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sabato 7 febbraio 2015

Renzi a caccia di montiani e forzisti Belpietro: ecco di cosa ha paura

Belpietro: ecco perché Renzi ha paura e va a caccia di montiani e forzisti

di Maurizio Belpietro 



Da quando Matteo Renzi è riuscito a imporre il suo candidato al Colle non c’è più niente che lo tenga. Il nostro presidente del Consiglio viaggia a qualche metro da terra, convinto che dopo aver spianato l’opposizione interna ed esterna, presto camminerà sulle acque e moltiplicherà anche pani, pesci e occupati. Lo stato d’animo del premier - che, vale la pena di ricordarlo, appena dieci anni fa era il giovane segretario della Margherita in una provincia come quella di Firenze in cui contavi solo se eri diessino - è comprensibile. Meno comprensibile è però che non faccia nulla per nasconderlo, lasciandosi andare a uscite che paiono quelle di un bullo di provincia. L’altro ieri ai ministri dell’Udc che cercavano di salvare almeno la poltrona se non la faccia ha risposto di non avere tempo da perdere con i partitini, aggiungendo che se qualcuno deve leccarsi le ferite non è certo affar suo. Un tono sprezzante e sicuro che ieri ha replicato, ma questa volta rivolto all’ex compagno di patto Silvio Berlusconi. Dopo la fregatura del Quirinale, il Cavaliere ha riunito l’ufficio di presidenza e ha dichiarato decaduto il patto del Nazareno, precisando che Forza Italia valuterà di volta in volta se votare a favore o contro le riforme. Beh, sapete che ha risposto il presidente del Consiglio per tramite della vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani? Meglio, così: non avendo tra i piedi Berlusconi e Brunetta riusciremo a farle prima. 

Ora, si può discutere o meno se le riforme siano di buona o cattiva qualità, se siano utili o dannose per il Paese. Ciò che non è in discussione è che se a un anno di distanza questi provvedimenti non sono legge dello Stato, la colpa non è di Forza Italia, ma della minoranza del Partito democratico. Sono loro, i sinistri del Pd, ad aver rallentato la lunga marcia del Grande timoniere toscano, non certo il Cavaliere, che anzi per dodici mesi ogni volta che si è reso necessario è andato in soccorso di Renzi, facendogli trovare quei voti che mancavano, anche a prezzo di perdere i suoi. Senza di lui di sicuro l’Italicum non sarebbe arrivato in porto e se lo fosse sarebbe stato molto diverso da quello approvato, nel senso che non garantirebbe al premier di poter vincere le elezioni e per di più con la possibilità di scegliersi (lui, non gli elettori) gli uomini da mandare in Parlamento. Dicendo quel che ha detto, Renzi non solo mistifica la realtà, ma soprattutto tende a nascondere il vero problema che ha davanti, ossia che se fino ad oggi ha giocato le sue carte su più tavoli, quelli del Pd, di Forza Italia e infine perfino di Cinque Stelle e Sel, ora rischia di essere ostaggio della sinistra radicale. 

Che cosa intendiamo dire? Che se mentre, fino all’altro ieri, il premier teneva a bada la sua minoranza interna cercando e trovando sponda in Silvio Berlusconi e in Forza Italia, adesso, avendo tirato un pacco all’alleato che lo ha sostenuto dall’esterno e anche a quelli che come Ncd lo hanno fatto dall’interno, il secondo forno con cui finora il suo governo ha panificato non sarà più disponibile. Senza Berlusconi le riforme viaggeranno più spedite? Dipende, se il presidente del Consiglio si piegherà ai voleri dei dissidenti su legge elettorale, Jobs act e altro è possibile che le leggi abbiano un iter meno accidentato. Ma è anche altamente probabile che le norme varate siano assai meno efficaci di quelle che Renzi vorrebbe varare. Mandando all’inferno il Belzebù di Arcore, il presidente del Consiglio si lega ad altri diavoli e non è detto che finisca meglio che con il Cavaliere. Né si può pensare che il governo riesca a stare a galla con un altro gruppo di responsabili composto da ex Ncd, ex Cinque Stelle ed ex Forza Italia, come da un paio di giorni il premier lascia filtrare nella speranza di convincere Berlusconi a non fare un passo indietro. A parte che forse qualcuno potrebbe storcere il naso di fronte a una compravendita di parlamentari, ma pensate davvero che ci si possa fidare di gente sempre pronta ad andare in soccorso del vincitore? Rischieremmo di rivedere a sinistra quello che vedemmo nel 2010 con Scilipoti e Razzi, con i risultati che sono noti.

Dunque non è vero che ci sono tre forni, come si è scritto in questi giorni: quello di governo, quello delle riforme e quello per il Quirinale. Forse i tre forni ci sono stati, ma oggi Renzi rischia di averne uno solo ed è composto dal suo partito cui si uniscono Sel e un po’ di Cinque Stelle scappati da casa Grillo. Se rompe con il nuovo centrodestra e soprattutto con Forza Italia, il presidente del Consiglio si lega alla solita sinistra, ovvero a chi gli ha messo sin dall’inizio i bastoni fra le ruote per quanto riguarda le riforme e anche per il lavoro. Insomma, Renzi fa il bullo, ma - come ogni buon giocatore d’azzardo - sta bluffando. È vero che a Ncd e anche a Forza Italia conviene essere della partita piuttosto che esserne esclusi, ma conviene anche a Renzi, il quale poi dovrebbe governare con Vendola. Del resto, nonostante alzi i toni, l’ex Rottamatore guarda con occhio attento gli umori degli italiani. Un occhio tanto attento che per aver sottomano i sondaggi sul suo consenso, Palazzo Chigi ha appena sottoscritto un contratto da 70mila euro. E la chiamano spending review. 

Kyenge tradita dai suoi "compagni" Anche per il Pd sembra un orango

Cécilie Kyenge triste per il Pd che salva Roberto Calderoli





L'ex ministro Cécile Kyenge non si dà pace dopo che la giunta per le immunità al Senato ha deciso che Roberto Calderoli non la ha insultata. "Quando vedo la Kyenge - disse il leghista vicepresidente del Senato - non posso non pensare a un orango". La giunta ha deciso che quella frase rientra nell'insindacabilità parlamentare, Calderoli poteva dirlo e lo hanno confermato con il voto a favore i parlamentari di Lega, naturalmente, Autonomie, Ncd, Forza Italia e addirittura del Pd, proprio il partito dell'ex ministro.. "Quando vedo la Kyenge - disse il leghista vicepresidente del Senato - non posso non pensare a un orango". La giunta ha deciso che quella frase rientra nell'insindacabilità parlamentare, Calderoli poteva dirlo e lo hanno confermato con il voto a favore i parlamentari di Lega, naturalmente, Autonomie, Ncd, Forza Italia e addirittura del Pd, proprio il partito dell'ex ministro.

Dem a corrente alternata - Ed è proprio con i suoi compagni di partito che se la prende la Kyenge in un'intervista su Repubblica: "Se l'abbiano fatto con calcoli elettorali - ha detto - la troverei una cosa ancora più grave". Insomma per l'ex ministro i piddini si può anche scaricare una delle grandi battaglie di civiltà pur di raccimolare qualche voto in più in aula e dire candidamente che pure loro potrebbero pensare a un orango davanti a una foto del primo ministro nero d'Italia.

Squillo Marino, ecco la svolta osè: a Roma nasce la zona a luci rosse

A Roma la prima zona a luci rosse riservata alle prostitute





Il primo quartiere a luci rosse in Italia nascerà a Roma entro tre mesi. La sperimentazione targata giunta Marino ha individuato al quartiere Eur una strada nella quale la prostituzione sarà tollerata.

Recupero sociale - L'operazione secondo gli amministratori del IX municipio romano dicono sia a sfondo sociale. Per ora è chiaro che il progetto costerà 5mila euro al mese per pagare le unità di strada, gli operatori sociali che seguiranno le ragazze nei loro bisogni e proveranno a tutelarle dagli sfruttatori.
Lontano dagli occhi - Secondo l'huffingtonpost.it l'idea è di allontanare le prostitute dal centro abitato. La pia speranza del presidente del IX municipio, Andrea Santoro, è di frenare il fenomeno della prostituzione imponendo multe fino a 500 euro per quei clienti indisciplinati, scoperti fuori dall'area autorizzata.

Esasperati - Santoro racconta come oggi le prostitute sostino indisturbate sotto le abitazioni ogni sera e il giorno dopo: "In ogni angolo del quartiere, ritroviamo le strade piene di preservativi usati gettati per terra". Non proprio quindi una zona a luci rosse, come già presenti in altre città europee, l'idea assomiglia più a un bel recinto nelle campagne romane.

giovedì 5 febbraio 2015

Giordania, la rabbia e l'orgoglio: bombarda Mosul e lo Stato islamico

Isis, la Giordania bombarda Mosul. L'Imam del Cairo: "Terroristi da crocifiggere, tagliategli mani e piedi"





I jihadisti dello Stato islamico andrebbero crocifissi e si dovrebbero tagliare loro mani e piedi. A sostenerlo non è un ultrà cristiano inorridito dal prigioniero giordano bruciato vivo dai tagliagole dell'Is ma, al contrario, una delle principali autorità del mondo islamico. Ahmed Al Tayeb, grande imam della moschea egiziana di Al Azhar a Il Cairo e massima istituzione sunnita (la stessa fazione a cui appartengono i miliziani del Califfato di Al Baghdadi), ha lanciato un proclama attraverso l'università di Al Azhar esprimendo riguardo all'ultima terrificante esecuzione "profonda indignazione per questa azione terrorista ignobile che esige la sanzione indicata dal Corano per questi tiranni che corrompono e che fanno la guerra ad Allah e al suo messaggero. Devono essere uccisi, crocifissi e bisogna tagliare loro le mani e i piedi". Secondo Al Tayeb l'Isis è una "organizzazione terrorista satanica" mentre l'uccisione del pilota giordano è "un'azione maligna". Quindi l'appello "alla comunità internazionale perché lotti contro questa organizzazione terroristica che perpetra azioni selvagge e barbare che non soddisfano né Allah né Maometto". 

La Giordania bombarda Mosul - Il re Abdullah II di Giordania, a cui Al Tayeb ha espresso "solidarietà", ha intanto avvertito che Amman darà una "dura risposta" allo Stato islamico per l'assassinio del pilota: "Il sangue dell'eroe martire non resterà senza la severa risposta della Giordania e del suo esercito a questo atto codardo e criminale perché questa organizzazione terroristica non solo lotta contro di noi, ma anche contro l'islam e i suoi nobili valori". Secondo fonti giordane, poi confermate in serata, l'aviazione ha bombardato Mosul, la capitale irachena dello Stato islamico. La Giordania ha dunque ripreso, con maggior vigore, le operazioni militari iniziate mesi fa insieme all'alleanza internazionale guidata dagli Stati Uniti.

Mentana vs Sardoni, show dalla Bignardi Carrambate e imbarazzi: "Quella volta..."

Le Invasioni barbariche, Daria Bignardi ospita Enrico Mentana, Alessandra Sardoni e Paolo Celata: battute e imbarazzi...

di Claudio Brigliadori 



Quando dopo qualche minuto Daria Bignardi fa la carrambata e chiama in studio Enrico Mentana, a Le invasioni barbariche cala il gelo per un secondo. Il direttorissimo del TgLa7 prende la sedia e si piazza proprio in mezzo ai protagonisti fino a quel momento, i due suoi inviati Alessandra Sardoni e Paolo Celata: "E' l'ultimo loro giorno di lavoro a La7". La Bignardi aveva appena finito di rimbrottare la Sardoni: "E' vero che la prima regola per lavorare con Mentana è non offendersi mai?". Mentre Celata risponde secco "sì", la brava Alessandra tace, un po' imbarazzata. "Ma sai che sei un po' paracula?", scherza la Bignardi, prima di far venire un coccolone ai suoi ospiti mettendoli faccia a faccia con l'incontentabile Mentana. 

Filippo Lupi @F_Lupi

Mentana non puoi mettere baby Sardoni in un angolo... #leinvasioni
21:50 - 4 Feb 2015

Il direttore e gli inviati - Per molti, su Twitter e Facebook, la partecipazione dei due giornalisti del TgLa7 alle Invasioni era l'evento televisivo della settimana (o forse più). L'ebrezza di vedere la stakanovista Sardoni fuori da dirette e conduzioni stile 30 ore per la vita era pari solo alla malinconia di saperla "ostaggio" di La7 anche nella sua forse unica serata libera. Entrambi, sono stati grandissimi protagonisti delle dirette quirinalizie per l'elezione del presidente Mattarella. La Sardoni (diventata grazie ai suoi guanti una icona lesbo) stasera è malata, ha 38 di febbre: "Malata, mah...", si mostra scettico Mentana. Poi via a qualche indiscrezione succulenta: "Avevo visto Berlusconi scherzare ma non me la sono sentita di rincorrerlo per intervistarlo, i Corazzieri potevano abbattermi", ricorda Celata. "Dovevi farlo, ti liberavamo noi", è stata la risposta del suo direttore, che poi si lascia scappare: "Avevamo Maurizio Gasparri in diretta, lui si dilungava e gli ho detto: Ci dobbiamo lasciare, c'è la pubblicità. Non era vero". 

La sfuriata di Mentana - Quando parla Mentana, la Sardoni lo guarda rapita: "E' innamorata", la stuzzica la Bignardi. "No, è ambigua - puntualizza un po' velenoso Enrico Mitraglietta -. Lei dice: Cosa mi giova?". Un rapporto spiazzante a cui i telespettatori sono abituati: Mentana chiede l'impossibile e la Sardoni, che su Facebook si è addirittura guadagnata una pagina dedicata, infaticabile, intervista, insegue, carpisce, aggiorna. "Solo una volta mi sono arrabbiato furiosamente con lei - la pungola -: avevamo rifatto tutta la scenografia nuova e lei l'ha usata come fosse ancora quella vecchia".

Quella strana frase nel cuore della notte: così "Repubblica" umilia la Finocchiaro...

Anna Finocchiaro umiliata da "Repubblica": quello strano tweet nel cuore della notte





Accade tutto a notte (quasi) fonda. Siamo intorno alla mezzanotte. E l'account Twitter (ufficiale, eh) di Repubblica ritwitta un cinguettio di Sebastiano Messina, firma del quotidiano debenedettino. Nella foto potete leggere il tweet, piuttosto esplicito, in cui viene ripresa una frase di Silvio Berlusconi, che al Quirinale, nel giorno dell'insediamento di Sergio Mattarella, rivolgendosi ad Anna Finocchiaro avrebbe detto: "Noi abbiamo sempre tifato per lei". E dunque il commento di Messina: "Parole che ci fanno apprezzare ancor di più Mattarella". Come dire che la Finocchiaro è poco di buono, reso ancor peggio dall'apprezzamento di Berlusconi. Niente di male, per carità, nel pensiero di Messina: ognuno dice ciò che vuole, soprattutto su Twitter. Ciò che fa specie, al contrario, è il fatto che il pensiero venga ritwittato - e dunque "sposato" - dall'account ufficiale di Repubblica, che si diverte ad "umiliare" la Finocchiaro sui social. Sì, proprio la Finocchiaro del Pd...

Silvio dice addio al patto del Nazareno: "Rotta l'intesa con Renzi, ci ha tradito"

Forza Italia, la svolta: "Il Patto del Nazareno è rotto"





Fine dei giochi: il patto del Nazareno è rotto. L'intesa siglata tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi è giunta al capolinea. Il Patto è finito sul banco degli imputati nel corso del tesissimo ufficio di presidenza "ristretto" che si è tenuto a Palazzo Grazioli. I vertici di Forza Italia hanno duramente criticato le posizioni assunte da Renzi nel corso della corsa quirinalizia che ha portato all'elezione di Sergio Mattarella. Posizioni, quelle del premier, che hanno portato alla rottura: "E' stato Renzi a disattendere la parola data, ad assumere un metodo non corretto e a non rispettare il Patto".

L'annuncio - Dunque, nel corso della riunione, è stato Giovanni Toti ad annunciare che "il Patto del Nazareno così come lo avevamo interpretato fino ad oggi noi lo riteniamo rotto". Una posizione che l'europarlamentare aveva già anticipato in un'intervista di poche ore prima a Maurizio Belpietro. "Il governo - ha aggiunto - ha già detto con grande chiarezza che proseguirà sul cammino delle riforme, ma noi non ci sentiamo legati a condividere la strada perché prevedeva un presupposto fondamentale, che era: sulle istituzioni si sceglie insieme e dunque anche sul capo dello Stato".

"Meglio così" - La prima replica da parte del Pd è arrivata dalla vicesegretaria Debora Serracchiani, che in una nota ha scritto: "Se il patto del Nazareno è finito, meglio così". Nel vertice a Palazzo Grazioli, però, non si è parlato soltanto del Patto, ma anche - e soprattutto - del partito. Nel corso del tesissimo summit, Renato Brunetta e Paolo Romani hanno presentato le loro dimissioni, ma Silvio Berlusconi le ha respinte, riconfermando i vertici del partito (nonostante i durissimi attacchi di Raffaele Fitto).

"Stima per Mattarella, ma..." - Nel dettaglio, un comunicato diffuso da Forza Italia al termine della riunione, spiega: "Denunciamo il metodo scelto dal Partito democratico per arrivare alla designazione del candidato Presidente". E ancora: "La stima e il rispetto, umano e politico, per la persona designata, non possono farci velo nel giudicare inaccettabili le modalità adottate nella trattativa tra le forze politiche dal partito di maggioranza relativa. Modalità che hanno sconfessato quel principio di condivisione delle scelte istituzionali, elemento fondante del patto sulle riforme da noi sempre onorato".

Passo indietro - "La decisione di procedere unilateralmente - si legge ancora nel comunicato - all’indicazione della più alta carica dello Stato in un momento tanto delicato per le nostre istituzioni, interessate dal più vasto cambiamento dall’approvazione della Costituzione Repubblicana, costringe il nostro movimento politico a denunciare lo spirito e i presupposti degli accordi che hanno fin qui guidato il cammino delle  riforme approvate insieme al Partito Democratico e alle altre forze di maggioranza".