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martedì 26 agosto 2014

RIENTRO LACRIME E SANGUE Tasi e bollette: quanto spenderemo

Stangata da rientro per i consumatori. Tasi, bollette e scuola: conto da 1.900 euro




Un rientro lacrime e sangue. Brutte sorprese in arrivo per le famiglie italiane. Dopo le ferie, secondo Adusbef e Federconsumatori, i costi da sostenere in autunno saranno tanti e supereranno, tra bollette, tasse sulla casa e rientro a scuola dei bambini, i 1.900 euro. Si tratta, secondo le associazioni, di una spesa "insostenibile per le famiglie, il cui potere di acquisto è ai minimi storici, diminuito di oltre il -13,4% dal 2008 ad oggi".

I costi - Tra settembre e novembre, calcolano i consumatori, la spesa autunnale sarà di 1.912 euro. Per la scuola (libri e corredo) si spenderanno 779,25, per la Tasi il costo medio sarà di 231 euro, le bollette ammonteranno tra acqua, luce, gas e telefono a 460,77 euro, mentre la Tari costerà 156,35 euro. Il riscaldamento infine porterà ad una spesa di 285 euro. 

L'allarme - "Laddove le famiglie avessero figli che frequentano il tempo pieno, - proseguono Adusbef e Federconsumatori - a tali voci si aggiunge anche la mensa scolastica, per un totale di circa 205,50 euro. Per non parlare, inoltre, di chi ha un figlio che frequenta l'università, che dovrà sostenere anche la prima rata delle tasse, per un importo medio di 326 euro". "E' evidente - concludono - che tale cifra non si limiterà a riportare ripercussioni estremamente negative sulle condizioni delle famiglie, ma inciderà in maniera sempre più grave sull'intero andamento della domanda di mercato, trascinando ulteriormente al ribasso i consumi e l'intero apparato produttivo". Insomma superata l'estate, al rientro tocca riaprire ancora una volta il portafoglio. 

HANNO VENDUTO IL BELPAESE Chi sono i nuovi padroni d'Italia portati da Monti, Letta e Renzi

Borsa, Unimpresa: "La crescita di Piazza Affari dovuta allo shopping estero"




Anni di lacrime, anni di sangue. Anni di governi e premier non eletti: da Mario Monti ad Enrico Letta, da Enrico Letta a Matteo Renzi. Anni di tasse, recessione, stagnazione e, in alcuni casi, disperazione. Anni per i quali, ora, stiamo continuando a pagare il conto. Certo, c'è il peso del Fisco, sempre più insostenibile. Poi la disoccupazione alle stelle, le imprese che muoiono, le industrie che non producono. Poi c'è la Borsa, che invece cresce, un rally iniziato nel 2013 e destinato a proseguire nel 2014.

Shopping estero - Un dato che ci dovrebbe far sorridere? Non proprio. Già, perché è una diretta conseguenza dello "shopping estero nel made in Italy di piazza Affari, che vale sempre di più". Insomma, quell'unico segno "più" alla Borsa di Milano in un quadro di perenne recessione è dovuto a una sorta di neocolonialismo economico. Sottolinea un report di Centro studi di Unimpresa: in Borsa "aumenta il valore, ma sono sempre più in mani straniere. Oltre il 40% delle società per azioni italiane quotate in Borsa, che hanno visto crescere la capitalizzazione complessiva di 159 miliardi di euro nell'ultimo anno, è posseduto da soggetti esteri. Mentre il 53% delle imprese (anche le non quotate) è controllato dalle famiglie". Nel dettaglio, "da gennaio 2013 a gennaio 2014, il capitale delle spa quotate del nostro Paese è passato da 354,7 miliardi di euro a 514,3 miliardi in crescita di 159,5 miliardi (+45%)". Aumenti che però, come detto, sono riconducibili allo "shopping estero" e non a una ripresa del mercato interno.

Le cifre - A Piazza Affari, infatti, "cresce il peso degli azionisti non italiani che ora hanno partecipazioni di imprese quotate della Penisola pari a 215,1 miliardi, il 41,8% del totale. Predominante, seppur in leggera diminuzione, il peso delle famiglie nel capitale delle aziende (quotate e non) con partecipazioni pari a 893 miliardi, in aumento di 111,7 miliardi". 

Il peso delle banche - Secondo Unimpresa, la cui analisi è basata sui dati di Bankitalia, "da gennaio 2013 a gennaio 2014, si è assistito a uno scatto in avanti del valore delle spa presenti sui listini di piazza Affari. Le partecipazioni di spa quotate in mano alle imprese italiane a gennaio 2014 valevano 141,6 miliardi (il 27,5% del totale) in crescita di 50,5 miliardi (+55,5%) rispetto ai 91 miliardi di gennaio 2013". In questo scenario "le banche continuano ad avere una presenza forte, seppure in lieve calo, nel capitale delle spa quotate con il 6,4%, pari a 32,7 miliardi in crescita di 572 milioni (+1,8%). Lo Stato centrale ha nel suo portafoglio titoli azionari quotati italiani per 16,1 miliardi (+3,1%), in aumento di 5,3 miliardi (+48,9%) rispetto ai 10,8 miliardi di un anno prima". Quindi i dati relativi ai privati, le famiglie, che controllano quote pari a 69,2 miliardi (il 13,5% del totale), cresciute di 14,6 miliardi (+26,8%) rispetto ai 54,6 miliardi dell'anno precedente.

L'allarme - Ma, ad oggi, il controllo degli stranieri di Piazza Affari è salito al 41,8%, con partecipazioni per 215,1 miliardi di euro, in aumento di 75,6 miliardi rispetto ai 139,5 miliardi di gennaio 2013. Unimpresa specifica che complessivamente il valore delle società italiane quotate "è salito in un anno di 159,5 miliardi (+45%) da 534,7 miliardi a 514,3 miliardi". Dati che allarmano, secondo il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, il quale sottolinea: "Se da una parte va valutato positivamente l'aumento del valore delle imprese italiane, dall'altro bisogna guardare con attenzione la presenza degli stranieri e capire fino a che punto si tratta di investimenti utili allo sviluppo e dove finisce, invece, l'attività speculativa". Longobardi spiega che "la fortissima crisi che sta colpendo l'Italia più di altri paesi sta consegnando di fatto i pezzi pregiati della nostra economia a soggetti stranieri, che non sempre comprano con prospettive di lungo periodo o di investimento, ma spesso per fini speculativi".

Legittimo pagare i riscatti? Gaetano Daniele: "Non si sponsorizza il terrore"

E' legittimo pagare i riscatti? Gaetano Daniele: "Non si sponsorizza il terrore, mai!"



Gaetano Daniele
Amministratore il Notiziario 

L'amministratore de il Notiziario, Gaetano Daniele risponde ad una lettera inviata da una sua lettrice, Maria Tartaglione che, pone al direttore una domanda, se pagare o meno i riscatti chiesti dai terroristi. 

Cara Maria, pubblicando articoli sia sul rapimento delle due ragazze Lombarde in Siria che sulla decapitazione del giornalista americano, sapevo di immettermi su un terreno minato, soprattutto quando un genitore di un figlio rapito, in presa al panico e con la speranza di rivedere appunto il proprio figlio a casa, legge che, pagare un riscatto è sbagliato. Da chiarire che, anch'io in qualità di padre farei nello specifico tutto ciò che fanno i familiari di chi è nelle mani di un gruppo armato, pronto a sgozzare. Invocherei pietà, raccoglierei tutto ciò che ho, busserei ad ogni porta senza stancarmi, ma soprattutto tratterei con i terroristi: perchè la vita di un figlio, o di un familiare vale di più di ogni altra cosa materiale e anche di tanti bei principi e di tante enunciazioni, quando di peggio a farle sono i nostri politici. 

Comprendo dunque la sua domanda, quando in privato via web le ho detto che non bisogna pagare i riscatti. Il mio messaggio, infatti non si appellava ai genitori e ai familiari di chi è detenuto contro la propria volontà, in terra straniera ma, rivolto al governo, perchè un conto è essere genitori di un figlio rapito - e comportarsi di conseguenza - e un conto è essere un primo ministro che un giorno si dice indignato per le stragi e gli stupri di Cristiani in Siria, e il giorno dopo pagando un riscatto, finanzia gli autori di quelle stragi e di quegli stupri. Per non parlare del totale abbandono in India dei due militari italiani, Latorre e Girone. 

Pertanto, chi sta al governo porta il peso delle decisioni e delle conseguenze di ciò che fa, proprio come la figuraccia con i due Marò in India, ma riallacciandomi alla sua domanda, credo che, finanziare previo riscatto un gruppo di terroristi sia cosa sbagliata, anche perchè se paghi per uno paghi per tutti e se paghi per tutti corri il rischio di potenziare giorno dopo giorno menti malate pronte a tenerti per la gola al primo no. Il terrorismo va combattuto non finanziato, sempre!. 





Ecco chi è il capo dei tagliagole Così è diventato il re del terrore

Abu Bakr al Baghdadi: ecco chi è il capo del Califfato, l'uomo più ricercato al mondo




Le immagini della decapitazione di James Foley sono ancora negli occhi di tutti e corrono sul web come un monito: sappiamo quanto è feroce il nemico. Dopo la morte di Osama Bin Laden qualcuno pensava che ci fosse un vuoto tra le gerarchie del terrore. Ci ha pensato un uomo a riempire quello spazio: Abu Bakr al Baghdadi, leader del'Isis e in questo momento l'uomo più ricercato al mondo. Lo schiaffo dato all'occidente con la decapitazione di James Foley ha acceso i riflettori su una realtà, a qualche miglia da casa nostra che fino all'inizio di questa estate era rimasta sepolta tra le cronache della striscia di Gaza. La testa di Foley ha alzato il velo su ciò che sta avvenendo in Siria, in Iraq e ora anche in Libia. Chi comanda i tagliagole? Lui, Abu Bakr al Baghadi. 

Il califfo - L'autoproclamatosi califfo dell'Isil (acronimo di Stato Islamico dell'Iraq e del Levante), non è solo un fanatico estremista: ha una precisa strategia bellica. Dopo un passato da militante in al Qaeda, il quarantatreenne nato a Samarra, ha elaborato negli ultimi due anni un piano di guerra che non si basa su clamorosi attentati all'estero. Piuttosto il suo intento è quello di tracciare i confini di un nuovo stato sunnita, attraverso un costante consolidamento della forza militare delle sue milizie. 

Cosa fa - Il suo progetto con il passare del tempo è cambiato. L'Isil è diventato Is abbracciando così un unico califfato che va dalla Libia all'Iran sciita. Al  Baghdadi però non si ferma. La sua macchina del terrore è impegnata innanzitutto ad espandere l'influenza sull' Iraq e la Siria. La biografia del califfo è avvolta dal giallo. Pare che fosse un imam all'epoca della seconda guerra degli Usa in Iraq (2003). Dopo la parentesi qaedista a fianco delle milizie di al-Zarqāwī, ha presieduto dei tribunali religiosi. Inoltre, secondo le biografie non ufficiali diffuse in rete, sembra abbia conseguito un dottorato di ricerca in scienze islamiche. A quanto pare fino al 2011 avrebbe intrattenuto legami con Ayman al-Zawāhirī, il successore di Bin Laden. E' stato coinvolto in attentati contro sciiti e cristiani, colpevoli di aver collaborato con il governo di Baghdad. Poi al Baghdadi ha cambiato rotta, inserendosi nel conflitto siriano. Qui ha reclutato le sue milizie attaccando il regime di Al-Assad. 

Le mosse del terrore - In Siria l'Isil ha recuperato tutte le armi per combattere la propria guerra. Lì il leader del califfato ha reclutato i combattenti e ha raccolto soldi che arrivano dalla Turchia, dal Qatar, dall'Arabia Saudita e dal Qatar. Dopo la decapitazione di Foley, questi Stati negano qualsiasi tipo di legame diretto con al Baghdadi, ma resta il fatto che le centinaia di milioni di dollari che costituiscono il patrimonio dell'esercito del califfo non possono essersi materializzati dal nulla. Inoltre, in Siria, al Baghdadi si è impadronito anche 
di alcuni importanti pozzi di petrolio con cui ha esportato greggio prezioso per finanziare la Jihad. il 29 giugno scorso Abū Bakr al-Baghdādī si autoproclama califfo dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante. Il 5 luglio si mostra in pubblico per la prima volta e parla dall'interno della Grande moschea al-Nūrī di Mosul, città conquistata dall'Isil, chiamando all'obbedienza tutti i musulmani del mondo per l'affermazione della causa del califfato. Ora dopo Bin Laden è lui l'uomo più ricercato da Stati Uniti e Gran Bretagna. 

Luttwak balla sul cadavere di Foley: "La decapitazione? Vi dico cosa ha fatto il reporter..."

Edward Luttwak: "Foley? Se l'è cercata. Il suo non era giornalismo"




"Secondo me se l'è cercata". Il professor Edward Luttwak ha una visione molto personale della tragedia che ha coinvolto James Foley. In un'intervista a il Giornale, Luttwak afferma: "Foley? Se penso che abbiamo rischiato la vita dei nostri soldati per tentare di salvarlo mi arrabbio. Quello prima è andato a giocare al corrispondente di guerra in Libia e si è fatto catturare. Poi è andato a cercar guai in Siria". Poi fa un paragone particolare: "Foley? Se penso che abbiamo rischiato la vita dei nostri soldati per tentare di salvarlo mi arrabbio. Quello prima è andato a giocare al corrispondente di guerra in Libia e si è fatto catturare. Poi è andato a cercar guai in Siria. Risultato? Voi europei pagate enormi riscatti per liberarli e noi americani rischiamo la vita dei soldati per riportarli a casa".

"Il suo non era giornalismo" - Infine Luttwak torna ancora sul caso Foley e aggiunge: "Se l'è cercata totalmente..... Il suo, come quello della vostra Sgrena, non è giornalismo, ma protagonismo. Lui, la Sgrena e tanti altri non raccontano quel che succede, aiutano una parte in gioco. Nel suo caso il cosiddetto popolo siriano. Nel caso della Sgrena quelli che combattevano contro l'Italia. Che poi ha pagato per riaverla viva. Questo oltre ad esser pericoloso per chi lo pratica, genera disinformazione. Identificandosi con chi, a detta loro, soffre producono racconti emotivi destinati non ad informare, ma a coinvolgere il pubblico". 

lunedì 25 agosto 2014

Doccia gelata, "elemosina della Littizzetto": ecco quanto ha donato per la Sla. Rivolta sul web: "Ti devi vergognare..."

Ice Bucket Challenge, Luciana Littizzetto dona 100 euro. Bufera sul web: "E' un'elemosina"... Se i miliardari donano 100 euro per la ricerca è finita



Una secchiata di imbarazzo per Luciana Littizzetto: la spalla di Fabio Fazio (che l'ha chiamata in causa, nominandola), prende parte all'Ice Bucket Challegne, la virale doccia ghiacciata per beneficenza, il cui obiettivo è raccogliere fondi per la ricerca sulla Sla. E doccia ghiacciata sia. Peccato però che, contestualmente alla doccia, arrivino anche le "informazioni" sulla donazione: "Lucianina" offre 100 euro, sventolandoli in favore di telecamera (e dopo aver apostrofato Fazio come "quel pirla", a sua volta nomina Claudio Bisio e la Gialappa's Band). Una donazione che ha letteralmente scatenato una sollevazione sul web, dove si parla di "elemosina" da parte della Littizzetto. In effetti, la cifra appare un po' scarna, soprattutto in relazione a quanto si dice che "Lucianina" percepisca dalla Rai: per l'ultimo Sanremo si parlava di 300-350mila euro, mentre Renato Brunetta, in un'interrogazione alla Commissione parlamentare di Vigilanza Rai, ricordava che per Che tempo che fa la Littizzetto prende 20mila euro a puntata per "10 minuti di monologo".

Demolita - Il web, come detto, non perdona tali sproporzioni. Twitter, in particolare, dove il semplice hashtag #Littizzetto, in pochi minuti, ha iniziato a spopolare. C'è chi è stupito, come Giangio: "Ma veramente la #Littizzetto avrebbe donato solo #100euro? Lei che guadagna milioni di euro...facendo le proporzioni... #1centesimobasta...". Oltre a una variopinta quantità di insulti, la maggior parte dei quali irriferibili, la comica Lucianina incassa anche diverse battute. Per esempio quella di Davide Astolfi: "La #Littizzetto che mostra e dona solo 100 euro all'#IceBucketChallenge è passata dal non far ridere al far piangere". Per Maurizio Cescon la Littizzetto, che "mostra con orgoglio l'assegno pro-malati di appena 100 euro" dovrebbe "farsi la doccia per la vergogna. Ma non di acqua gelata". Quindi altra ironia, con Tipostrano: "Azz, la Littizzetto dona 100 euro per la Sla. Parte la campagna 'aiutiamo la Littizzetto'". Tuffi Von Gattis ipotizza: "Secondo me la Littizzetto era uscita solo con 100 euro in tasca", mentre Riccardo @so_cruel si interroga: "Chiederà il rimborso sul 740?". C'è quindi l'ipotesi di Sergio Silvestri: "100 euro per #icebucketchallenge... Probabilmente si versa in base alla propria statura". A onor del vero c'è anche chi Lucianina la difende, come tal Beatrice: "Avete stufato. Luciana è una grande, donate voi visto che siete così bravi".

Giampaolo Pansa: siamo in guerra, basta pietà

Giampaolo Pansa: siamo in guerra, basta pietà

di Giampaolo Pansa 


Papa Francesco è stato esplicito. Qualche giorno fa ci ha messo sotto gli occhi una verità terribile che pochi vogliono vedere. In questa estate del 2014 è iniziata la Terza Guerra mondiale e sta provocando migliaia di morti. A differenza dei due precedenti conflitti, quelli del 1914-1918 e del 1939-1945, la guerra di oggi, dice Papa Francesco, viene combattuta «a pezzi». Si spara e si muore in tante aree diverse. Nella striscia di Gaza dove si scontrano Israele e le bande di Hamas. In Libia, che i ribelli vogliono conquistare. In Iraq tra l’esercito regolare, oggi appoggiato dagli Stati Uniti, e i tagliagole del Califfato islamico. In Siria dove il regime di Assad stenta ad aver ragione di chi vuole distruggerlo. E infine in Ucraina che la Russia punta ad annettersi. 

Questo succedersi di eventi sanguinosi è l’esordio di un conflitto più vasto che, per il momento, sembra risparmiare l’Occidente, a cominciare dall’Italia. Bisogna rifugiarsi in un’espressione cauta, «per il momento, per ora», poiché non sappiamo quanto può accadere all’improvviso. Infatti la Terza Guerra mondiale presenta un protagonista nuovo, feroce e di grande pericolo per tutti: l’irrompere sulla scena globale di un terrorismo islamico che sembrava confinato in territori lontani da noi.

L’assassinio del reporter americano James Foley è avvenuto sotto gli occhi di milioni di persone attraverso la ripresa televisiva effettuata e diffusa dai suoi boia. Resterà nella storia non soltanto per la tremenda zoomata sulla testa tagliata, ma per quanto è accaduto dopo. A cominciare dalla Gran Bretagna, i governi europei hanno dovuto prendere atto che non pochi dei loro giovani hanno raggiunto le bande del Califfato per combattere la guerra santa.

Sono ragazzi inglesi, francesi, tedeschi e forse anche italiani, convertiti all’Islam. Come tutti i fanatici di una religione che vuole lo sterminio dei cristiani, potrebbero ritornare a Londra, a Parigi, ad Amburgo, a Roma. E portare qui il virus sanguinario del terrorismo. Forse non tutti se ne sono accorti. Ma siamo entrati nell’epoca dei boia mascherati, gli assassini con il cappuccio nero. Lo indossavano pure i terroristi di Hamas che l’altro ieri, nella striscia di Gaza, hanno ammazzato ventuno palestinesi, presunti informatori di Israele. Portati in qualche piazza della città, sono stati accoppati come bestie. E anche la loro fine è stata filmata e diffusa attraverso il maledetto web che aiuta i guardoni di tutto il mondo ad andare in orgasmo davanti a un uomo sgozzato.

Nel frattempo che cosa accade in Italia? I nostri servizi di sicurezza ci avvisano che il rischio del terrorismo islamico diventa sempre più vicino e allarmante. Siamo alle prese con una maledizione che si ripete. Dal 1974 al 1988, il terrorismo delle Brigate rosse ha insanguinato le nostre strade con decine di morti, più qualche centinaio di gambizzati. Abbiamo visto sequestrare e uccidere un leader politico come Aldo Moro. Tuttavia la Prima Repubblica ha retto, in virtù di un patto tra centro, destra e sinistra. Un’intesa che, sia pure tra mille difficoltà, ha sempre tenuto.

Ma in quel tempo, l’Italia della politica era più salda di quella odierna. E disponeva di leader che possono aver commesso molti errori, ma tutto sommato erano migliori di quelli d’oggi. Lo scrivo per rispetto professionale della verità. Lavoravo da giornalista allora come faccio adesso. Però in questo 2014 vedo attorno a me un panorama di rovine. Con una Casta politica che annaspa impotente. Per di più strozzata da una recessione profonda, un pozzo dal quale i partiti non sono capaci di far uscire gli italiani onesti e senza potere.

Di fronte alla Terza Guerra mondiale, il governo Renzi balbetta e non sa decidere neppure le misure indispensabili. Per cominciare, dovrebbe chiudere subito l’operazione Mare Nostrum. L’avevo già chiesto in un Bestiario pubblicato da Libero il 4 maggio di quest’anno, quando i clandestini accettati in Italia erano a quota trentamila. Oggi siamo a quota 110 mila e gli sbarchi continuano. Un giornalista tedesco, che lavora qui da corrispondente, allora scrisse: la presenza di Papa Francesco a Lampedusa è stata «un magnete» che ha attirato in casa nostra un numero crescente di disperati, pronti a tutto pur di arrivare in Europa.

Morale della favola? Non si è fatto nulla. Dall’inizio del suo mandato, Matteo Renzi non ha mostrato nessun interesse per gli sbarchi nell’Italia del sud. Per il premier era ed è un non problema. Oppure in lui prevale l’imprinting cattolico, da boy scout disposto a salvare chiunque. Soltanto qualche giorno fa, nella visita mordi e fuggi in Iraq, si è deciso a tirare la giacca di un’Europa sempre più impotente. E convinta nella sua vigliaccheria che la marea dei clandestini sia soltanto una questione italiana.

Eppure il rischio crescente di un terrorismo islamista dovrebbe far ricordare a tutti il grido di allarme che il vescovo cattolico di Mosul, costretto a fuggire con i suoi fedeli dai tagliagole dell’Isis, ha affidato a Lorenzo Cremonesi, inviato in Iraq dal Corriere della Sera: «Voi italiani non sapete chi vi portate in casa. Con i clandestini salvati dalle navi della vostra marina militare, possono arrivare terroristi islamici pronti a uccidere. Gli esseri umani non sono tutti uguali».

Ma il governo renzista non bada a queste sottigliezze. Da noi impera ancora uno schematismo coperto di ragnatele. Chi respinge gli sbarchi è di destra, uno sporco leghista alla Matteo Salvini. Se invece ritieni che l’Italia debba accettare chiunque, sei un buon samaritano di sinistra, nonché fedele seguace di Papa Francesco.

Tuttavia, se è vero che stiamo precipitando in una guerra, dobbiamo mettere da parte il buonismo, lo spirito di carità, l’ottimismo eccessivo, la faciloneria generosa. Per limitarmi a un esempio solo, mi domando perché si debba permettere a due ragazze di partire da sole per la Siria a portare qualche aiuto umanitario. Adesso Greta e Vanessa sono prigioniere di una banda di malviventi o di ribelli al regime di Assad. Sia chiaro: non penso a un regime di polizia che controlli i viaggi degli italiani. Ma nessuna democrazia può durare se non si cautela di fronte a tragedie che poi lo Stato deve risolvere.

Nel 1978, quando Moro venne rapito, la malfamata Democrazia cristiana e il Pci ancora comunista, con l’appoggio dei grandi giornali del tempo, rifiutarono lo scambio di prigionieri, chiesto dalla Brigate rosse e sostenuto dal leader socialista Bettino Craxi. Ho vissuto da cronista quel dramma durato cinquantacinque giorni. Moro venne ucciso, ma la Repubblica si salvò.

Non illudiamoci. Se la Terza Guerra mondiale durerà, dovremo pagare tutti dei prezzi sempre più alti. L’altro giorno, un amico mi ha chiesto: «Hai paura di quello che può accadere?». Gli ho risposto: «Sì. E la spensieratezza di Renzi, il suo concionare, le promesse a getto continuo e non mantenute, persino la stupidità del gavettone di acqua gelata che s’infligge da solo, accentuano i miei timori».

Poi mi rammento della Seconda Guerra mondiale che ho visto da ragazzino. Le bombe che cadevano anche sulla mia città. Le fughe notturne nei rifugi. La tessera del pane. Gli assalti dei partigiani. Le rappresaglie dei tedeschi e dei fascisti repubblicani. L’inferno coperto di sangue del primo dopoguerra. E dico a me stesso: se l’hanno scampata i bambini come me, la scamperanno pure i bambini di questa infelice Italia di oggi.