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martedì 27 settembre 2016

Baby squillo, parla il cliente 24enne La frase sul sesso, choc in tribunale

Baby squillo, parla il cliente 24enne. La frase choc sul sesso



Gli hanno dato due anni di carcere e interdizione perpetua dalle istituzioni frequentate da minorenni. Per lui nessuna attenuante. È la pena decisa dal giudice Paola di Nicola per uno studente universitario coinvolto nel giro di prostituzione delle baby squillo dei Parioli, un ventiquattrenne che studiava per diventare avvocato ma che si è ritrovato dalla parte degli imputati.

Come riporta Il Messaggero, il ragazzo avrebbe più volte mentito in aula, dichiarando il falso per rendere meno compromettente la sua posizione. Lo studente sarebbe sì entrato in quell'appartamento di via Parioli 190 dove le due ragazzine di 14 e 15 anni ricevevano i loro clienti, ma ne sarebbe uscito immediatamente perché "non era nel mio stile. E comunque non avevo stabilità emotiva per proseguire anche nell'incontro. L'ambiente non era congeniale e la ragazza non corrispondeva al mio modello ideale di donna della Roma bene". Frasi da brivido, soprattutto perché scandite in tribunale. Il giudice, però, ha mostrato di pensarla diversamente: "Gli elementi di prova portano a ritenere che il rapporto a pagamento sia stato consumato. L'unico e incontrastato dato oggettivo risultante dagli atti sono gli accordi telefonici sul rapporto sessuale: oggetto, luogo e prezzo".

Il ventiquattrenne avrebbe poi provato a impietosire il giudice dicendo di aver contattato le baby prostitute perché sconvolto dalla morte del padre. Ma il gip ha scritto nella sentenza che si tratta di "una strumentalizzazione piuttosto goffa di un evento drammatico, visto che la scomparsa risaliva a tre anni prima". E la conclusione della sentenza è netta: "Nulla fa ritenere che in futuro l'imputato si asterrà dall'intrattenere rapporti con minorenni".

Tutta Italia dice: "Basta immigrati" Il sondaggio rivela: ecco la soluzione

Tutta Italia dice: "Basta immigrati". Il sondaggio: il Belpaese rivuole le frontiere



Cresce senza soluzione di continuità l'euroscetticismo: gli italiani, lo dicono chiaro e tondo, vogliono più controlli alle frontiere. Mentre quindici anni fa il 60% di noi si dichiarava fiducioso nelle istituzioni comunitarie, ora solamente il 27% continua a credere nel sogno europeo. E a questa montante disaffezione per l'Unione Europea si aggiunge, come detto, il timore per l'immigrazione di massa e le sue conseguenze, portando alla richiesta, anche da parte degli elettori di centrosinistra, di più sicurezza per i nostri confini.

Come rivela un sondaggio Demos pubblicato da Repubblica, i più critici sul trattato di Schengen (l'accordo internazionale che permette la libera circolazione all'interno dei paesi membri) sono gli elettori di Lega Nord, Forza Italia e MoVimento 5 Stelle: rispettivamente il 72%, il 65% e il 50% vorrebbe ristabilire il controllo frontaliero. La percentuale cala, ma non drasticamente, spostandosi a sinistra. Il 38% dei votanti Pd e Sel non è soddisfatto di Schengen, mentre globalmente solo il 15% degli italiani manterrebbe il trattato così com'è.

Discorso a parte per i giovani e gli studenti, che confermano il trend (già evidenziato dal referendum sulla Brexit) che le nuove generazioni si sentano più legate all'Ue, merito dei programmi comunitari universitari come l'Erasmus.

L'Italia "dichiara guerra" alla Svizzera Cosa può accadere dopo il referendum

L'Italia "dichiara guerra" alla Svizzera. Gentiloni dopo il referendum: "Impedimento all'intesa con la Ue"



La Svizzera ha votato contro i frontalieri, ovvero contro gli italiani: nel canton Ticino il 58% degli elettori ha deciso di ancorare alla Costituzione il principio che privilegia in caso di assunzione i lavoratori svizzeri a tutti gli altri. La reazione dell'Italia è arrivata con il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, il quale ha affermato che "ogni discriminazione nei confronti dei nostri frontalieri sarebbe un impedimento all'intesa tra Ue e Svizzera". Anche da Bruxelles si alza la voce contro la Svizzera. Margaritis Schinas, portavoce della Commissione eurpea, ha affermato che il risultato del referendum "non renderà più facili i negoziati" già in corso che affronta le conseguenze del referendum di due anni fa, che chiedeva di porre limiti all'ingresso di lavoratori europei.

Vince il "no" al referendum? Rimpasto C'è un trombato sicuro (è clamoroso)

Referendum, se vincono i "no" scatta il rimpasto di governo



Questione di ore, per la data del referendum istituzionale. Il Consiglio dei ministri dovrebbe decidere entro la giornata di oggi, con la scadenza più gettonata che è quella del 4 dicembre. Tempo ce n'è. Ma sia a Palazzo Chigi sia al Quirinale si stanno studiando i possibili scenari qualora a prevalere dovessero essere i "no". Non solo per quanto riguarda la legge elettorale, sulla quale pure il dibattito è già iniziato. Ma soprattutto per quanto riguarda le sorti del governo. Essendo assai improbabile, se non fuori discussione, che in caso di "no" si apra una crisi tale da portarci alle elezioni nei primi mesi del 2017 (e quindi con un anno di anticipo rispetto alla naturale scadenza della legislatura), si parla di un governo "di scopo" di larghe intese che lavori, tra le altre cose, a una nuova legge elettorale in vista proprio del 2018.

Ma anche in una diversa ipotesi, sarà difficile che l'esecutivo possa proseguire per il successivo anno e mezzo con la formazione attuale. E, secondo quanto riporta il sito affaritaliani.it, il capo dello Stato Sergio Mattarella potrebbe essere favorevole all'ipotesi di un rimpasto, col governo che dunque non si aprirebbe a nuove forze politiche, ma si darebbe una diversa configurazione. Sarebbe la soluzione più agevole da un punto di vista prettamente pratico. Il nome su tutti che proprio non potrebbe non saltare, essendo legato proprio alle riforme bocciate da un "no", sarebbe quello di Maria Elena Boschi. Ma, sempre secondo affaritaliani.it, un Renzi-bis vedrebbe saltare altre teste eccellenti, come quella del ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti (in quota Unione di centro), della ministra della Salute Beatrice Lorenzin (in quota Ncd), travolta dalle polemiche sul Fertility Day e dintorni, e del ministro della Pubblica Istruzione Stefania Giannini (ex Scelta civica e ora Pd). Resterebbero invece al loro posto il titolare degli Interni e leader del Nuovo centrodestra, Angelino Alfano, il ministro della Giustizia Andrea Orlando (Pd) e quello dell'Economia Pier Carlo Padoan (tecnico).

Referendum, si vota il 4 dicembre L'ultimo sondaggio: "Sì" a picco

Referendum, c'è la data: si vota il 4 dicembre. Sondaggi: No superano il 55% Si a picco


Ufficiale: il referendum costituzionale si voterà domenica 4 dicembre. Lo ha deciso il Consiglio dei ministri, dopo mesi di rinvii e tentennamenti. Intanto, tra una polemica sul titolo che ci ritroveremo sulla scheda e gli scenari post-voto, continua il balletto dei sondaggi. E il fronte del No gongola. 

È stato il presidente dei deputati di Forza Italia Renato Brunetta a pubblicare sui social l'ultima rilevazione di Renato Mannheimer. "Conferma una tendenza chiara - spiega l'ex ministro -: al referendum costituzionale del prossimo autunno a vincere sarà il No. Rispetto all'ultimo sondaggio Eumetra Monterosa per Il Giornale (effettuato lo scorso 19 settembre) viene confermata una tendenza ormai irreversibile: i No sono sempre più in vantaggio (+2% in una sola settimana) rispetto ai Sì".

"Il No è dunque arrivato al 55%, il Sì sprofonda al 45%: non servono a nulla i trucchetti del premier mai eletto". Il voto sulla riforma costituzionale targata Renzi-Boschi, conclude Brunetta, non sarà "tecnico" ma "politico": "Ormai gli italiani hanno capito e non credono più al bluff di Matteo Renzi. I cittadini diranno un grande No al referendum, diranno No a questa schiforma per mandare a casa questo sciagurato presidente del Consiglio e ripristinare la democrazia nel nostro Paese".

SILURATO COMPLOTTI A 5 STELLE Ecco come Raggi e Grillo hanno fatto fuori Di Maio

Il "golpe" contro Di Maio: così Raggi e Grillo l'hanno fregato


di Franco Bechis



Altro che direttorio o mini direttorio. A Palermo il pubblico dei militanti del Movimento 5 stelle hanno incoronato la loro preferita: Virginia Raggi. Solo Beppe Grillo ha ricevuto ola, il proprio nome ritmato da migliaia di persone, applausi in continuazione a interrompere il discorso come è accaduto ieri alla sindaca di Roma. La festa grillina di Palermo si è rivelata così l’esatto opposto di quel che era atteso. Non solo non c’è stata la formalizzazione del passo di lato di Grillo, che è invece tornato alla testa del movimento, ma anche il “caso Raggi” è stato capovolto rispetto a quel che ci si immaginava. È stata celebrata dai militanti come una sorta di santa martire del grillismo: perseguitata dai poteri forti e dalla stampa, per questo da circondare e proteggere. È stato plasticamente evidente fin dall’arrivo della Raggi al Foro Italico, dopo un lungo faccia a faccia nell’albergo di Grillo. La sindaca ha tentato la passerella già interpretando la diva della due giorni, è stata circondata da telecamere, fotocamere e giornalisti, ed è scattato un naturale cordone di militanti a difenderla. Con fischi e cori «venduti, venduti» verso i giornalisti e qualche spintone che è pure diventato un caso diplomatico. Gran parte del pubblico era locale, o di regioni vicine, profondo sud. Per lei ha abbandonato ogni superstizione: in fondo la Raggi aveva bucato la prima giornata perché era crollato un palazzo a Roma. E quando il secondo giorno è arrivata a Palermo nel luogo della festa, il cielo prima si è fatto nero, ed è crollato denso di pioggia e vento sui poveri partecipanti. Comunque lì, a inneggiare e applaudire con i pochi ombrelli aperti subito venduti dai bengalesi in loco.

Non che la Raggi sia sembrata in sé una trascinatrice. Imbarazzata, impacciata, timida ed euforica ai primi applausi, la sindaca di Roma è apparsa assai più fragile della collega di Torino - Chiara Appendino - che ha mosso con lei i primi passi in politica. Ma bastava aprire bocca, e la magia scattava. Di Roma ha parlato assai poco, alla sua giunta ancora bucata come un groviera e degli scontri interni al movimento che hanno contribuito alla paralisi, non ha manco fatto cenno. Però l’ha buttata sulla politica nazionale, indossando lei stessa i panni da leader del movimento più che da amministratrice con qualche difficoltà. E ha funzionato in quel consesso: «Noi andiamo avanti», ha promesso galvanizzando il pubblico, «tutti vogliono metterci i bastoni tra le ruote, ma non c’è pericolo, noi andiamo avanti, onestà è una parola che li spaventa». Una parola alla volta, lunghe pause prima della frase successiva quasi fosse un modo studiato di recita del copione della Raggi. Il crescendo però c’è stato, ed è divenuto boato con la chiusa dell’intervento: «Abbiamo preso due città importanti, Roma e Torino, poi tocca a Palermo, alla Sicilia, all’Italia, il futuro è nelle nostri mani». Quanto alla capitale, la sua sindaca ha sostenuto che «L’obiettivo di chi ci governava era trovare il consenso, accontentare le lobby, così si costruivano bacini elettorali. Dobbiamo tornare a fare ciò che serve. Per questo facciamo paura. Perché abbiamo le mani libere e non dobbiamo dire sì a nessuno, solo ai cittadini. Abbiamo trovato una città devastata, non c’è nulla che funziona, è tutto da ricostruire ed è quello che stiamo facendo». Finale col classico coro «onestà, onestà».

Che sia stato un trionfo della Raggi, è indubbio. Non proprio così netto visto da dietro le quinte, e cioè da chi nel bene o nel male era nel gruppo che in questi mesi ha guidato il movimento. «Che volete si dicesse alla Raggi», ha spiegato a un gruppetto di giornalisti Massimo Bugani, il bolognese che è amico stretto di Davide Casaleggio, «lei deve decidere da sola, fare le sue scelte e governare. Anche a Bologna abbiamo una persona di cui ci fidiamo che notoriamente ha una storia marcata di sinistra. Ci sa fare e possiamo mettere la mano sul fuoco per lui. Quindi non mi sembra il problema tutto questo chiacchericcio sui rapporti fra la Raggi e personaggi che hanno una storia di destra. Raffaele Marra? Beh? Era di destra? Ma se non vedo un sms di Gianni Alemanno che gli dice cosa deve fare, quale è il problema?». Quel che spiega Bugani ha una sua rilevanza, perché spiega l’atteggiamento dello stesso Grillo nei confronti della Raggi e dei suoi contestatori romani.

Grillo ieri ha fatto di Roma un simbolo anche nel suo saluto finale che ha chiuso la festa. «Ci sono cose impossibili», ha detto, «che diventano possibili. Dieci anni fa c’erano due cose impossibili, che un aereo a pannelli solari potesse fare il giro del mondo e che noi vincessimo a Roma», e qui si è lasciato andare al gesto dell’ombrello come ai bei vecchi tempi. Però ha corretto il clima che stava nascendo con una spiegazione più gentile e poetica: «Più voliamo in alto, più quelli che non volano ci sembreranno sempre più piccoli». Il ritorno sul palco del fondatore ieri ha avuto anche un momento importante grazie a una telefonata via Skype con il fondatore di Wikileaks, Julian Assange. Un duetto all’unisono sulla stampa menzognera, con Grillo che spiegava che in Italia i giornalisti «si occupano solo della cellulite e dei peli sulle gambe di Raggi». Assange ha ricambiato i complimenti, paragonando però il Movimento 5 stelle al leader laburista e quasi comunista Jeremy Corbyn, e chissà quanto quella vicinanza abbia fatto piacere.

La giornata si era aperta in tv con una coppia - Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio, che dovrebbero fare il nuovo tridente con Davide Casaleggio dietro Grillo. Dibba è stato coccolato dai militanti, e ha girato per gli stand tutto il giorno, firmando autografi e magliette del no al referendum. Di Maio si è auto-eclissato rispetto al solito. In un angolo, dietro il palco, raramente a contatto con i militanti. Anche sabato sera, quando gran parte del vertice si è trovato a mangiare panelle e pane co la milza (c’era Casaleggio jr, ed è passato pure Grillo), Di Maio si è avvicinato alla friggitoria a bordo di un taxi con i vetri oscurati. Ma è restato a bordo, ed è scesa la sua fidanazata Silvia Virgulti che non lo ha mai lasciato solo. Ha ordinato panelle e arancine, e con il vassoio è risalita sul taxi senza andare a salutare ai tavoli. I fatti delle ultime settimane hanno lasciato il loro segno...

Renzi, patto della lavagna in tv: Del Debbio e Salvini lo umiliano

Matteo Renzi, patto della lavagna in tv: Paolo Del Debbio e Matteo Salvini lo umiliano



"Oggi facciamo il patto della lavagna...". Ospite di Quinta Colonna su Retequattro, Matteo Renzi scherza con Paolo Del Debbio che lo ha invitato a scrivere su una lavagna le prossime priorità del governo, impegnandosi a mantenere le promesse fatte oggi. Frizzi e lazzi, battute ("Datemi il pennarello rosso. Ah già, il suo editore non vuole"), ammiccamenti per strappare applausi. Automatico il collegamento con quel "patto con gli italiani" siglato da Silvio Berlusconi nello studio di Porta a Porta nel 2001. Renzi ne è consapevole e si preoccupa di avvertire: "L'importante è che non mi si porti tavolo e scrivania, senno è come quell'altro". 

Del Debbio e Salvini lo umiliano - Insomma, uno show che però non ha scaldato lo studio. E il finale è stato a dir poco gelido, con Del Debbio che lo congeda bruscamente: "La saluto". "Ah, mi manda via?", ha replicato il premier sperando forse in qualche altro minuto. Il peggio però arriva dopo la pubblicità, quando avviene la staffetta con Matteo Salvini: "Del Debbio, voglio anch'io la lavagnetta del fenomeno che c'era prima. Così diciamo le verità contro le balle che ha detto". Applausi decisamente più caldi.

@matteorenzi dice: vai in pensione prima #Ape perdi 5% ma risparmi per baby/sitter. Pensionato con neonato? IMBECILLE! #quintacolonna

— Maurizio Gasparri (@gasparripdl) 26 settembre 2016

Le pensioni minime - Dagli stipendi dei senatori ai rimborsi dei gruppi passando per le spese dei funzionari, Renzi ha parlato di tutto anche se il tema più attuale, il referendum, ha ricevuto meno spazio di quanto auspicasse. Su Twitter, molti hanno criticato le sue parole sulle pensioni. "Alle pensioni minime, a quelli che arrivano fino a 750 euro, viene data oggi una quattordicesima, circa 40 euro al mese. A questi raddoppiamo la quattordicesima in un'unica soluzione". 

Dalla Fornero all'Ape - "La questione delle pensioni è molto delicata e non faccio promesse invano. Gli 80 euro non andavano ai pensionati. Abbiamo fatto una misura che riguardava il lavoro, poi la tassa sulla prima casa e tasse agricole. Quello che restava fuori sono le pensioni. Ora vogliamo dare una mano", continua Renzi.  "Quest'anno si fanno Ires e Iri, si abbassano tutte e due. L'altra cosa sono le pensioni. A quelli che non sono potuti andare in pensione per la legge Fornero daremo l'Ape, un anticipo, in cambio di circa il 5% in meno. È una scelta, nessuno deciderà per conto degli altri. Si tratta di persone che sono state fregate, ma non voglio essere demagogico: hanno un po' esagerato lo scalone". 

Spese per migranti e terremoto - "C'è una cosa che si chiama patto di stabilità europeo, ho detto che ci sono due voci: le spese per i migranti e quelle per il terremoto voglio che non siano contagiati a livello europeo. Lo abbiamo chiesto e lo facciamo, punto. Noi lo si fa lo stesso in virtù della cosiddetta clausola eccezionale".