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venerdì 5 settembre 2014

La polizia sciopera contro Renzi

Polizia e forze armate scioperano contro la Madia


Mobilitazione contro il probabile blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici anche per l'anno prossimo



"La polizia s'incazza" è il titolo di un popolare "B movie" degli anni '70. A farla incazzare, in quegli anni, erano i criminali: rapinatori, ladri, terroristi di quella grigia stagione di piombo. A farla incazzare, oggi, è invece una ministra della Repubblica col visino angelico, i capelli biondi e gli occhi chiari: cioè il ministro della PA Marianna Madia, che ha annunciato nelle scorse ore il probabile blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici anche per il prossimo anno.

La decisione - Così, i sindacati di polizia e il Cocer interforze (che rappresenta (Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri e Guardia di finanza) minacciano uno sciopero generale "entro la fine di settembre",  e "azioni di protesta" in tutta Italia con una "capillare attività di sensibilizzazione" dei cittadini sui  rischi ai quali viene esposto il settore se il blocco del tetto delle retribuzioni fosse prorogato. Una iniziativa di portata storica, visto che mai le forse di polizia e le forze armate hanno scioperato. E un inizio coi fiocchi di quell'autunno "caldo" che molti pronosticano per Matteo Renzi e il suo governo.

La prima volta - "Per la prima volta nella storia della nostra Repubblica - sottolineano sindacati e Cocer - siamo costretti a dichiarare lo sciopero generale" del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, "verificata la totale chiusura del governo ad ascoltare le esigenze delle donne e degli uomini in uniforme. Quando abbiamo scelto di servire il Paese - scrivono i sindacati di polizia, Corpo forestale, penitenziaria, vigili del fuoco e Cocer interforze al termine della riunione servita a fare il punto della situazione dopo le dichiarazioni del ministro Madia - eravamo consci di aver intrapreso una missione votata alla totale dedizione alla Patria e ai suoi cittadini con condizioni difficili per mancanza di mezzi e di risorse. Quello che certamente non credevamo è che chi è stato onorato dal popolo italiano a rappresentare le istituzioni democratiche ai massimi livelli, non avesse nemmeno la riconoscenza per coloro che, per poco più di 1.300 euro al mese, sono pronti a sacrificare la propria vita per il Paese". "Per questo motivo, e nello spirito di servizio e di totale abnegazione per continuare a garantire la difesa, la sicurezza e il soccorso pubblico al nostro Paese - si legge in un documento congiunto - qualora nella legge di stabilità sia previsto il rinnovo del blocco del tetto salariale, chiederemo le dimissioni di tutti i capi dei vari Corpi e Dipartimenti, civili e militari, e dei relativi ministri poichè non sono stati capaci di rappresentare i sacrifici, la  specificità, la professionalità e l’abnegazione del proprio personale".

 La risposta di Renzi - "Volentieri apriamo un tavolo di discussione con le forze di sicurezza che sono fondamentali  per la vita dell’Italia. Ma siamo l’unico Paese che ha cinque forze di polizia: se voglio discutere siano pronti a farlo, su tutto. Ma non tocchiamo lo stipendio nè il posti di lavoro di nessuno". Lo ha detto Matteo Renzi, stando a quanto si apprende, commentando con il suo entourage, lo sciopero annunciato dai
sindacati di polizia.


MATTEO VENDITORE DI FUMO Renzi si riprende gli ottanta euro con le sigarette: ecco cosa succede

Matteo Renzi si riprende gli ottanta euro con le sigarette

di Franco Bechis 


Arriva la prima stangata sui fumatori di ogni genere firmata dal governo di Matteo Renzi. In un decreto legislativo trasmesso al Parlamento da Maria Elena Boschi a fine agosto è infatti previsto un riordino delle accise sui prodotti da fumo che non risparmierà né fumatori di sigarette e sigari tradizionali, né gli amanti delle sigarette elettroniche. La manovra consentirà allo Stato di incassare 163 milioni di euro all’anno in più di oggi grazie a un mix di disposizioni favorevoli, fra cui l’abolizione dell’imposta sui fiammiferi e di norme fiscali introdotte nel 2013 (-53 milioni di euro), e il rincaro di sigarette (+48 milioni di euro), di prodotti da fumo diversi (come i sigari: +36 milioni di euro) e soprattutto della sigaretta elettronica (+132 milioni di euro l’anno).


Il conto finale è salato, e potrebbe portare a un aumento di circa 20 centesimi a pacchetto di sigarette, e a una vera stangata sulle ricariche con nicotina per le sigarette elettroniche, visto che viene invece esclusa la tassazione sui componenti elettronici. Ma il mercato dei fumatori ha tirato negli ultimi due anni un brutto scherzo alle casse dello Stato. Il governo cerca infatti di fare quadrare attraverso continui aumenti di accise e di Iva sui prodotti da fumo due elementi che per principio sono in contrasto: la salute degli italiani (disincentivando il fumo) e quella dell’erario (che deve incassare sempre di più anche se si fuma meno). L’operazione per anni è riuscita, anche in tempi molto recenti. Come spiega il nuovo decreto legislativo nella sua relazione introduttiva, nel periodo 2006-2011 «il consumo di sigarette è diminuito di circa 8,3 milioni di chilogrammi (-8,89%), mentre il gettito - a titolo di accisa - è aumentato del 10,65%, con un maggiore gettito, nei sei anni, di 1 miliardo e 25 milioni di euro». Operazione perfetta: meno gente che fumava, più salute in generale (anche quella ha un costo per le casse dello Stato), ma quelli che rimanevano fumatori pronti comunque a mettere mano al portafoglio ad ogni aumento di accisa voluto dallo Stato. Il sistema perfetto però si è inceppato in questi ultimi due anni, durante i quali sui prodotti da fumo si sono abbattuti contemporaneamente ben tre manovre sulle accise e due aumenti dell’Iva a distanza di poco tempo (prima dal 20 al 21% poi quella varata dal governo di Enrico Letta al 22%).

Questa volta i fumatori si sono ribellati, e non hanno operato nemmeno scelte di ripiego tradizionali, come quella di passare a pacchetti di sigarette meno costosi (ma con le stesse accise degli altri, con effetto quindi netto sulle casse dello Stato). Spiega mestamente il governo Renzi: «Negli ultimi due anni invece è stata registrata una riduzione dei consumi di circa 11,5 milioni di chilogrammi, cui è conseguita una contrazione del gettito - a titolo di accisa - di circa 500 milioni di euro. Metà del guadagno extra dello Stato dei cinque anni precedenti se ne è andato - bisogna proprio dirlo - in fumo nel biennio successivo. E non era mai accaduto. I consumatori per la prima volta si sono ribellati semplicemente non comprando più sigarette o facendosi durare di più il pacchetto acquistato, se proprio non riuscivano a smettere.

«Gli aumenti di prezzo sono stati giudicati eccessivi dal mercato, il quale ha quindi registrato una forte riduzione dei consumi e di conseguenza una diminuzione delle entrate erariali», scrive l’esecutivo. E che ti inventano per invertire la crisi? Un nuovo aumento delle sigarette. Sembrano schizofrenici, visto quel che hanno appena finito di spiegare, ma è così. Il fatto è che il governo se ne rende conto, e prova a spiegarsi: la manovra sulle accise colpirà soprattutto i pacchetti di sigarette venduti a prezzo più basso, perchè i produttori si sono difesi dal calo dei consumi abbassandone il prezzo (e quindi danneggiando l’erario). Non ci dovrebbero essere contraccolpi sulla fascia alta dei fumatori. Vengono colpiti i più poveri quindi, ma secondo il governo non ci sarà effetto negativo per l’erario perchè proprio in quella fascia di consumo la capacità reddituale è in aumento negli ultimi mesi. Non è citato direttamente, ma l’aumento è legato ai famosi 80 euro. Che il governo spera vivamente vadano in fumo.

giovedì 4 settembre 2014

Il deliro del prete anti-Cavaliere contro la figlia di Latorre: "Non scrivere stronz..."

Don Giorgio De Capitani attacca la figlia del marò: "Implora in ginocchio la clemenza della giustizia indiana"

di Angelo Scarano 


C'è qualcuno a cui lo sfogo della figlia del marò Massimiliano Latorre non è piaciuto per nulla. Si chiama Don Giorgio De Capitani, prete anti Cav rimosso dalla parrocchia di Rovagnate e ora a Dolzago (Lecco). In un post sul suo profilo Facebook, il parroco si è rivolto a Giulia Latorre in questi termini: "Dàtti una calmata, rifletti, non scrivere stronzate, e implora in ginocchio la clemenza della giustizia indiana!".

Dopo che il padre è stato colpito da un lieve ictus, la figlia si era sfogata attaccando l'Italia e le istituzioni: ("Paese di merda, pensa più agli immigrati che a mio padre") e chiedendo ai connazionali di scendere in piazza e protestare per la liberazione del fuciliere. Ma per Don De Capitani è stato uno sfogo privo di senso. "Ho letto i tuoi commenti deliranti contro l'Italia, gli italiani e così via. Sul momento, volevo scriverti una letteraccia. Poi mi sono detto: a che servirebbe? Penso che tu sappia ciò che ha combinato tuo padre, non mi sembra che stesse per difendere la Patria italiana. I veri patrioti sono di ben altro calibro!. Questa storia dei marò mi sta annoiando e irritando per come viene pubblicizzata dai nostri mass media e gestita dalla politica. Non accusare gli extracomunitari che non rispettano le leggi italiane! Tuo padre ha forse rispettato la legge indiana? Quando una persona è fuori dell'Italia chi è? Non fa parte degli extracomunitari?". 

"Con l'euro morirete lentamente" L'alternativa per salvare l'Italia? "Taglio dei salari o più disoccupati"

Euro, la profezia di Martin Wolf: "Senza riforme vere l'Italia morirà lentamente"




"Senza un ampio programma di riforme, l'Italia è destinata a morire lentamente". La profezia funesta arriva dalla penna del britannico Martin Wolf, editorialista del Financial Times e tra i più prestigiosi e autorevoli commentatori economici del pianeta. Nel suo ultimo libro The shifts and the shocks, il 68enne Wolf guarda con pessimismo e disincanto alla situazione mondiale e soprattutto dell'Eurozona, affossata da una scelta suicida. "La moneta unica è stata una vera idiozia. Solo Gran Bretagna e Germania hanno tenuto un vero dibattito" sul dilemma euro sì-euro no. "Londra saggiamente ha detto no, sapendo che sarebbe stato un suicidio, mentre Berlino, aderendo, ne ha capito la portata e non solo ha deciso le regole, ma ha fatto tutte le riforme necessarie per funzionare in un un'unione monetaria". L'esatto opposto dell'Italia, che da metà anni Novanta ha fatto di tutto per entrare nel club dei "fondatori" dell'euro, favorendo però il disastro degli anni a venire.

Taglio ai salari o più disoccupazione? - L'Italia e gli altri paesi, sostiene Wolf, "sono stati dei pazzi. Tutti pensavano che l'euro avrebbe risolto tutti i problemi, invece li ha messi a nudo". Problemi che, nel caso italiano, partono da lontano visto che la produttività ha smesso di crescere ben prima di inizio anni Duemila a causa di una mancata modernizzazione del sistema-Paese, una burocrazia che ha tenuto alla larga gli investitori stranieri  e una debolezza congenita del mercato dei capitali. Insomma, ci siamo auto-condannati a essere uno Stato provinciale che vuole sedere al tavolo dei grandi, un vaso di coccio tra vasi di ferro. Come uscire da questa spirale? "Dovete recuperare competitività - spiega il commentatore, che ha casa a Lerici -. In un quadro di bassa o zero inflazione non ha altra strada che far cadere in modo significativo i salari, una via che però penalizza ulteriormente i consumi". Oppure c'è l'altra via: "Aumentare in modo considerevole la produttività. una soluzione che però fa crescere la disoccupazione nel breve periodo". In un modo o nell'altro, dunque, saranno sofferenze tremende. "Se oggi il premier Matteo Renzi mi chiedesse cosa fare, non saprei cosa consigliargli", ammette Wolf, secondo cui però l'unica soluzione è far ripartire il motore della crescita attraverso il recupero della competitività dell'export. E se proprio si dovesse scegliere, meglio la disoccupazione che il taglio dei salari. "Serve un senso nazionale di stato di crisi, i sindacati devono capire", è la chiosa di Wolf.

Draghi non ci salverà- Chi si aspetta un salvataggio dall'alto di Mario Draghi e della Bce, però, sarà deluso. "Non potrà essere di certo l'annuncio di un quantitative easing, cioè l'acquisto di bond sul mercato da parte della Banca centrale europea", frena gli entusiasmi Wolf, che mette in guardia dalla "tremenda resistenza politica" soprattutto dalla Germania. Certo, si dovrebbe "lanciare i soldi dall'elicottero" come fatto a suo tempo dall'ex presidente della Federal Reserve americana Ben Bernanke, ma in questo caso servirebbero "svariati trilioni di euro, l'Eurotower dovrebbe comprare titoli del debito pubblico in proporzione al Pil dei vari Paesi membri". Francoforte, così, controllerebbe anche larga porzione dei debito tedesco. Cosa che Berlino non accetterà mai.

Spariti dieci aerei in Libia, è panico: "Li useranno per l'11 settembre"

Jihad in Libia, spariti una decina di aerei da Tripoli: timore attentati per l'11 settembre




Un altro 11 settembre. E' questo l'incubo dell'Occidente che assiste inerme alla crescita dello Stato islamico in Medio Oriente. Mentre negli Stati Uniti è allerta massima per possibili attentati dei jihadisti con l'appoggio "esterno" dei narcotrafficanti del Messico (uniti da un obiettivo comune: indebolire il più possibile, e per fini diversissimi, le difese Usa), in Europa è un'altra notizia a mettere in guardia i servizi segreti: una decina di aerei commerciali mancherebbero all'appello dall'aeroporto di Tripoli, in Libia. Il timore, ovviamente, è che siano finiti nelle mani dei ribelli islamici vicini ad Al Qaeda. Il legame tra le milizie libiche islamiche e lo Stato islamico del Califfo Al Baghdadi, per ora, non è ancora certo vista la frammentazione del fronte jihadista in tutto il Medio Oriente. 

Gli altri 11 settembre - Di certo, però, in una fase così incerta ogni rischio è concreto, senza dimenticare inoltre che proprio in Libia, a Bengasi, è andato in scena un altro 11 settembre di sangue per gli Stati Uniti: nel 2012 le truppe ribelli assaltarono l'ambasciata americana e uccisero l'ambasciatore Chris Stevens. Ora, secondo il sito statunitense Drudgereport, ecco la notizia della sparizione di una decina di aerei, potenziali bombe volanti come accaduto 13 anni fa a New York, quando due boeing furono dirottati da un manipolo di terroristi qaedisti e si schiantarono contro le Torri Gemelle. Anniversario celebrato ancora con commozione negli Usa ma guardato con esaltazione nel Medio Oriente sempre più imbevuto di follia jihadista.

PAGELLONE DI RIINA AI POLITICI "Silvio sbirrone, Fini miserabile" Su Santanché e Marina Berlusconi...

CARCERE Parla Riina: "I documenti di Dalla Chiesa e Borsellino li hanno i Servizi". E su Renzi e Berlusconi...






«Questo Dalla Chiesa ci sono andati a trovarlo e gli hanno aperto la cassaforte e gli hanno tolto la chiave. I documenti dalla cassaforte e glieli hanno fottuti». Nelle conversazioni fiume tra Totò Riina e Alberto Lorusso, il suo compagno d’aria al carcere di Opera di Milano, il boss corleonese parla anche del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di cui oggi ricorre l’anniversario della morte per mano mafiosa. Riina e Lorusso ne parlano durante il «passeggio» del 29 agosto dell’anno scorso. Le conversazioni sono tutte intercettate e sono state depositate - poco più di 1300 pagine - nell’ambito del processo sulla trattativa tra Stato e mafia. «Minchia il figlio faceva ... il folle. Perchè dice c’erano cose scritte. Loro - continua Riina - quando fu di questo... di Dalla Chiesa... gliel’hanno fatta, minchia, gliel’hanno aperta, gliel’hanno aperta la cassaforte, tutte cose gli hanno preso. Perchè i discorsi di Palermo, i discorsi a Palermo sono, sono assai, tutti grossi e tutti, tutti bomb... tutti, tutti morti. Morti, morti di tanti livelli».


L'agenda rossa - Riina si sofferma anche su un altro mistero, quello legato all’agenda rossa di Paolo Borsellino, attribuendo ai servizi segreti la sua scomparsa: «Gliel’hanno presa ed è sparita». Nelle conversazioni con Lorusso, rievoca anche la vicenda legata alla perquisizione ritardata del suo covo, dopo l’arresto del 1993. La sua cassaforte? Nella versione di Riina, non conteneva documenti: «Io cose importanti non ne avevo, se le avevo le tenevo in mente».

Giudizi politici - Il boss dei boss, come si legge sul Fatto, parla anche di attualità e non si risparmia sui giudizi riguardo i protagonisti politici. Matteo Renzi per Riina  «E' forte perché è giovane», ma diventa «un carabiniere» quando si oppone all'amnistia; Angelino Alfano viene bollato come «vigliacco e traditore» più o meno come Gianfranco Fini «un miserabile e meschino».  Massimo D’Alema viene visto dal capomafia come uno «mangia e bene», «Il più disgraziato che c’è»; Beppe Grillo invece «è malato di testa, ormai è impazzito». Riina non nasconde le sue simpatie per Andreotti «uno grande», per  Marina Berlusconi «una seria» e Daniela Santanché «una forte». Un ragionamento moralistico viene fuori quando parla di Silvio Berlusconi bollato come «un mutannaro» (mutandaro) e accusato di essere un «porco, malato di minorenni». «Più che il partito di Forza Italia - dice a Lorusso - dovrebbe fondare Forza Culo perché è un disgraziato». Ma al leader azzurro non perdona soprattutto di aver «tradito» le speranze mafiose. «Aveva il 66%, doveva mandare alla fucilazione i magistrati, aveva la corda per affogarli tutti». Dice Riina che «c'è tanta gente incarcerata senza malu fine (cioè l'ergastolo)», ma lui «non ha fatto niente, è stato un gran sbirrone». Quanto a Giorgio Napolitano, definito "berrettone" che in dialetto siciliano vuol dire "colui che vuole fare tutte le cose", il capo dei capi sostiene che è «il più pulcinella di tutti». 

Messaggi per chi? - Le parole intercettate in carcere sono dei messaggi che il capomafia ottantenne lancia all’esterno? Per la presidente della commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi «c’è ancora molto da capire», per il presidente del Senato Piero Grasso «queste sono valutazioni che spettano agli organi competenti». Di certo c'è, secondo la Bindi, che «quando Riina sapeva di essere intercettato non ha parlato. La logica ci dice che quando parla non sa di essere intercettato ma tutto ciò resta comunque un interrogativo. È da interpretare e capire...».

Ebola, allarme rosso a Padova: due pazienti ricoverati in isolamento

Ebola, allarme a Padova: due pazienti in isolamento




Dopo Bologna, Varese, Gallarate, anche il Veneto registra i primi casi sospetti di ebola. Il Settore Igiene Pubblica e Prevenzione del Veneto ha fatto appena in tempo, due giorni fa, ad inviare a tutte le aziende sanitarie il protocollo contenente le prime indicazioni operative di risposta regionale per la prevenzione. Ieri il protocollo è scattato in tutta la sua completezza a Padova di fronte a due pazienti, un nigeriano e un istriano, colpiti da febbre alta e sintomi dubbi. L'ebola è una febbre emorragica grave che sta affliggendo l'Africa, dall'esordio improvviso e il decorso acuto, caratterizzata da emorragie, sanguinamenti, petecchie, epistassi. I due pazienti sono stati messi immediatamente in isolamento in stanze singole, e sono stati oggetto di approfondimenti diagnostici serrati. Stamane è rientrato l'allarme per quanto riguarda il paziente nigeriano. I test effettuati su di lui hanno dato esito negativo: l'uomo sarebbe però affetto da malaria. Ancora in corso le analisi sul secondo malato.

Il mondo sta perdendo la battaglia - Ieri sera  Jeanne Liu, presidente di Medici senza frontiere (Msf), ha lanciato l'allarme a New York di fronte alle Nazioni Unite: "L'annuncio fatto lo scorso 8 agosto dall'Oms che l'epidemia costituiva una 'emergenza di salute pubb
lica mondiale' non è stato seguito da un'azione decisiva, e gli Stati si sono in generale accontentati di fare una colazione mondiale dell'inazione".

I morti - Il virus ha fatto ad oggi 1.552 morti su 3.069 casi confermati: 694 in Liberia, 430 in Guinea, 422 in Sierra Leone e 6 in Nigeria, secondo l'ultimo bilancio dell'Organizzazione mondiale della sanità dello scorso 26 agosto. Un primo caso è stato è stato inoltre confermato in Senegal la scorsa settimana. Al ritmo attuale di contagio, saranno necessari da 6 a 9 mesi ed almeno 490 milioni di dollari (373 milioni di euro) per riuscire a contenere l'epidemia, che secondo l'Oms rischia di colpire 20.000 persone.