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martedì 15 dicembre 2015

Clamoroso in diretta: la Gabanelli accusa, ma arriva una replica (senza precedenti...)

Clamoroso in diretta: la Gabanelli accusa, ma arriva una replica (senza precedenti...) 


Report ed Eni, lo scambio di tweet

Un caso che crea un precedente: un colosso dell'energia che replica, in diretta, a una trasmissione televisiva. Di mezzo c'è Report di Milena Gabanelli, che nella puntata di domenica sera ha messo nel mirino Eni nella puntata dal titolo La Trattativa. La trasmissione, come di consuetudine, viene accompagnata da alcuni tweet, pubblicati proprio durante la messa in onda. In uno di questi, Report affermava: "L'unico dato certo è che Eni ha pagato un miliardo e 92 milioni di dollari, bonificati su un conto Jp Morgan". Eni, però, non ha incassato in silenzio e ha risposto: "Ma sentenza Corti inglesi esclude comportamenti fraudolenti di rappresentanti" (nella foto, lo scambio di tweet).

Banche, spunta la nuova lista nera dove i tuoi risparmi sono a rischio

Banche, solo l'inizio? La nuova lista nera: dove i vostri soldi possono sparire


di Sandro Iacometti
@sandroiacometti



E se fosse solo l’inizio? Vigilanti che non vigilano, conflitti di competenze, responsabilità fantasma, eventi imprevedibili.

Di fronte al patatrac delle quattro banche, che ha trasformato in carta straccia i risparmi di oltre 130mila clienti, ci hanno voluto far credere che si sia trattato di un fulmine a ciel sereno. Un cataclisma improvviso ed eccezionale, che si è abbattuto su quattro istituti sfortunati.

La realtà è che quanto accaduto con Pop Etruria, Banca Marche, Carife e Carichieti potrebbe rivelarsi un fenomeno tutt’altro che isolato e irripetibile. Nei giorni scorsi si è calcolato che in giro per l’Italia ci sono circa 60 miliardi di obbligazioni subordinate che potrebbero fare la stessa fine di quelle in mano ai risparmiatori delle quattro banche. Si tratta di prodotti rischiosi acquistati spesso senza la dovuta preparazione finanziaria, in alcuni casi anche in maniera forzata per ottenere un finanziamento, ma raramente senza la consapevolezza di fare un investimento.

Diverso è il caso delle azioni. Abbiamo visto con il documento pubblicato ieri da Libero che l’acquisto dei titoli delle banche veniva imposto per la sottoscrizione di un mutuo, ma anche per la semplice apertura di un conto corrente o per avere accesso a determinati servizi bancari. La percentuale dei soci involontari delle banche più piccole e non quotate è elevatissima. Certo, in alcuni casi gli azionisti hanno intascato buoni dividendi, ma un discorso è acquistare un prodotto finanziario, un altro prendersi un pezzetto della propria banca. Come spiegano gli analisti indipendenti di Consultique, le azioni «non sono necessariamente titoli a rischio perché dipende appunto dalla situazione della banca ma in alcuni casi sono illiquide, ovvero non scambiabili facilmente sul mercato come in Borsa». E in altri casi, anche senza scomodare il bail in, che lì pescherebbe in prima istanza, il loro valore potrebbe ridursi sensibilmente. A metterci lo zampino, manco a dirlo, ci ha pensato anche il governo, con la sua riforma dello scorso inverno che obbliga le popolari più grandi a trasformarsi in spa. Tanto per avere un’idea la quotazione di Veneto Banca e Pop Vicenza provocherà, secondo le stime degli analisti, una svalutazione delle azioni che potrebbe arrivare fino all’85%.

La massa di titoli illiquidi che rischia di veder abbattuto da un giorno all’altro il suo valore è enorme. Gli esperti di Consultique si sono presi la briga di calcolare il valore delle azioni di 20 istituti di credito medio piccoli, magari oggi in ottima salute, ma con caratteristiche simili per dimensioni, struttura organizzativa e tipologia di business, alle quattro fallite. Ebbene, complessivamente siamo di fronte a quasi 16 miliardi di azioni. La lista degli istituti con il patrimonio netto più alto parte proprio da Pop Vicenza (che ha già svalutato i suoi titoli da 62 a 48 euro) e Veneto Banca (lo scorso aprile ha svalutato da 39,5 euro a 30,5 euro), che totalizzano rispettivamente 3,7 e 2,9 miliardi di euro.

Più staccata arriva la Cassa Risparmio Asti ,con 771 milioni, e la Banca Sella con 617 milioni. Seguita dalla Cassa risparmio di Bolzano con 504 milioni. Chiude la lista la Banca di credito Popolare, con 231 milioni.

Per avere un’idea di quello che può succedere quando le banche non quotate si confrontano con il mercato si pensi che in base ai multipli utilizzati da istituti comparabili il prezzo indicativo per i titoli di Veneto banca potrebbe essere tra gli 11 e i 12 euro. Per quelli di Pop Vicenza tra i 17 e i 18.

L'attacco in aula contro la Boschi Arriva la sfiducia: la sua reazione

L'attacco in aula contro la Boschi. Arriva la sfiducia: la sua reazione



Arriva in Parlamento lo scontro politico sul crac banche. Il Movimento Cinquestelle ha presentato nel pomeriggio di ieri, una mozione di sfiducia contro il ministro della Riforme Maria Elena Boschi, accusata di essere in conflitto di interesse per il coinvolgimento del padre e del fratello nel commissariamento della Banca Etruria e il successivo salvataggio da parte del governo: "Il Ministro Boschi - hanno scritto i grillini nel documento - ha dichiarato che i genitori ed i fratelli non hanno prestato il consenso alla pubblicazione sul sito del Governo dei dati inerenti alla loro situazione patrimoniale, ad onta del principio generale di trasparenza". Nella mozione, pubblicata da Beppe Grillo sul suo profilo Twitter, si legge: "I fatti citati e la loro concatenazione temporale gettano un’ombra sul ministro e la sua funzione istituzionale con riguardo alla cura ed alla salvaguardia degli interessi pubblici, del principio generale di assoluta imparzialità, nonchè della necessità di tutelare il risparmio in tutte le sue forme, come espressamente previsto dall’articolo 47 della nostra Costituzione al momento vigente; anche il solo sospetto che, attraverso la sua funzione di governo, il ministro Boschi abbia potuto interagire ovvero influenzare l’intera compagine governativa al fine di perseguire interessi personali e familiari, non ne consente la permanenza nel prosieguo dell’incarico per tali motivi, visto l’articolo 94 della Costituzione, visto l’articolo 115 del Regolamento della Camera dei deputati, esprime la propria sfiducia al ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, e lo impegna a rassegnare immediatamente le proprie dimissioni". A stretto giro ha risposto anche la Boschi: "Discuteremo in Aula, voteremo e poi vedremo chi ha la maggioranza".

TERREMOTO NELLA TV ITALIANA Tre arresti: tutti i regali e le tangenti

Grossi guai per un manager della tv: l'ombra dello scandalo pure su Sanremo




È partita l'ordinanza di custodia in carcere per il produttore televisivo David Biancifiori, oltre che a un militare della Guardia di Finanza ritenuto vicino al manager. L'accusa della Procura di Roma è di associazione a delinquere finalizzata ad "una pluralità di delitti tributari" tra cui "l'emissione di fatture relative a operazioni inesistenti", la "dichiarazione fraudolente" e la corruzione. Nel fasciolo dell'indagine del pm Paolo Ielo sono coinvolte più di 40 persone, tra le quali funzionari e dirigenti Rai, società del gruppo Mediaset, La7 e Infront.

Le ipotesi - Secondo gli inquirenti, le società di Biancifiori avrebbero ottenuto l'affidamento di lavoro e servizi, tra i quali si ipotizza anche opere realizzate per un'edizione di Sanremo, versando ai committenti denaro oppure offrendo loro vacanze, biglietti aerei e assunzioni. Le verifiche della Guardia di Finanza riguardano le società Di and Di lighting & truck srl e la Di.Bi. Technology, specializzate in servizi per la televisione e lo spettacolo. A David Biancifiori, spesso chiamato nell'ambiente "Scarface", la polizia tributaria contesta fatture relative a operazioni inesistenti per diversi milioni di euro. Insieme con il manager noto anche come 'Scarface' sono stati coinvolti nel provvedimento di custodia anche l'imprenditore Giuliano Palci ed il militare della Gdf Pietro Triberio che avrebbe ricevuto una mazzetta a molti zeri per chiudere gli occhi nel corso di una verifica fiscale.

Due bombe atomiche di Marchionne: "Alfa in Formula Uno. Ferrari invece..."

Bomba Marchionne: "Alfa torna in Fomula. E la Ferrari forse se ne va"




Dopo le indiscrezioni, c'è la firma di Sergio Marchionne. Il presidente Ferrari spiega: "Il marchio Alfa Romeno è incredibile come resti nel cuore della gente. Proprio per questi stiamo pensando a un suo ritorno, come nostro competitore, alle corse, alla Formula 1". Il numero uno del Cavallino, dunque, apre alla possibilità del grande ritorno di Alfa, in aperta competizione con Maranello. La "bomba" è stata sganciata a margine dello scambio di auguri con i giornalisti di Formula 1. Marchionne ha aggiunto: "È importante che l'Alfa Romeo torni. Sarà un competitore in più". Ufficiale, dunque. O quasi.

Alfa nel circus - Il Biscione fu in F1 dal 1950 al 1985, e nel progetto fu coinvolto anche Enzo Ferrari. Successivamente, fino al 1988, continuò a fornire i motori. Alfa vinse il titolo nel 1950 con la 158 Nino Farina e nel 1951 con Juan Manuel Fangio; in totale ha corso 110 gare ottenendo 11 vittorie".

Ferrari, addio F1? - Uno scatenato Marchionne, poi, ha aggiunto una mezza provocazione, altrettanto atomica: "Che la Ferrari lasci la Formula 1 è un'ipotesi possibile, ma molto improbabile. Se non ci vogliono, noi ce ne andiamo". Il presidente poi ha puntato il dito contro i vertici del circus, come spesso ha fatto negli ultimi tempi: "Se vogliono trasformare la Formula 1 in Nascar possono fare a meno di noi". E ancora, sul mancato accordo con la Red Bull per la fornitura dei motori, ha chiosato: "Sarebbe stato pericoloso per la competitività della Ferrari".

L'intervista - "Ghedini mi ha cacciato dalla Camera" L'accusa velenosa del big di Forza Italia

"Così Ghedini mi ha cacciato dal Parlamento". L'accusa velenosa del big di Forza Italia


Intervista a cura di Giancarlo Perna



Nelle tre legislature che ha fatto col Pdl, dal 2001 al 2013, Maurizio Paniz ha dato un notevole contributo giuridico. Grosso penalista di Belluno, Paniz è l' uomo che ha chiuso il caso Unabomber. Con una clamorosa contro inchiesta, che svelò la falsificazione delle prove da parte del Laboratorio Anticrimine di Mestre, il legale ottenne l' assoluzione dell' imputato, Elvo Zornitta, ingiustamente sospettato per anni. Alla Camera, Paniz fu relatore sul «processo breve» che fissava in sei anni la durata massima dei tre gradi di giudizio ma che, essendo misura sacrosanta, non passò. Fece anche un paio di interventi in Aula sul caso Ruby, sostenendo che il Cav ignorasse la minore età della geisha e che fosse davvero convinto della sua parentela con Mubarak. Tempo dopo, la Cassazione ricalcò le sue tesi e assolse il Cav. Nonostante i meriti - o forse a causa di questi - Paniz non è stato rieletto nel 2013. È una storia di antipatie e ritorsioni che mi riprometto di affrontare appena arriva.

L' appuntamento è alle 15.30 nel centro romano dove Paniz mi raggiungerà dopo un' udienza al Palazzaccio. Oltre allo studio principale di Belluno ne ha uno anche a Roma, un po' per l' abitudine alla città presa nei dodici anni da parlamentare ma soprattutto perché c' è la Cassazione dove va a finire tutto quel che riguarda i suoi clientoni, da Benetton a Del Vecchio.

Sono le 15.29 quando mi si para davanti un baldo signore, immediatamente riconoscibile come Paniz per la barbetta che corre lungo il mento e fa un arco supplementare attorno alla bocca. «Spero di non averla fatta attendere», dice con allegra cerimoniosità veneta pur sapendo di essere più che puntuale. La sua ferrea stretta di mano, sconsigliabile al primo accenno di osteoporosi, è il biglietto da visita di un uomo schietto. «Immagino che perderà un sacco di tempo per curare una barba così geometrica», dico mentre, sedendo a un bar, ordiniamo i caffè. «Per me, è un risparmio di tempo», risponde. «Oggi, sono passato dal barbiere. Ma per i prossimi dieci giorni non la tocco più. Porto la barba dal liceo. Essendo nottambulo, la mattina facevo fatica rasarmi prima di correre a scuola. Facendomela crescere, guadagno quindici minuti al giorno. Sono varie ore al mese che, nella frenesia della mia vita professionale, fanno comodo». «Per uno ai suoi livelli non le converrebbe mollare una cittadina come Belluno e stabilirsi a Milano o Roma?», osservo giudiziosamente. «Io mi onoro di essere provinciale», replica. «C' è più merito a emergere da un piccolo angolo di mondo. È una lezione che ho appreso dal mio cliente, Leonardo Del Vecchio. Gli chiesi, come lei ha fatto con me: "Non sarebbe meglio per Luxottica una sede a New York invece che ad Agordo?". Replicò: "Non è scritto da nessuna parte che da Agordo non si può essere i primi del mondo"». «Lei ha il mito dell' uomo venuto dal nulla. Qual è il suo nulla?», domando.
«Mio papà era un emigrato.

Nato in America, è tornato a Belluno da piccolo e ha preso faticosamente una laurea per fare l' insegnante. Anche mamma insegnava e hanno tirato su tre figli. Da noi si mangia pane e neve, ma io non potevo neanche permettermi di andare a sciare come i miei compagni di scuola. Tutto ciò che ho fatto, l' ho costruito mattone su mattone». «Fino a scalare le classifiche dei contribuenti nella sua città e in Parlamento», dico. «Da molti anni sono un bel contribuente e mi vanto di non avere mai preso un euro in nero. Non so se siano tutti così», dice con tono divertito bevendo il suo caffè che, se ho ben capito, e la sola cosa che questo ginnico cinquantasettenne si concede tra le sette di mattina e le dieci di sera.

Com' è che non è stato rieletto nel 2013?

«Perché l' on. Niccolò Ghedini non ha ritenuto opportuno darmi un posto sicuro in lista».

E il partito ha lasciato fare?

«Fabrizio Cicchitto e altri hanno cercato di difendermi ma l' on. Denis Verdini, responsabile delle liste, non ha potuto che seguire le indicazioni di Ghedini che, come lei sa, è molto vicino al presidente».

È lo storico difensore del Berlusca in tutte le sue cause. La vostra è una rivalità tra veneti, lei di Belluno, Ghedini di Padova?

«Io non ho nessun tipo di rivalità professionale con Ghedini. Tantomeno politica».

Perché Ghedini non la vuole tra i piedi?

«Tutti lo sanno in Parlamento, a destra come a sinistra. Ma non entro in polemica».

Gli faceva ombra?

«L' ha detto lei».

Come giudica Ghedini alla luce di questo sospetto?

«Non ho alcuna considerazione per chi ha l' onore di essere in Parlamento e poi non lo frequenta. Ghedini ha il record dell' assenteismo».

Ha sbagliato il Cav nell' affidarsi sempre a Ghedini che ha finito per dare ai nervi a tutti i giudici d' Italia?

«Scelte personali che non mi competono. Certo è che aveva a disposizione altri professionisti di alto valore. De Luca, Pecorella, Cassinelli, Contento, Perlini».

In alcune cause, a Ghedini sono stati aggiunti grandi avvocati come Coppi e Dinacci.

«Sono stati essenziali e decisivi per l' assoluzione del presidente nel caso Ruby. Sono onorato che il prof. Coppi abbia ripreso davanti alle Corti le tesi da me svolte alla Camera per oppormi all' autorizzazione a procedere di Berlusconi».

Accettando l' affiancamento di Coppi e Dinacci, Ghedini ha mostrato di sapere essere umile.

«Non mi sembra che nel Ruby ter, attualmente in corso, Coppi e Dinacci siano nuovamente nel collegio difensivo».

Si dice spesso che il Cav si affida a persone sbagliate.

«Ha dato ruoli elevati a chi non meritava e trascurato persone di grandi capacità. Così, quando hanno voluto defenestrarlo dal Senato, invece di una squadra energica si è trovato circondato da infingardi che infilavano la testa nella sabbia».

Non sa giudicare gli uomini.

«Berlusconi è un maestro della politica internazionale, è straordinario per capacità di lavoro, memoria, scelte, strategiche. Ma anche lui, come Achille, ha un tallone: il tocco infelice nella scelta dei compagni di strada».

Il Cav spera nell' Ue per annullare la Severino che l' ha cacciato dal Senato. Si illude?
«Fa bene. È aberrante che non sia stata rispettata l' irretroattività della legge penale. L' Ue ripristinerà un cardine dello Stato di diritto calpestato dal Senato italiano».

Lei punta a tornare in Parlamento?

«No. L'esperienza alla Camera è stata tuttavia eccezionale per l' alto livello dei colleghi e l' eccellenza del personale parlamentare che merita le alte retribuzioni e i piccoli privilegi del suo stato».

Il Cav, a parole, voleva riformare la Giustizia. Perché ha fallito?

«Chi gli stava vicino lo ha indotto a scelte troppo ad personam in contrasto con l' interesse generale».

Si riferisce al Guardasigilli, Angelino Alfano che per tre anni annunciò la Riforma senza darle seguito?

«Non necessariamente ad Alfano. Bisogna anzi vedere quante delle promesse di Alfano erano iniziativa sua o di chi stava dietro le quinte».

Devo pensare che dietro a tutto c'era il solito Ghedini?

«Fa bene a pensarlo».

Matteo Renzi?

«Tra parlare e fare c'è grande differenza. Comunicatore grandissimo ma risultati scarsi. Si è impegnato molto in settori non strategici».

Allude alla riforma del Senato?

«Sbagliata. Il doppio passaggio è utile. Specie sui temi etici che ci occuperanno in futuro: coppie di fatto, fecondazione assistita, affidamenti condiviso, ecc. Cose che incidono sulla società e meritano il vaglio delle due Camere. Inoltre, non mi piace un Senato non eletto dal popolo».

Se un ladro mi entra in casa ho diritto a sparargli?

«Senza ombra di dubbio. Il ladro faccia a meno di entrare in casa d'altri e non correrà nessun rischio».

Abolire il reato di immigrazione clandestina è stato saggio?

«Un azzardo. Ha abbassato il controllo del territorio, cosa essenziale per la sicurezza. I vecchi marescialli del carabinieri sapevano tutto dei loro paesi. Come figlio di emigranti ho rispetto per l' immigrazione. Ma voglio la prevenzione che è molto migliore della sanzione».

Le è capitato di rifiutare una causa?

«Quando la difesa mi ripugna. La prima che rifiutai, pur essendo agli inizi di carriera, fu un signore che aveva rubato mille stelle alpine. Lo dovevo alle mie montagne!».

Se qualcuno la incaricasse di diffidare una scuola che espone il crocifisso?

«Rifiuterei. I nostri emigranti hanno rispettato gli usi che trovavano, non imposto i propri. Questo è il messaggio della storia».

lunedì 14 dicembre 2015

Dramma davanti alla villa di Berlusconi: compie un gesto estremo. Cos'è successo

Dramma davanti alla villa di Berlusconi: il gesto estremo di un giovane. Cosa è successo




Un uomo si è dato fuoco davanti alla villa di Silvio Berlusconi ad Arcore. E' successo alle 9,45 di oggi, lunedì 14 dicembre: Claudio Usala, 30 anni, è stato salvato dalle fiamme dai carabinieri di sorveglianza alla residenza del Cavaliere.

L'uomo si è presentato all'ingresso di villa San Martino con i vestiti già intrisi di combustibile e si è dato fuoco. I militari lo hanno subito spinto su un prato e hanno spento le fiamme che gli avevano già incendiato i pantaloni. Usala è stato quindi portato in codice giallo all'ospedale Niguarda di Milano, dov'è stato medicato. Non ha spiegato a nessuno le ragioni del suo gesto.