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giovedì 17 luglio 2014

Il trionfo di Renato Brunetta: nominato da Berlusconi "capo dei..."

Forza Italia, a Renato Brunetta il compito di coordinare l'opposizione a Renzi



Nel nome de Il Mattinale, già foglio ufficiale di Forza Italia e, da oggi, sempre più summa della linea politica degli azzurri. Un vertice infuocato, quello di ieri, martedì 15 luglio. Una riunione tesissima, dove Silvio Berlusconi ha tappato la bocca ai dissidenti - suo l'unico intervento - ed ha chiarito che dalla strada del Patto del Nazareno non si deve svicolare. Sostegno ad alcune riforme di Renzi, pur restando all'opposizione. Una posizione contorta? Forse. Almeno così la pensano i dissidenti, Raffaele Fitto e Augusto Minzolini in testa (il Minzo ha rivelato: "Silvio mi ha mandato affa..."). Ma l'alchimia non è impossibile se a realizzarla è quel vecchio lupo di Renato Brunetta, animatore e cuore pulsante de Il Mattinale, appunto.

Il capo dei... - Ma procediamo con ordine. Dopo le accuse e le controaccuse, dopo le liti e le parole grosse, in San Lorenzo in Lucina il Cavaliere ha spiegato: "Sono vent'anni che mi date la vostra fiducia, vi chiedo di confermarmela ancora una volta. Onoriamo il patto del Nazareno, anche se non sono le nostre riforme ideali ma quelle possibili. Perfino se noi ci sfilassimo, Renzi avrebbe i numeri per farle da solo. E comunque - ha proseguito Berlusconi - sono stati compiuti grandi passi avanti rispetto al testo originario. Faremo opposizione dura ma sull'economia, e sarà Brunetta a coordinare le iniziative". Un passaggio, quest'ultimo, che suona come la definitiva consacrazione dell'ex ministro della Pubblica amministrazione, che da tempo, con Renzi, usa più il bastone che la carota. Sarà dunque Brunetta a gestire tutte le difficoltà di una linea "ballerina", quella di Forza Italia nei confronti di Renzi. Per Renato un nuovo ruolo, ora messo nero su bianco: quello di "capo dei rompiballe". Proprio come è delegato a Il Mattinale il compito di "rompere le balle" (a Renzi, il premier da appoggiare, ma non su tutto. Affatto).

M5s, la clamorosa resa di Beppe Grillo: "Sono stanco, lascio. Ora il leader è..."

M5s, Grillo: "Io sono stanco, il capo è Casaleggio"



Un commissariamento. Chiamatelo pure così. Gianroberto Casaleggio toglie la leadership ai grillini rampanti come Di Maio e prenede casa a Roma per controllarli da vicino. Il guru ombroso padre-padrone del Movimento Cinque Stelle è pronto a calare sulla Capitale per guidare gli scalmanati eletti pentastellati. Lo ha spiegato oggi Beppe Grillo durante un incontro con alcuni senatori del Movimento. Casaleggio da settemrbe prenderà casa a Roma "anche per coordinare l'indirizzo del M5S". Insomma, le pile del telecomando si sono scaricate e il duo Grillo-Casaleggio, complice la batosta elettorale e i sondaggi non esaltanti, ha deciso di prendere in mano le redini della situazione. Per Casaleggio il passo da guru a badante è stato veloce.

Grillo abdica - Da tempo infatti alcuni pentastellati come Di Battista e Luigi Di Maio rivendicano un ruolo di primo piano nel movimento. Ruolo che mette a rischio la leadership di Grillo e dello stesso guru. Lo stesso Beppe sente il fiato sul collo del guru: "Sono stanco, non ce la faccio a venire spesso a Roma. E poi io sono il motivatore, il capo politico è Casaleggio". Una frase quella di Grillo sussurrata durante il suo blitz a palazzo Madama che ha creato tensione dentro il Movimento. I pentastellati dopo la batosta alle europee sono in cerca di identità e soprattutto di un nuovo leader...

Occhio, torna l'incubo dello spread: ecco perché l'Europa rischia grosso

Europa, il default del Banco Espirito Santo fa tremare l'Euro



Un'altra crisi alle porte come quella del 2008? Difficile dirlo. I segnali sinistri ci sono tutti. La ripresa che non parte nella zona euro e i governi che ritornano a guardare i valori dello spread. Ad allertare i mercati è stato il default del Banco Espirito Santo portoghese. Questa volta, però, l’epicentro del terremoto non è a Manhattan come nel caso di Lehman Brothers, ma a Lisbona. I problemi della banca portoghese sono subito fuoriusciti dai confini nazionali. Giovedì scorso, come racconta Francesco Guerrera del Walla Street Journal la sonnolenza estiva nei mercati è stata scossa proprio dalle vicende del Banco Espirito Santo. Le azioni delle borse europee, Milano inclusa, sono andate in caduta libera, le obbligazioni "sicure" quali i buoni del tesoro americano e tedesco sono immediatamente cresciute mentre i prezzi di altri beni-salvezza, come l’oro, sono saliti.

L'allarme - Gli investitori sono tesissimi. La paura che bussa alle porte dei mercati l’ha spiegata Nick Lawson al Wall Street Journal: "E’ il ritorno delle memorie del 2011", ha detto il trader di Deutsche Bank. Quei "ricordi" sono ancora ben visibili sulla pelle di paesi come Grecia, Spagna, Portogallo, Iralanda ed Italia. In quella estate calda del 2011 si consumò proprio il golpe raccontato in Ammazziamo il Gattopardo  di Alan Friedman che costò la poltrona da premier demolita a colpi di spread a Silvio Berlusconi. In casi come questi l'effetto domino è immediato: i governi cadono, gli investitori perdono soldi e la ripresa viene messa sotto terapia della Banca Centrale europea. 
Un altro indicatore del "terrore" dei mercati proviene da Madrid.

Le cause - All’inizio di luglio, i tassi spagnoli erano al 2,65%, poco più del debito venduto dalla Germania, paese molto più solido . Numeri così bassi non sono abbastanza per persuadere gli investitori a rischiare soldi su economie che comunque rimangono deboli, incerte e senza molte prospettive a lungo termine. Gli esperti finanziari parlano di un bivio. La mini-crisi scoppiata a Lisbona potrebbe scemare nei prossimi giorni se il governo portoghese riesce a contenere la situazione e i mercati ritrovano la calma. Oppure, e questa è l'ipotesi peggiore, potrebbe trasformarsi in una maxi-crisi, trascinando l'Europa e l'euro in un'altra estate di passione. Mari Draghi userà ancora il bazooka per portare la calma dopo la tempesta? 

Gag in aula a Napoli. Parla Prodi e Niccolò Ghedini lo sfotte: "Stava bene al governo? Noi..."

Niccolò Ghedini sfotte Romano Prodi: "Stava bene al governo? Lo sapevamo..."



In aula, a Napoli, testimonia Romano Prodi. Nel mirino, al solito, c'è Silvio Berlusconi: in questo caso per il processo sulla presunta compravendita di Senatori che fece crollare il secondo esecutivo del Mortadella, anno di grazia 2008. Si chiede a Prodi se fosse stato a conoscenza delle manovre in corso per far liquefare il suo esecutivo. L'ex premier si mostra cauto, spiega che c'era un "chiacchiericcio continuo". Poi l'obiettivo si sposta su Sergio De Gregorio, l'ex valorista al centro dell'inchiesta. E Prodi spiega: "Se avessi saputo che il senatore De Gregorio intendeva passare al centrodestra avrei avuto più attenzione. Io al Governo ci stavo bene". Il Mortadella chiude con una battuta, alla quale risponde con tempismo Niccolò Ghedini, il legale difensore del Cavaliere, presente in aula: "Lo sappiamo che ci stava bene...". Touché.

TRAPPOLONE EUROPEO PER RENZI Pronta la vendetta dei popolari: ecco cosa chiederanno a Matteo

Ue, il Ppe: "Van Rompuy chiede a Matteo Renzi di nominare Enrico Letta alla presidenza del Consiglio europeo"



Il presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy sta sondando il governo italiano per verificare la  disponibilità alla candidatura di Enrico Letta alla presidenza del Consiglio europeo. La fonte è più che autorevole, il Partito popolare europeo, e il dubbio è lecito: davanti alla faccia tosta del premier italiano, arrivato a Strasburgo per la presentazione del semestre italiano in Europa con la convinzione di poter incassare vittorie su tutti i fronti, i popolari (quelli della Merkel, di Juncker e dello stesso Van Rompuy) hanno pensato bene di piazzargli una bella buccia di banana sotto i piedi svelti. Letta è l'uomo che Renzi ha pugnalato lo scorso febbraio pur di arrivare a Palazzo Chigi: avrà il coraggio di dire no alla "mano tesa" dal Ppe, accoltellando nuovamente l'ex premier? Più verosimilmente, Matteo dovrà far viso a cattivo gioco e accettare la candidatura di un esponente del Pd non allineato, probabilmente anti-renziano, ma molto stimato nei salotti europei che contano. Non il massimo per un politico spregiudicato che fino ad oggi ha vissuto di scelte drastiche sugli uomini (molto meno sui contenuti) e che i compromessi li ha semmai imposti e quasi mai subiti.

Van Rompuy: "Mai fatti nomi" - Da Bruxelles però non confermano quanto fatto filtrare dagli ambienti Ppe. Van Rompuy si sarebbe limitato a informare Renzi della "estrema difficoltà" di comporre un pacchetto di nomine complessivo e della possibilità di convocare un nuovo vertice più in là, entro agosto, senza fare cenno a nomi o ipotesi di nomine. Sul tavolo, infatti, nel vertice in corso mercoledì sera c'è la partita delle nomine alle varie Commissioni Ue. Il Pse, secondo quanto si apprende, avrebbe confermato la richiesta di nominare un socialista quale Alto rappresentante per la Politica estera. E qui si torna alla questione Letta.

Il nodo Mogherini - Il pressing dell'Unione europea e nello specifico di Van Rompuy è legato alla candidatura di Federica Mogherini come Alto rappresentante per gli Esteri dell'Ue. In 10-11 paesi si sono opposti al suo nome, il Ppe è contrario perché l'attuale ministro degli Esteri italiano sarebbe troppo "filo-Russia" e non basta il sostegno dei socialisti. Dalle prime indiscrezioni provenienti dal vertice, sembra che Angela Merkel abbia fatto cadere il proprio veto sulla Mogherini, ma la trattativa è ancora lunga. Qualcuno a Strasburgo e Bruxelles aveva nel frattempo avanzato proprio il nome di Letta per la poltrona finita a Juncker, dopo settimane di trattative. E proprio il "no" secco di Renzi al via libera a Letta avrebbe indisposto i popolari europei. Che però, da gran volponi (e da primo partito in Parlamento) hanno già capito come vendicarsi di Matteo lo spaccone.

mercoledì 16 luglio 2014

Abusi edilizi in Senato e lo Stato non vuole pagare

Senato, abusi edilizi a palazzo Giustiziani


di Salvatore Dama 



Oddio, mi casca il Senato in testa! No, non è uno scherzo. Magari lo fosse. E invece è un incubo per la famiglia Marchioni, proprietaria dell’immobile confinante con Palazzo Giustiziani, il fabbricato che ospita uffici e residenze dei senatori a vita e degli ex presidenti di Palazzo Madama. Qui ci sono gli studi che hanno ospitato Giulio Andreotti e Francesco Cossiga. Ma anche le stanze che sono state testimoni della formazione del governo tecnico di Mario Monti. Un luogo leggendario per la politica italiana. Ma il fascino dell’istituzione non fa presa sui Marchioni. Che sono in causa da più di venti anni con lo Stato. Non esattamente con il ramo parlamentare guidato da Pietro Grasso, ma con l’Agenzia del Demanio, che è proprietaria del Palazzo confinante con il loro. 

Che, poi, confinante è un parolone. Nel centro storico di Roma, e qui stiamo davanti al Pantheon, i palazzi si intersecano tra di loro che è una bellezza. Così i Marchioni si trovano a dover avere a che fare con «l’esuberanza» della Camera Alta. Non è un rapporto di vicinato, quello Marchioni-Demanio, è un tetris: sali al secondo piano del loro palazzo, adibito a hotel di lusso, e la sede istituzionale ce l’hai di fronte. Arrivi al terzo piano e il Senato ce l’hai in testa. Una «presenza» inquietante: a seguito di un ampliamento degli uffici di Palazzo Giustiniani, i Marchioni si sono trovati 27 tonnellate di ferro poggiate su un’ala della loro proprietà. Altro che spada di Damocle. Una struttura troppo pesante che le volte originarie non riescono a sorreggere. Sono state puntellate e, al momento, sono il soffitto pericolante di un ambiente dichiarato inagibile. Per questi lavori l’Agenzia del Demanio è stata condannata. E deve ancora 2 milioni di euro per rimettere le cose a posto.


«Nel '94 vennero fatti dei lavori di ristrutturazione», è Giovanni Marchioni a ricostruire i fatti, «purtroppo l’impresa, operando in termini non corretti, ha fatto sì che le volte si rompessero. Di qui l’obbligo del puntellamento del soffitto che ha reso inagibile un intero appartamento della nostra proprietà. In una battuta, Palazzo Giustiniani ci sta franando in testa». E ce n’è un’altra. Al confine tra le due proprietà è stato realizzato un ascensore che serve Palazzo Giustiziani. Sì, ma per costruirlo è stato murato un chiostro e il muro sta a 23 centimetri dalla finestra dei Marchioni.

Secondo abuso edilizio, seconda condanna. Il tribunale ha intimato al Demanio di eliminare il muro. Ma dentro fa su e giù l’ascensore che porta ai piani nobili i senatori a vita, gli ex presidenti del Senato, i funzionari di Palazzo Madama. Prendete Renato Schifani. Come ex seconda carica dello Stato gli tocca l’attico con vista sul Pantheon. È la residenza appartenuta a Cossiga. Al sesto piano. Usare le scale? Giammai. La scalinata è del Seicento, un patrimonio dell’umanità, ma l’umanità non la usa perché è scomoda. L’alternativa è un piccolo e antico ascensorino. Che comunque arriva fino al quinto piano, rimarrebbe una rampa di scale da fare, nel caso di Schifani. Nel palazzo, oltre all’ex seconda carica dello Stato, ci sono gli uffici dei senatori a vita Mario Monti, Elena Cattaneo, Renzo Piano, Carlo Rubbia e del povero Carlo Azeglio Ciampi. Ma soprattutto si attende un nuovo e prestigiosissimo «ospite». Giorgio Napolitano è al suo secondo sopralluogo a Palazzo Giustiniani in pochi mesi. 

Logico allora che l’istituzione non voglia privarsi dell’ascensore «parlante» (lo chiamano così perché una voce metallica avvisa i passeggeri all’arrivo al piano), per non fare mancare la comodità a cotanto lignaggio repubblicano. Ancora Giovanni Marchioni: «Nel cortile comune tra la nostra proprietà e Palazzo Giustiniani è stato costruito nel 1991 un muro che ha accorpato una parte dello spazio. All’interno di quella quota è stato montato un ascensore molto più grande del precedente. Ma il muro è stato realizzato a 23 centimetri da una finestra e a un metro da altre. A suo tempo abbiamo fatto causa ottenendo l’esecuzione per la demolizione dell’elevatore. Ma a tutt’oggi non ci siamo riusciti. L’Avvocatura dello Stato sta facendo di tutto, anche utilizzando metodi scorretti e calunniosi, per far sì che l’esecuzione non avvenga. Quell’ascensore è vitale per tutta una serie di personaggi della “casta” che, in alternativa, dovrebbero andare a piedi. Sono passati 24 anni dall’inizio di questa vicenda e i cittadini Marchioni non sono ancora riusciti a ottenere giustizia. Come si può pensare di attrarre investitori stranieri in Italia se nel nostro Paese non si riesce a far eseguire una sentenza?».

L’ultima è che la procura della Corte dei Conti del Lazio ha aperto un’indagine per determinare i danni erariali conseguenti alla mancata esecuzione delle sentenze Marchioni versus Demanio. E, tuttavia, nonostante le condanne, l’Agenzia non ci pensa proprio a smontare l’ascensore. Adesso l’Avvocatura dello Stato è passata al contrattacco. La loro tesi è che le finestre dei Marchioni, quelle a 23 centimetri dall’ascensore dei senatori, potrebbero essere abusive. E che l’eliminazione del muro creerebbe problemi di privacy ai potenti dirimpettai. Marchioni? Non c’ha visto più e ha risposto querelando gli avvocati dello Stato per diffamazione. E al momento non c’è nessuno che come lui, in Italia, desideri l’abolizione del Senato della Repubblica. Giurateci pure.

Santanchè e Ferrari vogliono "L'Unità": cosa hanno in serbo per i giornalisti

Daniela Santanchè e Paola Ferrari, cosa vogliono fare de "L'Unità"


di Andrea Morigi 



A L’Unità sarebbero pronti ad autoimmolarsi piuttosto che cadere nelle mani del nemico. Anzi, della nemica perché ad aver stretto d’assedio l’ultimo ridotto della stampa di sinistra è Daniela Santanchè.

Domenica, insieme alla giornalista e conduttrice televisiva Paola Ferrari, ha presentato un’offerta formale ai liquidatori della testata fondata da Antonio Gramsci. Da mesi, la redazione non vede un euro di stipendio e di contributi e il futuro si prospetta ancora più fosco, se non interverrà un compratore entro il 30 luglio. Finora l’unico dotato di piano industriale e solidità finanziaria, non è gradito al comitato di redazione. Bianca Di Giovanni, a nome dei colleghi, giudica «irricevibile» la proposta d’acquisto. Sono sdegnati per l’ipotesi di un passaggio «a un’esponente di Forza Italia» perché è «incompatibile con la storia del giornale stesso». Chiedono «trasparenza» e sperano che «il segretario del Pd Matteo Renzi intervenga nella vicenda». In sostanza, dopo la chiusura di Il Riformista e Liberazione, e con Europa a rischio, anche per L’Unità si prospetta la disoccupazione, cioè il ricorso al sempre più sofferente sistema previdenziale dei giornalisti.

Eppure il 40,8% degli elettori italiani che hanno votato Pd non si riconoscono certo nelle posizioni di il manifesto. Insomma, ci sarebbe una bella fetta di mercato da coprire, nonostante la crisi della carta stampata. In più la Fnsi, giovedì scorso, nell’esprimere solidarietà ai colleghi ha sottolineato che «il fermo delle pubblicazioni del giornale sarebbe un impoverimento dell’informazione e del suo pluralismo», auspicando il successo di «ogni iniziativa» di «imprenditori onesti e coerenti con la storia del giornale».

L’ultimo treno è in partenza. A bordo c’è anche la Ferrari che, oltre a presentare la Domenica Sportiva su Raiuno, è anche moglie di Marco De Benedetti. E non sarebbe prudente per lei lanciarsi in un’avventura editoriale senza tener conto dell’autorevole parere del marito. E difficilmente quest’ultimo potrebbe prescindere dall’esperienza del padre Carlo, presidente onorario del gruppo editoriale Repubblica - L’Espresso.

Da qui a parlare di sinergie, ce ne corre. Ma nulla proibisce di immaginarle. E tutto si può dire fuorché che i De Benedetti siano di destra. Semmai, potrebbero trasformare la Pitonessa in una SantanChè Guevara. La parlamentare azzurra in realtà si propone di ridar vita a un giornale di sinistra libero, come non gli ha mai consentito il gioco delle correnti interne del partito di riferimento. Portare L’Unità a destra, in fondo, si rivelerebbe un progetto suicida. Viste le prospettive, tanto vale accettare la scommessa.