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lunedì 14 dicembre 2015

Previsioni meteo, la preoccupante verità: quando arriverà l'inverno in Italia...

Previsioni meteo, la preoccupante verità: quando arriverà l'inverno in Italia




Un dicembre anomalo, per tutta l’Italia: temperature sopra la media stagionale e niente neve neanche a Natale. Ma a preoccupare, soprattutto, è l’emergenza siccità. "L’alta pressione subtropicale e il conseguente tempo stabile - spiegano dal Centro Epson Meteo - stanno aggravando la siccità, in particolare al Nordovest. In alcune zone di questo settore non piove da quasi 2 mesi: a Vercelli da 58 giorni non cade una goccia di pioggia, a Torino e Milano da 46 giorni e a Como da 45". A novembre le piogge sono calate del 60% rispetto alla norma e questa percentuale sale al 92% per le zone del nordovest. Dopo quelli del 1981 e del 1973, è il terzo novembre con maggior siccità degli ultimi 60 anni. "Le notizie - dicono i meteorologi - non sono confortanti e l’alta pressione molto probabilmente terrà lontane le perturbazioni anche per tutta la prossima settimana".

L'inverno... - L'alta pressione cronica, tra le conseguenze, ci porta la quasi totale assenza di neve sulle montagne. Come spiegano i tecnici Aineva si tratta di una situazione di assoluta sofferenza per il settore sciistico e sul fronte delle risorse idriche. Un fenomeno del genere sul lungo periodo non si verificava dagli anni ’80. La poca neve caduta in quota è stata facilmente neutralizzata da venti forti e dalle temperature miti, mentre lo zero termico si è registrato solo in alta quota. E anche a Natale, come accennato, non ci saranno fiocchi: l’arrivo del “vero inverno”, con abbondanti nevicate, è previsto per fine dicembre.

"Vengo a casa tua", "ti spacco...". Sallusti, clamorosa soffiata su Matteo Renzi: "Così mi minacciò al telefono..."

"Vengo a casa tua", "ti spacco...". Sallusti e la clamorosa rivelazione su Renzi: "Così mi ha minacciato al telefono"




"Esattamente un anno fa", scrive nel suo editoriale sul Giornale, Alessandro Sallusti, "a tanto risale l'ultima volta che ci siamo sentiti al telefono, Matteo Renzi mi minacciò per una notizia che lo riguardava, pubblicata sul nostro sito: Guarda, mi disse, che vengo sotto casa e ti spacco le gambe".

Per questo non stupisce troppo che alla Leopolda, continua Sallusti, siano "esposti in bella vista in una gogna pubblica", i "giornali che hanno osato criticare il governo" al centro di "un nuovo gioco di società dal titolo Vota il peggiore".

Bossetti e l'ultimo colpo di scena: il test del Dna? Era "scaduto"...

Colpo di scena al processo, quella rivelazione sui kit del Dna


di Luca Telese



Claudio Salvagni è sarcastico: «Ma come? Questa traccia così pura e meravigliosa dello slip, fino a ieri risultava esaminata solo quattro volte. Oggi, con i nuovi dati presentati, ci risultano 18 amplificazioni!

Non può essere consentito, è una grave lesione del diritto della difesa».

Letizia Ruggeri è algida: «Non è possibile configurare nessuna inutilizzabilità dei nuovi dati. Chiedo che l' eccezione sia respinta!».

L' avvocato, calmo ma terreo, attacca come mai prima: «Dubitiamo che siano genuini questi dati! Ci è stato detto che erano tutti, e non è così: vorremmo averli tutti davvero!
Non solo quelli sugli slip. È il gioco delle tre carte!».

La Ruggeri, tombale: «Sento qui, oggi, accuse al limite della calunnia! Chiedo da subito la trasmissione al mio ufficio dei verbali di questa seduta!».

Salvagni si gira con un sorriso beffardo verso i giornalisti: «Vedete? Mi vuole denunciare. Ci manca solo questo, ormai!».

Aula magna del Tribunale.

Nell' ultima udienza dell' anno del processo Yara succede davvero di tutto, a metà fra dramma e commedia, tra momenti di tensione e involontari siparietti ironici. Breve sintesi: arrivano nuovi dati sugli esami di "Ignoto uno", la persona che avrebbe lasciato tracce sui vestiti della ragazzina uccisa, che saltano fuori nel dibattimento (fuori tempo massimo, ma ammessi dalla Corte), sul reperto più importante del processo (il famoso slip). Ci sono relazioni che non tornano, firmate dagli stessi autori ma discordanti fra di loro. Si verifica addirittura un inedito sciopero del controinterrogatorio da parte degli avvocati, poi viene ventilata una minaccia di denuncia da parte del pm (l' avete appena letta). Si produce persino un involontario momento-commedia all' italiana dell' ufficiale supervisore dei Ris di Parma, da cui si evince che - non solo per il processo Yara - i laboratori dei Ris per fare gli esami del Dna usavano spesso dei kit «tecnicamente scaduti», come gli yogurt (ma, in qualche modo, rigenerati!).

Certo: era - e si sapeva già - una delle udienze chiave del processo. Era anche il terzo e ultimo atto dell' interrogatorio dei cosiddetti "capitani" - Nicola Staiti e Fabiano Gentile - che hanno condotto gli esami più delicati sul reperto più delicato, il cosiddetto G20 (ovvero la porzione di mutandina su cui è stato trovato il Dna di "Ignoto numero uno"). A inizio seduta prende la parola Salvagni, teso, corrucciato, nervosissimo: «Volevo mettere un punto fermo molto importante perché questo è un processo dna-centrico, è il fulcro nodale del processo». Su questo, almeno, non c' è dubbio: i cosiddetti «dati grezzi» di cui si discuteva erano stati richiesti la prima volta il 27 aprile 2015, poi di nuovo il 17 luglio (con l' udienza dell' ammissione delle prove), e infine l' 11 settembre, quando la presidente Bertoja - malgrado una strenua opposizione della pm Ruggeri - aveva prescritto che il Ris produccesse «tutti i dati disponibili». Come mai tanta resistenza dell' accusa? Mistero.

Spiega Salvagni: «I dati grezzi sono come una radiografia, non il referto. La difesa ha bisogno della radiografia!». E aggiunge: «Abbiamo impostato il controesame sulla base di quel che ci ha stato detto. Quei dati hanno determinato le scelte difensive di questa fase istruttoria. E cosa è successo? Il caos - spiega l' avvocato -, consulenti che producono dati alla rinfusa, gli stessi autori non riuscivano a rispondere». Infine l' ultimo affondo: «In sede di controesame, a domanda della corte, i due capitani avevano ribadito: "In quel cd ci sono tutti i dati grezzi". Tutti!». E questo, effettivamente, è a verbale. Infatti il 26 ottobre era arrivato il dischetto, e poi era iniziata una danza processuale senza precedenti. I due capitani avevano detto in aula di non essere in grado di rispondere alle domande sul numero e sulla qualità degli esami, poi avevano chiesto una sospensione, l' avevano ottenuta, erano tornati in una nuova udienza, poi avevano lamentato la difficoltà di reperire i dati (nel loro stesso archivio!) spiegando che erano «confusi con quelli di altri casi», poi domandato una nuova sospensione, e infine ottenuto di essere risentiti una terza volta (!) rispondendo a domande scritte, e riservandosi di fornire «nuovi dati grezzi qualora li trovassimo» (e così è stato). Era possibile che dopo aver avuto bisogno di sei mesi per reperire quei dati, venisse loro concesso di produrne altri? Questa era la domanda che tutti si facevano. Ebbene, la presidente Bertoja, dopo aver riunito la Corte ieri ha detto di sì.

Ieri i due capitani sono ricomparsi per la terza volta sul banco dei testimoni, spiegando che pochi giorni fa, il 4 dicembre, avevano prodotto la loro relazione scritta e il loro supplemento di dati. Prima sorpresa: «Su 15-20 nuovi ferogrammi prodotti» (quantificazione fatta da loro), si scopre che ben 14 riguardano proprio lo slip. Una incredibile anomalia, statisticamente («il quattrocento per cento in più!» dice Salvagni indignato). E Staiti e Gentile devono esserne consapevoli, se è vero che per attutire la portata di questo dato dicono: «Sul reperto G-20 ci sono 9 tracce in più su 18». Un piccolo escamotage: per dare quel numero i capitani computano sia amplificazioni che ripetizioni. Ma i casi sono due: o sono 9 nuove tracce su 13 esami (senza le ripetizioni), oppure sono 14 su 18 (in tutto): il dato di partenza è sempre 4. Salvagni non ci sta: «La difesa sta urlando la necessità di svolgere al proprio meglio il mandato difensivo. Se questi dati sono stati prodotti nella loro indagine, e se vogliamo ammettere che fossero presenti, perché non sono stati forniti? Perché regnava questo caos nei Ris?

Vogliamo davvero credere che ci fosse? È evidente che questo è stato un sistema per far vedere alcune cose e non altre». Anche l' avvocato Camporini è duro: «L' integrazione è possibile solo se non si eccedono le circostanze prospettate. Questo non può essere ammesso mentre c' è una consulenza tecnica in corso». Ed è lo stesso difensore ad annunciare il colpo di scena: «Noi non ci fidiamo: non formuleremo domande nel controesame - annuncia - perché le risposte sarebbero inquinate». Così, in un clima surreale i due capitani illustrano i loro dati rispondendo alle domande della Bertoja. Con qualche discrasia curiosa. Nella loro relazione avevano detto di aver trovato sullo slip L' aplotipo Ypsilon. Che è importantissimo - soprattutto in questa indagine fondata su una indizio parentale - perché è quello con cui si trasmette il gene paterno. Ma nella sintesi della nuova relazione si scopre che su quel reperto i capitani scrivono di non aver usato il kit che individua «l' Ypsilon». Nell' intervallo mi avvicino a Stati: "Come è possibile?". La Pm, seduta davanti a lui, gli fa cenno «No-No» con la matita. Lui la guarda, si ferma, pare imbarazzato: «Mi spiace... ma... non sono autorizzato a rispondere».

Chiedo al consulente della difesa, Marzio Capra: «Posso solo fare un' ipotesi: l' esame sull' Ypsilon lo hanno fatto su un altro reperto, e poi, sovrapponendo i risultati, lo hanno attribuito anche all' altro campione». Il Dna di "Ignoto uno" è stato quindi ricostruito come un puzzle? Mistero. In aula la Ruggeri chiederà proprio di quell' Ypsilon, e Staiti le risponderà: «Abbiamo fatto un errore materiale nella prima relazione».

Ma se è vera la seconda relazione e non la prima, la domanda allora è: come mai non fare quell' esame così cruciale proprio sul campione considerato più importante? Altro mistero.
La Corte si riunisce alle 12. Poi la Bertoja annuncia che ammette l' integrazione dei capitani: «Non sono dati nuovi, ma una nuova produzione di dati già elaborati».

Sembra finita. Ma alle 13.30 arriva il tenente colonnello Marco Pizzamiglio, tenente colonnello del Ris. Salvagni fa una domanda che all' inizio pare folle: «Le risulta che i polimeri utilizzati per i test possano essere scaduti?». Risposta incredibile dell' ufficiale: «Sì, può capitare». Possibile? Spiega Pizzamiglio. «Le scadenze vengono riviste perché le date indicate dai produttori sono strette, per vendere di più.

Se scadono noi ricontrolliamo».

A questo punto l' avvocato incalza: «Nel caso specifico avete usato lotti con polimeri scaduti?». Risposta del Ris: «Allora non avevamo i controlli assoluti di oggi, ma che li facevamo su ogni singolo caso facevamo un controllo.

Tante scadenze non sono reali... E poi avevamo così tante ripetizioni nel risultato che il problema si poneva». Chiede Salvagni: «Si può sapere su quali campioni sono stati utilizzati i lotti scaduti?». E l' ufficiale: «No, l' operazione del kit non viene tracciata, non è possibile saperlo».
Ma la scena più divertente dopo tanta tensione è questa.

Pizzamiglio è in aula perché è il firmatario del rapporto sul Dna, il più importante del processo. Su questo deve essere interrogato. Ma quando arriva la prima domanda, rivela: «Io però non ho visto nulla: né i reperti, né il corpo, gli esami, nulla.

Il mio compito era solo di valutare che la relazione fosse chiara e coerente». E come poteva farlo, chiede l' avvocato? La risposta, capolavoro di burocratese. L' ufficiale è spavaldo, pare "il dentone" di Alberto Sordi: «Non ho visto nessun reperto e nessun esame, è vero: ma pur non avendoli visti sono perfettamente in grado di dare un giudizio». E come? «Io non vedo i reperti. Ma leggo, e giudico se ci sono fattori coerenti!». Risate in aula. Amen. Tra kit, alleli, polimeri e Y, Massimo Bossetti esce con faccia attonita: si prepara al suo Natale in carcere.

Sanremo 2016 si svela: tutti i nomi I cantanti in gara: chi "fanno fuori"...

Tutti i nomi di Sanremo 2016: tantissimi dei talent, Morgan e poche vecchie glorie


di Alessandra Menzani 



Ieri, all'Arena di Massimo Giletti, come è accaduto lo scorso anno, Carlo Conti ha ufficializzato i nomi dei big che parteciperanno al prossimo Sanremo, a febbraio su Raiuno. Dopo attenta analisi, e disumane pressione dei discografici, ecco i nomi e le canzoni. Lo diciamo subito: la grande sorpresa è l'ex giudice di X Factor Morgan: cacciato da Sky, torna protagonista, e di sicuro sarà l'uomo delle polemiche.

-  "Via da qui" di Giovanni Caccamo e Debora Iurato (ex Amici)

- "La borsa di una donna" di Noemi

- "Noi siamo infinito" di Alessio Bernabei (ex dei Dear Jack)

- "Il primo amore non si scorda mai" Enrico Ruggeri (un grande ritorno)

- "Guardando il cielo" di Arisa

- "Wake up" di Rocco Hunt

- "Mezzo respiro" dei Dear Jack (derby contro Bernabei, bella idea)

- "Un giorno mi dirai" degli Stadio

- "Infinite volte" di Lorenzo Fragola (che torna)

- "Il diluvio universale" di Annalisa

- "Blu" di Irene Fornaciari (figlia di Zucchero, una canzone sulle tragedie dei barconi)

- "Sogni e nostalgia" di Neffa

- "Di me e di te"  degli Zero Assoluto

- "Ora o mai più" di Dolcenera (che aveva detto di non sopportare più la tv ma evidentemente ha cambiato idea)

- "Quando sono lontano" di Clementino

- "Cieli immensi" di Patty Pravo

 - "Finalmente piove" di Valerio Scanu (piove in tutti i luoghi e in tutti i laghi?)

- "Semplicemente" di Morgan e i Bluvertigo (il vero colpaccio dopo la cacciata da X Factor)

- "Nessun grado di separazione" di Francesca Michielin (secondo me vince lei, oppure Bernabei)

- "Vincere l'odio" di Elio e le Storie Tese

Insomma, tantissime starlette dei talent show, praticamente tutti, e qualche vecchia gloria. Torna anche il mitologico Dopofestival: Conti sa chi lo condurrà ma ancora non lo dice. Come sempre andrà in onda a orari marzulliani. Ospite comico Leonardo Pieraccioni, amico fraterno del conduttore. Conti spiega: "Festeggio i 30 anni in Rai, il primo contratto fu Discoring, mi hanno proposto anche la direzione artistica, non potevo dire di no, anche se il secondo anno è il più difficile. Lo faccio con la stessa onestà, lo stesso amore e la stessa squadra". E definisce il cast un "bellissimo mosaico", e "niente satira politica". Diviso lavoro in tre parti: i giovani, con proposte  nuove, i venti big e poi penseremo al contorno". Piccolo cambiamento al regolamento: nella serata del sabato uno dei cinque eliminati dalla gara sarà ripescato dal pubblico con il televoto.

Sarà Tale e quale lo scorso anno. Più o meno.

La verità di Pansa sulla Boschi: "Quello che so sulla sua ascesa..."

La verità di Pansa sulla Boschi: "Quello che so sulla sua ascesa..."


di Giampaolo Pansa



C’è una grande incognita che incombe sulla Leopolda, la cattedrale dove viene fatto santo Matteo Renzi. Un’incognita triste perché riguarda una giovane donna, il ministro più importante e insieme il più ammirato del governo. Ma all’apertura, la sera di venerdì 11 dicembre, la vecchia stazione ferroviaria di Firenze è soltanto un avamposto protetto come un fortino. Ci si arriva dopo un percorso disseminato di ostacoli a non finire.

Ho dovuto passare fra turbe di popolo inferocito. Prima di tutto, gli obbligazionisti di Arezzo che avevano un solo obiettivo: contestare il premier segretario e la sua ministra prediletta, Maria Elena Boschi, chiamata da sir Matteo a guidare l’evento. Poi sono comparsi i gruppi di antagonisti di sinistra e di destra che avevano tentato di disturbare una cerimonia renziana nella sede universitaria di Novoli, poi cancellata dal premier. Quindi si sono fatti sotto gli attivisti di «Leopolda viva» che protestano per il degrado e l’insicurezza del quartiere. Infine sono incappato nelle barriere disposte dalle forze dell’ordine a tutela del premier-segretario che non poteva essere insidiato proprio nella culla del proprio potere.

La Leopolda era blindata come non mai. Anch’io sono stato sottoposto al controllo del metal detector, neanche fossi un terrorista kamikaze pronto a farsi esplodere. L’aggeggio ha dimostrato che ero del tutto inoffensivo. Ma a convincere le sentinelle a lasciarmi passare, più che il tesserino dell’Ordine dei giornalisti, è stata la mia veneranda età. Un killer ottantenne? Ma non scherziamo! Un maresciallo della Polizia di Stato ha ordinato ai suoi uomini: «Fate passare il dottore!». Poi mi ha chiesto: «Per quale giornale lavora?». «Per Libero, un quotidiano di Milano». Il maresciallo mi ha strizzato l’occhio: «Porti il mio saluto amichevole al direttore!».

Lo spazio della Leopolda era ancora mezzo vuoto. E così mi sono trovato subito di fronte a una faccia arcinota. Era il sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti, renziano a metà essendo un superstite di Scelta Civica, il piccolo partito di Mario Monti. A quel punto mi sono sentito subito a casa. Nel senso che lo Zanetti è una mia vecchia conoscenza televisiva.

Sono ben pochi quelli che partecipano a una infinità di talk show come succede a lui. Ecco uno stakanovista del piccolo schermo, una presenza ossessionante. L’avevo ancora ammirato a Piazzapulita la sera di giovedì 10 dicembre, un po’ allibito nel vedere in diretta tanta gente che aveva perso i risparmi bruciati dalla Banca Etruria. E l’ho rivisto subito la mattina successiva, ad Agorà. Sempre con i suoi occhiali dalla montatura rossa, un vezzo da adolescente.

Gli ho chiesto: «Signor sottosegretario, come mai porta questi occhiali sbarazzini?». Mi ha risposto: «Per distinguermi dagli altri membri del governo. E dimostrare che non sono un sottufficiale del Grande Leader». Ho replicato: «Però si dice che venga mandato di continuo in tivù perché, in questi tempi acidi, sia lei a togliere le castagne del fuoco». Zanetti ha spalancato gli occhioni: «È una calunnia! Tra i miei doveri c’è anche quello di mantenere il contatto con il popolo dei nostri elettori!».

Le ultime battute di Occhiale Rosso vengono sepolte sotto una tempesta di applausi destinati al sindaco di Firenze, Dario Nardella. È in gran forma. Una lunga intervista di Aldo Cazzullo del Corriere della Sera lo ha ringalluzzito. Finalmente può mettere la testa fuori dalle pagine fiorentine e apparire sull’edizione nazionale. Nardella ne approfitta e spiega agli ospiti della Leopolda le proprie certezze di renziano al mille per mille.

Spiega che destra e sinistra sono residui del secolo passato. La formula vincente è quella del Partito della Nazione che verrà guidato da Renzi di qui all’eternità. Il suo trionfo non potrà essere fermato da nessuna Armata Brancaleone. Nardella rivela che cosa sia questa truppa: «È un’ammucchiata di tutti gli avversari di Matteo. Un fronte vasto che va da Fassina a Salvini, passando per Grillo e Brunetta. Se il Pd rispondesse schiacciandosi a sinistra, commetterebbe un errore fatale!».

Un eminenza da Partito della Nazione compare in quel momento alla Leopolda. È Giuseppe Sala, il manager che ha guidato l’Expo 2015. Il pubblico lo invoca: «Ti vogliamo sindaco di Milano!». Sala è arrivato sin qui soltanto per raccontare il successo planetario della sua fiera mondiale. Si è anche tolto la cravatta e la giacca per adeguarsi al look renzista.

Ma in quel momento la vecchia stazione è percorsa da una scossa elettrica. Qualcuno comincia a urlare: «Il capo leghista Salvini si è infiltrato tra noi». Indicano un tizio seduto da solo in un angolo della Leopolda. È un signore barbuto che indossa una felpa rossa con la scritta «Arezzo». Lo raggiunge una squadretta di esaltati che iniziano a malmenarlo. Poi il presunto leghista viene salvato da una ragazza dello staff renziano che urla: «Fermatevi, è Matteo Orfini, uno dei nostri!». Il presidente del Pd, in pessimi rapporti con il premier, si era camuffato in quel modo per accertarsi di che aria tirasse nei suoi confronti.

Ammetto di essermi imbucato alla Leopolda nella speranza di qualche colpo di scena. Però ho perso il mio tempo. Nel regime renziano nulla sfugge allo sguardo del padrone. Un pizzico di suspence potrebbe venire dal corteo super incavolato dei risparmiatori aretini messi al tappeto dalla Banca Etruria. Ma hanno già fatto sapere che si fermeranno a cinquecento metri dallo spettacolo di Matteo. L’Italia è davvero un paese felice. Neppure l’essere finiti sul lastrico è una ragione sufficiente per dar fuori da matti.

L’unica vera sorpresa viene dal caso di Maria Elena Boschi. La super ministra salta la cerimonia d’apertura, arriva venerdì sera sul tardi, rinuncia a parlare, rifiuta l’invito della Gruber a Otto e mezzo, non vuole incontrare giornalisti. Dicono sia molto stressata. Quanto a me, confesso che la sua vicenda umana mi aveva sempre attratto. Una bella ragazza di provincia che dal nulla era arrivata, a soli trentadue anni, a essere il ministro più importante del governo Renzi, quello delle Riforme costituzionali.

Ma a quel punto si è imbattuta nel primo, vero ostacolo: un’ondata di elogi ruffiani, di inchini, di retorica. Ho sott’occhio un titolone del Foglio di due mesi fa: «La bella Colonnella. A 34 anni sta per dare un colpo di ghigliottina al bicameralismo. Una giovane macchina da guerra che ha saputo resistere a tutti gli accerchiamenti».

Poi la fortuna l’ha abbandonata. E la ragione è nota. Il crack della Banca Etruria dove il padre ricopriva la carica di vicepresidente, gli obbligazionisti truffati, il suicidio di uno di loro. Il 10 dicembre, in un dibattito pubblico a Roma, Maria Elena difende il papà. Sostiene: è una persona per bene, è finito sui giornali perché è mio padre, per questo se sento del disagio è verso di lui.

Non so come finirà questa storia. Ma è inevitabile che sulla kermesse renzista incomba un problema pesante che nessuno aveva previsto: la sorte di Maria Elena. È possibile che non lasci il governo. Tuttavia è certo che adesso la sua ascesa sarà riletta con occhi diversi. Credo non le verranno più dedicati libri osannanti. Come quello uscito un mese fa: Una tosta. Chi è e dove arriverà Maria Elena Boschi.

Non lo sa neppure lei. E nemmeno il Giglio magico fiorentino.

domenica 13 dicembre 2015

Il ricatto degli istituti di credito Mutui concessi in cambio di azioni

IL RICATTO DELLE BANCHE Mutui in cambio di azioni


di Sandro Iacometti 



Niente azioni. Niente mutuo. Qualcuno ha provato a spiegarci, nelle ultime settimane, che il salvataggio dei quattro istituti commissariati non ha toccato i poveri e ignari correntisti, ma solo chi aveva volontariamente investito in quelle banche, conoscendo rischi e pericoli. Una tesi buona, forse, per le conferenze stampa governative, ma poco adatta a descrivere la realtà dei rapporti tra banche e clienti. Il quadro che emerge dai casi concreti è ben differente e, per molti aspetti, inquietante. Nelle ultime settimane abbiamo sentito molti risparmiatori rimasti con le tasche vuote dopo il blitz del governo sostenere che la strada dell' investimento era spesso obbligata, perché le banche vincolavano la concessione di prestiti e mutui alla sottoscrizione di azioni o prodotti finanziari dello stesso istituto.

Esagerazioni? Accuse dovute alla disperazione? Se e quando le autorità indagheranno sulla vicenda si potrà sapere con certezza come centinaia di milioni di investimenti a rischio siano potuti finire nel portafoglio di normali correntisti. Un' idea, però, ce l' abbiamo già. E non deriva dalle proteste di rispamiatori delusi. Libero ha potuto visionare la documentazione di due clienti diventati soci della Banca popolare dell' Etruria e del Lazio (quella in cui aveva messo i risparmi il pensionato che si è tolto la vita e di cui è stato vicepresidente il papà del ministro Boschi) non a loro insaputa, ma sicuramente non di loro sponte. La pratica è quella in parte nota del baratto. Tutto viene fatto sempre a norma di legge. Ma le azioni, in un modo o nell' altro, bisogna sottoscriverle. «Per essere anche solo correntisti», ci spiega la fonte che chiaramente vuole restare anonima, «la banca mi disse che dovevamo essere soci. Non so ancora se è vero, ma così è stato.

Siamo diventati soci. E tutto cià che riguarda le azioni non è mai stato di nostro libero arbitrio. Doveva essere così e basta. Non ci sono state fatte proposte. Ci sono state vendute delle azioni. In cambio avremmo avuto il mutuo». Ed ecco la merce di scambio: un prestito per acquistare l' abitazione. La pillola viene indorata sotto forma di agevolazioni concesse ai soci. Un' abitudine abbastanza in voga tra le popolari e le banche di credito cooperativo. Basta andare sul sito di Carife, altra banca «salvata» dal governo, e scaricare i fogli informativi per i mutui per capire qual è lo specchietto per le allodole. Per il Mutuo Casa Flex e quello Casa Relax la banca propone una promozione ai soci che abbiano almeno 100 azioni uno sconto dello 0,50 punti di spread sul tasso di interesse.

Potrebbe sembrare un' opportunità, in realtà è un obbligo. Anche nel caso della nostra coppia spunta lo sconto. Pop Etruria, si legge nel contratto siglato dal notaio nel 2008, «ha deliberato di concedere ai propri soci mutui e condizioni particolarmente vantaggiose, con il limite di un importo mutuabile di euro 15.000 per ogni 10 azioni». Dovendo chiedere un mutuo di 180mila euro la banca chiede la sottoscrizione di almeno 120 azioni, che nel 2008 valevano circa 900 euro e nel febbraio 2015, dopo il commissariamento, circa 60. I titoli non possono essere venduti, pena il cambiamento delle condizioni. La parte mutuataria, si legge nel rogito, «s' impegna a mantenerne comunque depositate 120 al fine di conservare inalterato il necessario rapporto tra il valore del possesso azionario e il capitale mututato per l' intera durata del finanziamento». Che nel caso specifico è di 20 anni. In caso contrario, il tasso fisso di finanziamento passerà dal 6,15% al 6,75%, con tanti saluti allo sconto.

La natura obbligatoria dell' investimento è chiara dal grado di autonomia di cui gode il titolare delle azioni. «Nell' atto di mutuo», raccontano i clienti, «sembra implicito che fossimo liberi di gestire le azioni, ma ovviamente non era così. Era tutto in gestione alla banca. Non abbiamo mai avuto nemmeno dei rendiconti sul loro andamento. Noi dovevamo solo apporre firme».

La sottoscrizione delle azioni mancanti, come si diceva in qualità di correntisti i mutuatari erano già piccoli soci, viene fatta lo stesso giorno della stipula del contratto.

E qui viene il bello. In fondo alla ricevuta di compravendita dei titoli ci sono due clausole da firmare. La prima recita, testuale: «Autorizzo la presente operazione nonostante sia stato preventivamente informato che l' operazione risulta non appropriata per il cliente». La seconda, anch' essa clamorosa: «Autorizzo l' operazione nonostante sia stato preventivamente informato che presenta un conflitto di interessi per strumento finanziario emesso dalla banca». Certo, i clienti potevano non firmare. Anche se in ballo, spiegano, «avevamo il buon esito del mutuo». La sostanza comunque non cambia e l' ammissione di colpa della banca è, a dir poco, cristallina.

Putin apre il fuoco, la nave spara: momenti di terrore per la Turchia

Russia-Turchia, sale la tensione: si spara in mare




Sale la tensione tra Russia e Turchia. Dopo l'abbattimento dell'aereo militare russo da parte del governo di Ankara, una nave da guerra di Putin ha sparato alcuni colpi di avvertimento contro un peschereccio turco nel Mar Egeo per evitare una collisione. Lo ha riferito il ministero della Difesa di Mosca affermando che l'imbarcazione turca si era avvicinata ad una distanza di 600 metri, prima di allontanarsi a seguito dei colpi di avvertimento. A seguito dell'incidente, riporta la Bbc, l'addetto militare turco a Mosca è stato convocato al ministero degli Esteri.