezione proprietaria del potere pubblico e privato. Qualche azienda ti offre un incarico delicato? Se il premier mostra il pollice verso, non la otterrai mai.

Il Fiorentino è anche abituato a dileggiare chi non s’inchina. Il primo esempio di questa tecnica l’abbiamo visto sotto forma di una domanda: «Fassina chi?». Poi sono venuti i gufi, i rosiconi, i menagramo, i lagnosi. «Quelli che non parlano male di me, ma dell’Italia», ci spiega lui. Al prossimo giro dirà: «Io, Matteo Renzi, sono l’Italia. Chi non mi ama è colpevole di alto tradimento». Stiano in guardia i sindacalisti non disposti a genuflettersi e i parlamentari dell’opposizione.

In questi giorni Matteo ha aggiunto all’elenco dei nemici i senatori e i deputati che cercano di ostacolare la sua marcia trionfale con l’ostruzionismo. Nel concionare senza contradditorio su una rete Rai, ci ha spiegato che questo cancro è estraneo alla storia dell’Occidente democratico. Ecco una topica da cattivo liceale. Infatti l’ostruzionismo parlamentare è nato negli Stati Uniti. Poi si è trasferito in Europa. E ha vissuto momenti epici. Nel 1876 i deputati irlandesi pronunciarono tremila e ottocento discorsi in 154 giorni. Il Fiorentino sarebbe uscito pazzo da questo colossale filibustering.

Gli eccessi verbali piacciono a Renzi solo quando convengono a lui. Resterà nella storia dell’ossequio senza limiti la confessione di essere «gasatissimo» da Sergio Marchionne. Ve la immaginate la Merkel che si dichiara supergasata dal capo della Mercedes? Il Bestiario no. Altre volte Matteo traveste con paroloni faccende assai più semplici. Il governo alza dal 20 al 26 per cento la tassazione dei conti correnti? I risparmi affidati alle banche diventano subito «operazioni finanziarie». 

L’eccesso parolaio nasconde di continuo una realtà ben più misera. Renzi ripete ogni volta che l’eccellenza di un leader politico si misura sulla capacità di scegliere collaboratori più bravi di lui. Non sembra che sia così, se osserviamo il gineceo delle ministre che lo attorniano. Una, la Maria Teresa Lanzetta, è già sparita nel buio. Rimangono sul palcoscenico signore per ora sotto i riflettori: Madia, Pinotti, Giannini, Guidi e soprattutto la favorita, Maria Elena Boschi. La Federica Mogherini, spedita da Renzi a guidare la politica estera europea, si è rivelata una principiante inesperta e condannata all’inesistenza.

Il Fiorentino si pone il problema di tante brave signore destinate all’oblio? No di certo. Il nuovo direttore del Foglio, Claudio Cerasa, ha osservato con intelligente arguzia: «Il concetto chiave del renzismo è accentrare per governare. Il risultato di questo processo lo si osserva ogni giorno nei rapporti tra il governo e la Presidenza del consiglio. La netta impressione è che tutti i ministri, tranne forse Maria Elena Boschi, siano diventati viceministri dei veri ministri, quelli con le casacche da consiglieri o da sottosegretari del capo del governo che si muovono per Palazzo Chigi».

Tra loro troviamo personaggi che il pubblico non conosce. Un esempio per tutti? Luca Lotti, un giovanotto di provincia che ha ricevuto da Matteo più di una delega: all’Informazione, alla Comunicazione del governo, all’Editoria, persino alla Pianificazione e organizzazione del centenario della Prima guerra mondiale e del settantesimo anniversario della Resistenza. Lustrini e pennacchi? Per niente.

Lotti è l’uomo invisibile che custodisce i segreti del potere renzista. Il solo che potrebbe sciogliere un enigma: esiste il Cerchio Viola di Matteo, l’ultimo esemplare di tanti cerchi magici di altre storie politico-affaristiche, nato a Firenze e oggi dilagante anche all’estero? 

Il giorno che il premier deciderà di ritirarsi perché è riuscito a fare tutto oppure niente, gli editori andranno a caccia di best seller che non avranno nulla da invidiare a una spy story politica o a un super romanzo che svelerà il lato oscuro del potere italiano. Oggi bisogna attenersi a ciò che si vede dopo un anno di renzismo. Ovvero al risultato pratico di un governo che festeggia un anno di vita.

Le mitiche riforme istituzionali stanno ancora sulla carta o sono incompiute. Il Senato lo vediamo sempre dove stava da decenni. La legge elettorale, l’Italicum disegnato sulla statura di Matteo, non esiste ancora. Idem per la riforma del pubblico impiego, quella fiscale, quella della giustizia. La riforma del lavoro, il Job Act, non si conosce se funzionerà. In compenso le tasse non sono state per niente abbassate, checché ne dica il premier. Il taglio vero della spesa pubblica è di là da venire. In compenso Renzi ha fatto un abuso stratosferico del voto di fiducia. Una settimana fa eravamo a quota trentaquattro. Oggi siamo a quota quaranta o giù di lì. 

Comunque il governo regge perché non ha alternative. A questo punto esiste una domanda inevitabile: il renzismo piace agli italiani? Sul tempo corto sì. Perché è visto come un nemico della Casta politica, il soggetto più odiato dai cittadini senza potere, un insieme di eccellenze che vivono nel timore di essere rottamate e di uscire dal Parlamento senza biglietto di ritorno.

E sul tempo lungo? Nessuno è in grado di dirlo. Renzi ripete di continuo che il 2015 sarà l’Anno Felix dell’Italia. Ma se lo diciamo in una fabbrica, su un treno di pendolari o al bar, la gente ci prende per matti. Il Fiorentino può aumentare il volume delle chiacchiere e la potenza delle minacce. Eppure anche lui è appeso a un filo. In tanti possono tagliarlo. A cominciare da una catastrofe dovuta a un atto di terrorismo del Califfato nero. Un soggetto che neppure l’astuto Matteo aveva messo in conto.

lunedì 23 febbraio 2015

L'intervista di Giancarlo Perna L'anatema di Crosetto alla Meloni: "Giorgia stai attenta a Matteo Salvini"

Guido Crosetto: "Silvio deve passare il testimone, ma Salvini non è l'uomo giusto"


Intervista a cura di Giancarlo Perna 


Dopo esserci accordati telefonicamente per l’intervista, Guido Crosetto mi richiama e dice: «Mi è venuto un dubbio: tu sai che mi sono dimesso da tutto e sono tornato a vita privata?». «Certo che lo so. Sta tranquillo», gli ho risposto ridendo e abbiamo confermato l’appuntamento. L’episodio descrive la scrupolosità di Guido che mai approfitterebbe di un equivoco per apparire su un giornale come avrebbe invece fatto un presenzialista ad ogni costo.

L’incontro è nel suo ufficio di presidente dell’Aiad, la Federazione delle aziende italiane produttrici di armamenti, collegata al dicastero della Difesa di cui Crosetto fu sottosegretario nell’ultimo governo Berlusconi (2008-2011). Sono nove mesi che Guido, dopo essersi dimesso dalla presidenza di Fratelli d’Italia, ha assunto la carica (gratuita) lasciando la politica. «Una liberazione» spiega. «Ho smesso di parlare di bene comune e urlare senza essere ascoltato. Vivo meglio». «Non sembra», ribatto guardandone l’aria sfatta. «Oggi sono giù» conferma. «Appena tornato dall’Egitto, dove ho incontrato gli Stati maggiori occupati con la guerra all’Isis, in casa ho trovato un’emergenza familiare. Ho la nostra bimba di sedici mesi con febbre a quaranta mentre la mia compagna sta aspettando il secondo figlio ed è prossima al parto. Sono bloccato mentre avrei un mucchio di impegni».

Il cinquantunenne «gigante di Marene» è davvero un omone. Quando ti guarda dall’alto dei suoi due metri sembra che cerchi uno spillo. Ha anche la mitezza di chi sa di poterti annichilire con uno spostamento d’aria. Di lui si ricorda un solo dispetto. Quello fatto da adolescente ai genitori, che erano liberali, dichiarandosi dc per mero spirito di ribellione. I Crosetto, schiatta piemontese della provincia di Cuneo, quella di Giolitti e Einaudi, erano liberali per convinzione e ruolo essendo titolari di una grande impresa costruttrice di macchine agricole. Azienda oggi in mano al Crosetto che ho di fronte. In veste dc, Guido è diventato a 27 anni sindaco di Marene (una sgambata da Cuneo) e per tre lustri ha tenuto l’incarico. Sparita la Dc e apparso il Berlusca, Crosetto è tornato nell’alveo familiare e ha aderito a Fi, diventandone deputato per tre legislature, dal 2001 al 2013. Poi, deluso dall’inconcludenza del Cav, ha fondato Fdi con Giorgia Meloni. «Sodalizio durato, sì e no, un annetto», osservo. «Non per lei, che è brava» risponde Guido. «È stata un’esigenza mia. Non ero più combattivo. In politica, non si può solo sopravvivere. Bisogna avere energia. Così, ho preso una pausa entrando nella sfera privata». «Ma eri in crisi da tempo, deluso dal Cav», gli ricordo. «Contestavo la sua politica economica, per me distruttiva. Il distacco vero è iniziato con la fine del suo governo e l’appoggio a Monti che si è prostrato all’Ue, peggiorando la situazione. A quel punto, ho lasciato il partito. L’ho fatto prima delle elezioni. Senza salire sulla barca, per poi lasciarla una volta eletto. Com’è in uso», dice con orgoglio ma stancamente. Un po’ è mogio, ipotizzo, perché non fuma. Un tempo, tirava cento Marlboro al giorno. Ora strapazza oggetti strizzandoli tra le dita.

«C’è ancora il centrodestra?», dico a bruciapelo. «Ci sono» risponde. «Tanti pezzi di un futuro contenitore. Prima o poi, dovrà pur nascere qualcosa di simile al Pd che raggruppi il centrodestra attorno a un leader. Ne va dell’alternanza. Se manca, non c’è democrazia». «Voti ancora da quelle parti?», domando. «Ormai, diffido dei partiti. Meglio votare le persone. Quelle serie», replica. «Tipo?», chiedo. «Persona seria è Giorgia Meloni. Nel Pd, considero seria Roberta Pinotti...», «Per forza» lo blocco «è ministro della Difesa, il primo cliente delle aziende armiere tue associate. Stai provando a fare il lobbista con me?». Ride e ribatte: «Non sembra ma di seri ce ne sono tanti in politica. Il leghista Giancarlo Giorgetti; il mio conterraneo Enrico Costa, viceministro della Giustizia. Ne vuoi altri?». Squilla però il suo cellulare. È la mamma dal Piemonte che vuole notizie della nipotina malata. Parlano anche dell’altro figlio di Crosetto, quello del primo letto, che ha diciotto anni e vive lassù nella casa di famiglia. Poi, riprendiamo.

Tra i seri in lista non ho sentito Silvio Berlusconi.

«Il suo tempo è finito. La differenza tra un leader e un grande leader è che il grande sa quando passare il testimone».

Lui invece?

«Per restare mangia i suoi figli, come Cronos. Finché arriveranno figli che mangeranno lui. Silvio è molto cambiato».

Cioè?

«La sua parte migliore era la straordinaria umanità. Ora è freddo e cinico. Cosa che non era mai stato». 

È smarrito.

«Ha rinunciato all’impegno politico. Vuole solo tutelare le aziende frutto del suo lavoro. Ciò lo obbliga a essere filogovernativo. Il proprietario di Mediaset deve stare con chi governa come una volta i proprietari della Fiat. Con la differenza che Agnelli non aveva un suo partito».

La dice lunga sulla mentalità anti industriale del potere italiano.

«Giusto. Un grande imprenditore deve essere attento alla politica per difendere le sue aziende, cosa che in altri Paesi non serve. Con l’aggravante che in Italia, oltre che alla politica, si deve guardare alla magistratura poiché anche un singolo giudice può in ogni momento uccidere un’azienda».

Dai ragione alla sinistra che ripete da vent’anni: il Cav è in politica per i suoi interessi.

«È vero oggi, non vent’anni fa. Avere ragione vent’anni dopo, non significa affatto averla avuta allora. Anzi».

Meloni e il suo partito segnano il passo.

«Giorgia cresce, il partito è fermo. La credibile è lei».

L’astro di Matteo Salvini è vera luce?

«Mediaticamente, è sveglio come un furetto. Ma pensa solo ai voti. Non a farsi una squadra per realizzare un progetto. Crede di essere autosufficiente».

Vuole uscire dall’euro.

«L’euro è fatto per l’economia tedesca. Per noi è un problema. Uscirne è difficile, rimanere letale».

Se tu fossi premier?

«Lascerei l’euro. L’avrei fatto da tempo. Più si va avanti, più è complicato. Dal 2008 abbiamo perduto il 25 per cento della nostra ricchezza. L’Italia è il Paese che più ci ha rimesso con l’euro».

Il patto del Nazareno è stato buona cosa?

«Per Renzi presidente del Consiglio un vantaggio straordinario. Altrettanto per Berlusconi azionista di Mediaset».

Cosa ti piace in Renzi?

«La determinazione, l’energia, la pazzia, il gusto del rischio. Tutte caratteristiche fondamentali per un leader».

Cosa ti spiace?

«Gli manca una classe dirigente per il Paese. Come Salvini si reputa autosufficiente. Però ha più carisma di chiunque. Da cittadino, mi dispiacerebbe se lo sprecasse. Penso che l’interesse nazionale venga prima di quello di partito».

Il Cav, indispettito per Mattarella, rinnega quanto ha fatto per un anno con Renzi.

«Se fino a ieri hai appoggiato, come fai ora a criticare? Surreale».

Mattarella?

«Lo conosco bene. Un galantuomo».

Come ex dc hai un debole per lui?

«Ho un debole per le persone perbene».

Se il Cav rifacesse le promesse già fatte, gli crederesti votandolo?

«Mi trovi una moglie che dopo tre-quattro tradimenti crede ancora al marito o viceversa?».

Guerra all’Isis?

«Quando un’organizzazione ha per scopo di eliminarti perché hai una religione diversa o per obiettivo la tua capitale perché sede di una religione diversa, non hai molta scelta: devi difenderti».

Ti fidi di più di Obama o Putin?

«Obama in politica estera ha sbagliato tutto, vedi la Libia. Con Putin vorrei rapporti migliori. Lui non è un problema per noi. L’integralismo islamico, sì».

L’Italia è eternamente marginale.

«Non sappiamo presentarci come sistema Paese. All’estero la nostra delegazione è formata dall’ambasciatore, l’addetto militare, il rappresentante Ice e cinque aiutanti. La Francia, se il Paese è di suo interesse, ci installa duecento persone con i controfiocchi».

Come vedi il nostro futuro?

«Con preoccupazione. Anche se visitando Paesi con più prospettive di noi, mi sono reso conto che, per qualità, il nostro sistema industriale è tra i primi».

Se, scoraggiato, farai le valigie, per dove?

«La provincia di Cuneo. Non c’è niente di meglio».

Clamorosa intercettazione di Bossetti Ai detenuti dice: "Non confesso perché...."

Yara, Bossetti intercettato in carcere: "Non confesso per la mia famiglia"





Proprio il giorno in cui il pool difensivo di Massimo Bossetti fa una conferenza stampa per smontare le accuse contro di lui, diventa pubblica un'intercettazione in cui di fatto il muratore ammette le sue colpe. "Rischierò l’ergastolo, ma non confesso per la mia famiglia". Questo il senso delle chiacchiere tra Massimo Bossetti, indiziato numero uno del delitto di Yara Gambirasio, e gli altri detenuti del carcere di Bergamo. Le affermazioni del muratore di Mapello sono state acquisite dai magistrati che indagano sull'uccisione della 13enne di Brembate. Ma il legale Claudio Salvagni insiste: "Non confessa, perché non ha fatto nulla. Non crolla, perché vuole dimostrare la sua innocenza". La pensa diversamente il pm che indaga sull'omicidio della povera Yara, Letizia Ruggeri, che ritiene interessanti queste ammissioni. 

Tracollo della Roma, Juventus a +9 Tre punti salvano (per ora) Pippo

Roma pareggia a Verona, Milan torna a vincere contro il Cesena





La Roma non va oltre il pareggio a Verona (1-1) e la Juve, che ha giocato nell'anticipo di sabato 21 febbraio vincendo contro l'Atalanta 2-1, allunga a +9 in classifica. I giallorossi non riescono ad espugnare il Bentegodi pur essendo riusciti a passare in vantaggio grazie ad una rete di capitan Totti. Il pari scaligero non tarda ad arrivare ed è opera di Jankovic che costringe Keita ad un’autorete. Al 20’ della ripresa Garcia toglie Totti, che avrebbe gradito giocare ancora qualche minuto, e mette Doumbia ma il punteggio non cambia. Il Milan respira e Inzaghi scampa l'esame contro il Cesena battuto 2-0. A riportare un accenno di sorriso ai rossoneri è il gol di Bonaventura e Pazzini dopo una partita giocata sempre con aggressività. Ora in classifica, con 33 punti Inzaghi si sente meno minacciato. 

La Lazio trema all’inizio, va sotto all’Olimpico contro il Palermo, poi riesce a ribaltare il risultato. Un errore di Mauricio regala a Quaison e poi a Dybala la palla che permette ai rosanero di passare in vantaggio. La squadra di Iachini potrebbe anche raddoppiare, invece la Lazio pareggia con Mauri e nella ripresa segna il 2-1 con un gran gol di Candreva, che rovina tutto infortunandosi festeggiando (sostituito da Onazi). L’Empoli polverizza per 3-0 un Chievo inesistente, grazie alla rete di Rugani, la terza in campionato per il difensore, e alla doppietta del sempre verde Maccarone. il tecnico Sarri si affida al 4-3-1-2, con Saponara, tornato disponibile dopo la varicella, a sostegno del tandem offensivo composto da Tavano e Maccarone. Per Torino e Fiorentina pesano ancora nelle gambe gli impegni in Europa league. 1-1 al fischio finale, ma nel mezzo c'è un rigore sventato da Padelli più che sicupato dal viola Babacar. Bisognerà aspettare gli ultimi minuti di gara per vedere esultare Salah che firma il vantaggio della Fiorentina e due minuti dopo Vives che ripristina il pari.

Oggi 23 febbraio i posticipi con Napoli-Sassuolo alle 19 e Cagliari-Inter alle 21. Rinviato a martedì sera per il campo impraticabile il derby della lanterna tra Sampdoria e Genoa. Non ha ancora una data invece Parma-Udinese, rinviata per i problemi finanziari della squadra di Donadoni.

Brutto incidente per Fernando Alonso: ecco cosa è successo al campione

Fernando Alonso, incidente in pista: ecco cosa è successo





Incidente per Fernando Alonso nella quarta e ultima giornata di test sul tracciato catalano di Montmelò. Il pilota spagnolo della McLaren è finito fuori pista alla curva 4. L’asturiano è stato trasportato al centro medico del circuito. Secondo le prime informazioni, le condizioni del pilota non destano preoccupazioni. Il pilota della McLaren è cosciente e parla, ha fatto sapere lo staff medico del circuito. Non è chiara la dinamica dell’incidente del 33enne asturiano. Il team non si è ancora espresso ufficialmente.

Le condizioni -  Dopo i primi accertamenti nel centro medico del circuito, dove è giunto in ambulanza, il pilota è stato trasportato in elicottero in un ospedale di Barcellona. Intanto, dal profilo twitter del circuito arrivano informazioni confortanti: "Sembra che Alonso stia bene. Speriamo che tutto sia a posto e che sia solo un grande spavento".

Il commento - "È sembrato strano". Sebastian Vettel era alle spalle di Fernando Alonso quando il pilota spagnolo della McLaren è stato protagonista di un incidente nella quarta giornata dei test di Montmelò. "Era davanti a me e andava relativamente piano, credo andasse a circa 150 km orari", ha detto il pilota tedesco della Ferrari, come riferisce il magazine Auto, motor und sport. "Poi, è andato a destra verso il muro e lo ha urtato un paio di volte. A quel punto l’ho perso di vista", ha aggiunto.