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lunedì 20 febbraio 2017

RENZI, CROLLA TUTTO Emiliano, Rossi, Speranza: "Perché demoliamo il Pd"

"Ecco perché demoliamo il Pd". Emiliano, Rossi, Speranza: il crollo



E alla fine la scissione del Pd è arrivata. Hanno aspettato la fine dell'Assemblea del partito i tre sfidanti di Matteo Renzi per andare via sbattendo la porta. Otto ore di dibattito all'hotel dei Principi sono state secondo loro solo la conferma che l'ex segretario Pd, formalmente dimessosi oggi, non avesse nessuna intenzione di concedere un solo punto delle richieste avanzate finora.

In una dichiarazione congiunta, Roberto Speranza, Michele Emiliano ed Enrico Rossi hanno messo la parola fine al tira e molla durato fino a metà pomeriggio, quando è intervenuto il governatore della Puglia. Il magistrato ha provato a usare toni più concilianti di quelli usati il giorno prima al teatro Vittoria, quando aveva raccolto fiumi di applausi evocando la scissione. L'unica richiesta di Emiliano è stata una conferenza programmatica da convocare prima del congresso, il cui percorso voluto da Renzi era ormai partito: "C'è stato un ennesimo generoso tentativo unitario - hanno scritto i tre scissionisti - È purtroppo caduto nel nulla. Abbiamo atteso invano un'assunzione delle questioni politiche che erano state poste, non solo da noi, ma anche in altri interventi di esponenti della maggioranza del partito".

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la chiusura dell'Assemblea da parte del presidente, Matteo Orfini, senza prevedere una replica del segretario dimissionario. I renziani si sono appellati al regolamento, un doppio intervento non sarebbe stato contemplato dalle regole dell'Assemblea. Ma alla minoranza Dem è sembrato solo un pretesto, Renzi ha voluto ignorare l'ultima offerta di riappacificazione: "La replica finale non è neanche stata fatta - rimarcano nella nota - È ormai chiaro che è Renzi ad aver scelto la strada della scissione assumendosi così una responsabilità gravissima".

Cacciano Berlusconi e stra-godono Salvini-Meloni, sondaggio pazzesco

Meloni e Salvini, il sondaggio sul listone unico senza Berlusconi: vale il 25%


di Matteo Pandini



Nessuno, tra quelli che animavano il centrodestra di governo, vuole prendersi la responsabilità di abbandonare la compagnia. E infatti alle amministrative di primavera, salvo rare eccezioni, la coalizione resterà intatta. La musica rischia di cambiare alle Politiche. Ma tutti, pubblicamente, fanno finta di niente. Tanto che perfino Silvio Berlusconi è arrivato a spedire una lettera ad Alemanno e Storace per dire che «il Polo Sovranista saprà essere parte integrante» di una coalizione «che possa candidarsi a guidare il Paese». Ha poi aggiunto Renato Brunetta: col Cavaliere in campo, «tutti uniti possiamo valere il 40%!». Dalla Liguria, salta su Matteo Salvini: «Lavoro per l’unità!», però non voglio in squadra i vari «Alfano o Casini».

Questo tira e molla dura da mesi. In molti scommettono che, quando ci sarà la contesa per Palazzo Chigi, il Cavaliere andrà per la sua strada. Ben diversa da quella di Salvini e Giorgia Meloni. Tutto resta in sospeso solo perché non è ancora chiaro quando si voterà. E con quale legge elettorale. Col proporzionale - ipotesi concreta - tutti i partiti saranno incentivati a correre da soli. Un vero peccato, dicono dai Fratelli d’Italia, perché un listone da battezzare «Italia Sovrana» e in cui coinvolgere il Carroccio e i vari Fitto, Storace e Alemanno, potrebbe valere «il 25%». Senza gli azzurri. E con la possibilità di crescere.

Girano già alcuni sondaggi. L’idea affascina i lumbard. Che però - anche se nessuno lo dice apertamente - non gradiscono d’infilarsi sotto un tetto chiamato Italia o che abbia riferimenti al tricolore. Anche perché, ragiona un fedelissimo di Salvini, «forse sarebbe preferibile chiamarci Alleanza identitaria, anche perché il federalismo resta irrinunciabile». Fatto sta che questi dibattiti sono stati rimandati a data da destinarsi. Ora, si discute di primarie. Lega e Fratelli d’Italia ne stanno ragionando da settimane, e gli sherpa sono al lavoro per limare il regolamento. Si sono ispirati a quello del centrodestra francese.

Se e quando verranno apparecchiati i gazebo, i cittadini dovranno: scucire una cifra simbolica, di 1 o 2 euro. Esibire documento e - molto probabilmente - il certificato elettorale. Firmare una carta dei valori, impegnandosi a non votare più di una volta.

Un’altra idea su cui i partiti stanno ragionando, è inserire il nome degli elettori in un elenco ad hoc. Aggiornato in diretta con qualche diavoleria informatica. Così da scovare subito eventuali furbetti. Gli aspiranti candidati alla guida della coalizione, invece, dovranno raccogliere un certo numero di firme. Da far autenticare ai consiglieri comunali. Lo stesso procedimento previsto per le normali elezioni.

Nell’aria, galleggia l’ipotesi di celebrare le primarie in una regione per volta. Ma tutto dipenderà dalla data del voto. Se ci saranno le urne a giugno, non ci sarebbe il tempo tecnico. «Vogliamo avere idee chiare da Berlusconi» ripete Salvini, deciso a mettere su una coalizione con l’obiettivo dichiarato di abbattere questa Unione europea. Un tema che non appassiona gli azzurri, non a caso freddini sulle primarie. Il capo leghista azzera le polemiche: «Dobbiamo pensare alle amministrative, presto si voterà in città chiave» come Genova, Verona, Padova. E le Politiche? «Dipende dal Pd, siamo ostaggio delle loro liti» dicono in coro dal centrodestra. Mentre il capo leghista torna a battere il tasto-immigrazione: «Ci vuole una pulizia di massa. Via per via, quartiere per quartiere, con le maniere forti se serve perché ci sono interi pezzi d’Italia fuori controllo», dice a proposito delle iniziative anti-clandestini varate da Donald Trump.

Berlusconi si sfoga con i suoi, e le sue riflessioni rimbalzano nelle agenzie: «Torniamo a occuparci dei problemi della gente, ho superato Renzi in gradimento e con me in campo» tutta la coalizione «recupera almeno 10%». Anche perché «siamo alla pari con la Lega». Parole che suonano come una reazione stizzita a Salvini, che ad Arcore giudicano uno sbruffone.

Un ganassa, con cui sarà difficile trovare un’intesa...

sabato 18 febbraio 2017

Giovani e Musica Boom per "O White"

Giovani e Musica Boom per "O White" 




Giovani artisti crescono. Passato SanRemo, la settimana dedicata alla musica italiana, abbiamo scoperto un giovane del Sud, campano. Un giovane dell'hinterland a nord di Napoli. Un giovane artista emergente: Antonio Bianchini "O'White",  che da pochi giorni ha rilasciato la sua video clip del quarto ed ultimo estratto e del teaser dell'intro del suo nuovo album "Saul Bellow".

Se il titolo vi ricorda qualcosa è proprio perché è dedicata allo scrittore omonimo nel quale O'White si identifica, per le tematiche trattate all'interno dell'album. Se ascoltiamo la sua musica, rifacendoci alle sue note  possiamo notare la classica impronta dell'hip hop old school è un flow che colpisce.

La vergogna italiana sugli immigrati: quanti euro paga lo Stato per ognuno

Cinquecento euro a immigrato per tenere buoni i sindaci


di Tommaso Montesano



Non bastavano i 35 euro per gli adulti e i 45 euro per i minori versati agli enti gestori dei centri di accoglienza. Per rendere ancora più appetibile l'ingresso nel «sistema migranti», arriva anche nel 2017 il bonus offerto ai Comuni che decideranno di ospitare gli aspiranti profughi: 500 euro per ogni straniero accolto. Soldi che gli Enti locali potranno spendere «liberamente», visto che la nota esplicativa del ministero dell' Interno non prevede «vincoli di destinazione delle somme», come ricorda l'Anci, l'associazione che raggruppa i Comuni italiani, nella lettera inviata tre giorni fa ai municipi.

La Lega chiama i suoi sindaci alla resistenza. «Così è un ricatto. Il governo prima taglia servizi e risorse ai Comuni, poi gli fa scrivere dall' Anci promettendo un aiuto se accolgono i migranti. I primi cittadini leghisti non aderiranno mai», annuncia Paolo Grimoldi, deputato del Carroccio e segretario della Lega lombarda. «Piuttosto saremo noi a pulire le strade e tagliare gli alberi. L'Anci si è ridotta a fare lo zerbino del governo».

La circolare degli uffici regionali dell' Anci ai Comuni è del 14 febbraio. Nella missiva, l'associazione ricorda ai sindaci che il bonus, una volta finito in cassa, potrà essere impegnato per «progetti di miglioramento dei servizi o delle infrastrutture utili e attesi da tutta la comunità locale». Si tratta di una «misura solidaristica dello Stato nei confronti degli Enti comunali che, nel corso degli anni, hanno accolto richiedenti protezione internazionale».

Una precisazione, leghisti a parte, destinata a non passare insosservata sui tavoli dei primi cittadini, visto che il finanziamento arriverà in primavera, in coincidenza con le elezioni amministrative. «Il presidente di Anci Lombardia è Roberto Scanagatti, sindaco di Monza (Pd, ndr), che punta al rinnovo», ricorda non a caso Grimoldi.

La lettera di tre giorni fa segue quella inviata lo scorso 26 gennaio dall' Anci nazionale e firmata dal suo presidente, Antonio Decaro, sindaco di Bari (Pd anche lui). Una comunicazione inoltrata per sensibilizzare i sindaci in vista della «prima scadenza utilie per presentare i progetti di adesione alla rete Sprar nell'anno 2017». Sprar sta per Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ovvero il circuito assistenziale nel quale sono inseriti i profughi. Un meccanismo gestito direttamente dai Comuni.

Che però, rispetto ai 174.779 migranti attualmente presenti sul territorio nazionale, ne assorbe appena 23.717, come denunciato ieri dalla fondazione Migrantes. Da qui la necessità, visti anche i continui sbarchi sulle nostre coste (9.448 arrivi nel 2017), di riequilibrare il bacino dell' accoglienza coinvolgendo di più i Comuni. Su poco meno di 8mila amministrazioni, infatti, sono circa 1.000 i municipi coinvolti nella rete Sprar. E quale leva è migliore dei soldi per invertire la tendenza?

A gennaio, l'Anci aveva avvertito i municipi: «Il fenomeno migranti è presente e sarà stabile nel tempo». Sottinteso: meglio aderire al bando Sprar, visto che l'appartenenza alla rete dell' assistenza ai migranti, oltre al bonus, consente anche di avvalersi della «clausola di salvaguardia», che «rende esenti i Comuni dall'attivazione di ulteriori forma di accoglienza», magari superiori, nei numeri, a quelle previste dallo Sprar.

Il fondo dal quale attingere per erogare il contributo è stato istituito dal Viminale per «immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti». Per il 2016 sono stati messi a disposizione 100 milioni di euro. Ma la misura, come ha comunicato l'Anci, è destinata ad assumere «carattere strutturale» contribuendo a far lievitare ulteriormente le spese relative ai centri Sprar, che nel 2015 - ultimo dato disponibile - si sono attestate a 242,5 milioni di euro.

Complessivamente nel 2016, l'anno record sul fronte sbarchi (181.436 arrivi), la spesa per l'accoglienza dei migranti, inclusi gli esborsi per le strutture governative, ha toccato quota 1,7 miliardi di euro.

Trump? Occhio, è già tutto deciso: le 7 mosse con cui lo faranno fuori

Donald Trump, le sette mosse con cui lo faranno fuori



Vogliono estromettere Trump per via diversa dalle elezioni. In America si chiama impeachment. In Italia si chiama, a seconda delle epoche, Oscar Luigi Scalfaro o Giorgio Napolitano. Ci hanno provato con Berlusconi. Ce l'hanno fatta due volte, mandandolo a gambe all' aria nel 1994 e nel 2011. Berlusconi però risorge ogni volta, ed è qui. Ma se capita a Trump, non ci sarebbe un'altra possibilità. Intendiamoci, Silvio e Donald sono diversi. Analizziamo la cosa.

Il Cavaliere punta, con risultati alterni, a farsi amare da tutti, soprattutto dagli avversari. Il Tycoon a farsi detestare dall'universo di chi non gli garba. L'approccio verso le istituzioni e relative personalità dominanti è diversissimo: Silvio si inchina seduttivo, meditando su come fotterle con cravatte e mazzi di fiori; Trump le sfida a cazzotti verbali e le martella con decreti senza il velluto della diplomazia.

Pure l'estetica conta. Donald non c'entra con Berlusconi, tutta un'altra capigliatura. Berlusconi anche per questo non apprezza l'accostamento a Trump. Del resto sull'Olimpo ci sta un solo Zeus, e si chiama, com'è noto, Silvio. Sono da marcare però due punti forti che hanno in comune.

1) I cittadini che li hanno votati al momento della discesa in campo, pur con passaporto diverso, parlano la stessa lingua politica: liberarsi dal giogo delle burocrazie soffocanti e delle mitologie di sinistra.

2) La volontà dei nemici di annientarli e il metodo usato per riuscirci sono identici.

È possibile disinnescare i nemici se però si smonta il loro libretto di guerra, e si spiega ai cittadini di cui al punto numero 1 la tecnica dell' avversario, mostrando che non ce l' hanno solo con il loro leader ma con le loro famiglie e il loro Paese.

Il Cavaliere sono ventitré anni che battaglia. Cade e si rialza. Oggi sta lì, in piedi, a rompere le scatole agli eterni avversari. Trump deve provare a tener duro per 4+4 anni. Proviamo ad analizzare le similitudini degli attacchi e dei temi di denigrazione prediletti. In ordine non di importanza ma di cronologia.

1) Intellettuali e artisti. Non era ancora stato scelto come candidato dai Repubblicani e già Trump doveva far fronte a chi si diceva pronto a emigrare per disprezzo verso di lui. Robert De Niro sosteneva di volerlo stendere a pugni, come il Jack La Motta di Toro Scatenato. Meryl Streep gli ha dedicato un discorso ufficiale di sfregio.

Hollywood compattamente lo biasima tuttora. Il portavoce dei cineasti americani, Michael Moore, scommette che Donald nel giro di un anno sarà costretto ad andarsene. Berlusconi ha dovuto fare i conti con Umberto Eco e altri letterati che hanno giurato di filarsela in esilio qualora fosse stato eletto. Sono rimasti. Film e opere teatrali hanno evocato l'omicidio di Silvio Berlusconi, e Trump farà bene a prepararsi.

2) Giornali e tivù. I quotidiani più prestigiosi tipo New York Times e Washington Post hanno riempito le loro pagine di dossier per scardinare l'immagine pubblica di credibilità di Trump. Roba falsa, fornita da manine e manone dei servizi segreti. Lo stesso accadde quando esordì in politica Berlusconi. E la cosa crebbe esponenzialmente di tono.

3) I poteri forti. Berlusconi si trovò immediatamente in conflitto con la Chiesa, non certo con Giovanni Paolo II o con Ruini, ma con la maggioranza dei vescovi italiani che lo avevano in uggia e spinsero prima a favore dei popolari di Martinazzoli e della Bindi, poi più decisamente per l'Ulivo e Prodi. Berlusconi ha saputo riguadagnare consenso, opponendosi in Italia e in Europa ad eutanasia e matrimoni gay, fino al definitivo anatema morale per il bunga bunga. Anche sindacati, Confindustria e la Fiat non gradirono troppo la sua ascesa, vedi l' atteggiamento aggressivo di Corriere e Stampa contro di lui, e il bacio invece riservato a Prodi quando inventò la rottamazione delle auto per il finanziamento della Fiat. Per vincere nel 2011 e nel 2008, Berlusconi trovò appoggio nelle piccole imprese e nelle partite IVA, ma anche negli operai. Idem Trump.

Già in campagna elettorale si è trovato davanti a un'affermazione di un male informato papa Francesco che lo definiva «non cristiano», cosa cui ha fatto seguito una campagna dei media di ispirazione cattolica tuttora ostile. Le multinazionali americane del web lo attaccano ogni giorno. Vogliono un mondo e popoli a taglia unica per schiavizzarli meglio. Trump li contrasta con i Tweet che sono di proprietà dei suoi avversari. Paradosso vincente. E appoggia l'industria meccanica e gli operai. Senza risparmiare colpi.

4) I giudici. Contro Berlusconi non c'è Procura italiana che si sia astenuta dalla lotta. Per non fargli mancare niente si è mosso a suo tempo anche il giudice Garzòn in Spagna. Berlusconi dopo una sessantina di processi alla sua persona, e dopo numerose sentenze della Corte costituzionali a lui avverse, è tuttora sotto attacco a Milano per Ruby tre o quater, ma non è escluso il quinquies. Trump appena ha aperto bocca, anzi - siccome è un uomo pratico - emesso un decreto per trasformare le promesse elettorali in scelte operative, si è trovato contro un giudice federale di Seattle, cui la corte d'appello ha confermato la bocciatura del provvedimento che blocca i visti da sette Paesi islamici.

5) Razzismo. Berlusconi fu accusato di razzismo allorché evocò la superiorità della civiltà cristiana occidentale su quella islamica in materia di libertà. Su Trump l'accusa è ricorrente.

6) Sessismo. Su Silvio e il bunga bunga, usato come arma di distruzione della sua persona, con la collaborazione di tutte le forze possibili e immaginabili, dello Stato e non, sappiamo. Ora lo stesso accade a Trump. Si usa una sua conversazione di dieci anni fa per trasformarla in un discredito di massa, persino tra i ragazzini. Lo raccontava ieri sul Corriere uno scrittore israeliano anti Trump e anti Netanyahu. Il figlioletto Lev vuole partecipare a una sfilata di Carnevale e ha deciso di vestirsi da Trump. Trascrivo: «"È il costume ideale: divertente e per di più spaventoso", è stato l'argomento vincente del ragazzino, lasciandoci con gli aspetti pratici della faccenda. "Ti metteremo una cravatta rossa attorno al collo e qualcosa di giallo in testa", ha suggerito mia moglie Shira. "E io mi arrabbierò in continuazione e agiterò i pugni in aria", ha aggiunto Lev, gongolante. "Possiamo metterti una spilla sul risvolto della giacca, con il suo slogan della campagna elettorale", ho suggerito io, sforzandomi di partecipare. "Sì!" si è entusiasmato Lev: "Grab 'em by the pussy!" (Afferale dalla figa, ndt)». Un mostro, aggiunge lo scrittore, perché lui, Donald, davvero afferra tutti così, dalla figa o dai coglioni, popoli e persone.

7) E siamo all'arma decisiva, che fa già gongolare in Italia Repubblica. Impeachment per la vicenda del generale Michael Flynn, 58 anni, il consigliere per la sicurezza nazionale che ha parlato al telefono con l' ambasciatore russo di sanzioni da togliere e di alleanze possibili prima di essere ancora formalmente in carica, e avrebbe poi negato la circostanza. Trump ha reagito facendolo dimettere, di corsa. Ma anche dicendo la nuda verità. Flynn è stato un cretino, ma chi ha registrato le sue telefonate sono stati i servizi segreti, i quali invece di parlarne a Trump hanno passato la «roba» ai giornali. «L'intelligence mente e continua a fornire informazioni alla stampa, che danneggia l'America». Lo scopo di questa fuga di notizie è chiaro, e qui citiamo il Corriere: «Un caso che, alimentato dalle indagini dei servizi segreti e dell' Fbi e dalle indiscrezioni pubblicate anche ieri dalla stampa Usa, potrebbe sfociare in inchieste parlamentari o di authority indipendenti: un clima che comincia a ricordare quello nel quale, negli anni Settanta, sprofondò il presidente Nixon dopo lo scandalo Watergate». Somiglianze raccapriccianti con il Berlusconi del 2010-2011. Allora a passare le telefonate ai giornali non furono i servizi segreti ma qualche altro organo dello Stato. Premesse di quello che Berlusconi ha definito il «terzo golpe».

La lezione di Silvio è già stata afferrata da Trump con i denti e rovesciata contro i nemici. Sicuro che lo fa: cambierà i capi di CIA, NSA e FBI. Auguri Trump, lo sai già, ma te lo ripetiamo: ribalta il tavolo. Se mandi fiori ai nemici, ti restituiscono crisantemi.

Occhio Renzi, ha trovato un lavoro Contratto già firmato: dove scappa

Pd, la nuova vita di Renzi: insegnerà in un'Università Usa a Firenze



Nelle scorse settimane, anche per rispondere agli attacchi interni e esterni al partito, aveva già annunciato l’intenzione di voler coltivare altri interessi, al di là della politica, "dalle startup all’università" ha spiegato ieri al Corriere. E visto che domenica rassegnerà formalmente le dimissioni da segretario Dem per rilanciare la sua corsa alla leadership, la vita di Matteo Renzi cambierà anche in questo. Più tempo a disposizione fuori dal Palazzo e dalle polemiche.

L’ex premier, riferisce chi gli ha parlato in questi giorni, ha confidato di aver chiuso un contratto con un’Università americana con sede a Firenze, per tenere un corso agli studenti. Nel capoluogo toscano hanno sede alcune delle più prestigiose Università americane, come la Georgetown, la Harvard, la Stanford. L’accordo, secondo le stesse fonti, dovrebbe essere proprio con quest’ultima, per una serie di lezioni ai ragazzi iscritti all'università privata la cui sede principale è situata in California, nella Contea di Santa Clara, a circa 60 chilometri a sud di San Francisco, nel cuore della Silicon Valley. Studiosi di Stanford o alcuni suoi ex alunni hanno creato compagnie come Apple, Google e Yahoo! Quella di Firenze è la più longeva sede distaccata al mondo. Il segretario dem in questi anni a palazzo Chigi ha sottolineato la necessità di rendere gli atenei italiani sempre più simili al modello statunitense.

Il premier è stato ospite di John Hennessy, il rettore del prestigioso campus sulle colline a sud di San Francisco, ma nella sua visita negli Usa nell’aprile del 2015 l’allora presidente del Consiglio tenne anche un discorso agli studenti della Georgetown University e l’anno dopo si recò ad Harvard. "Sto coltivando i progetti che ho sempre avuto nel cuore", ha affermato al Corriere in un’intervista in cui ha rilanciato l’appello alla minoranza a non andare via dal partito. Io - continua a dire l’ex premier ai suoi - non voglio la scissione. Sono amareggiato, vorrei evitarla, ma sono loro a non voler trattare".

venerdì 17 febbraio 2017

Il 16enne suicida per l'hashish Crolla il finanziere: cosa ha rivelato

"Se potessi non rifarei la perquisizione", il pentimento del Generale della Finanza



Potesse tornare indietro, il comandante della Guardia di finanza di Genova, il generale Renzo Nisi, non ordinerebbe di nuovo quel tragico blitz a casa di Giovanni Bianchi, il 16enne di Lavagna che si è lanciato dalla finestra di casa durante un controllo antidroga. Il ragazzo aveva con sé solo pochi grammi di hashish quando è stato fermato fuori da scuola. A chiamare i finanzieri era stata sua madre, anche lei pentita per quella decisione: "Conoscendo l'esito tragico di quel servizio, adesso dico che era meglio non farlo - ha detto il generale a Il Giorno -. Penserei a una soluzione alternativa, ci sto ragionando tutti i giorni".

Da militare però Nisi è sicuro di aver fatto il proprio dovere: "Se un cittadino ci chiede aiuto, dobbiamo aiutarlo nel miglior modo possibile. Nel caso del ragazzino - ricorda - siamo intervenuti con tutte le cautele del caso, predisponendo una squadra speciale per l'occasione, composta da padri di famiglia che sapessero bene come approcciare il giovane". Le polemiche però non sono mancate, a cominciare dal procuratore dei minori della Liguria, Cristina Maggia, che se contattata avrebbe sconsigliato la perquisizione: "Le decisioni vanno prese nell'arco di un attimo - si è difeso il generale - e ci appelliamo alla professionalità. Se si giudica in base al risultato, anche la vita di ognuno di noi è da rivedere".

A convincere il comandante Nisi che quell'intervento andava fatto è stata soprattutto la visita in caserma della madre adottiva, Antonella Riccardi, preoccupatissima che il figlio avesse "problemi nella vita di tutti i giorni. Lei temeva facesse uso di stupefacenti. Aveva cattive frequentazioni e andava male a scuola, mentre prima era uno dei migliori della classe ed era molto ben inserito nel tessuto sociale tra paese e calcio. Questo è stato il grido di disperazione della madre".

È lo stesso militare a far vacillare la sua prima analisi, visto che il ragazzo non sembrava proprio isolato dal mondo: "Al funerale ho visto l'enorme partecipazione per l'addio. Quel ragazzo era inserito ovunque, aveva amici, conoscenti, compagni di squadra. Non si spiega, è imponderabile".